Non succede spesso, quasi mai, forse mai che un suicida racconti, possa raccontare gli istanti in cui ha scelto la morte, si è “buttato”.
Il racconto drammatico e sorprendente allo stesso tempo di Giordano Tomasoni che con lucidità ripercorre ogni istante di quel 14 novembre 2008 quando è uscito di casa e ha “trovato la soluzione” al suo male di vivere. La paura dell’attesa, la decisione. Il percorso in auto, il cambio di destinazione perché pensava di essere seguito, la scelta del posto “giusto”, quell’ultimo ponte, le mani sul parapetto e lo slancio verso il vuoto, una mano che resta aggrappata al ferro. Poi il salto nel buio. Giordano non tralascia niente del suo “viaggio all’inferno” che per lui era una liberazione. Un giorno grigio, l’ultima immagine di un camino che fuma. “Ho avuto bisogno di morire”. La lunga riabilitazione, si sente “guarito”, ha voglia di vivere anche senza l’uso delle gambe. Ma il dopo non si capisce senza il prima. Un documento sconvolgente e coinvolgente. Non c’è pericolo che qualcuno ti imiti? “Il messaggio che voglio dare con il mio racconto è che dalla depressione uno può guarire, è una malattia, basta saperlo, si può curare, si guarisce perché io, dopo, sono stato curato e sono guarito”.
SU ARABERARA IN EDICOLA PAGG. 4-5