Mirko sorride dall’altra parte del telefono. Ad aspettarlo un aereo che lo riporta a casa dai campionati Europei di paracanoa a Monaco di Baviera. “Purtroppo in aeroporto sono stati persi parte degli adattamenti della barca, che essendo su misura sono insostituibili. Ho dovuto arrangiarmi con dei ripieghi e la prestazione in acqua non è stata la stessa. Mi aspettavo di entrare nei primi sei e invece purtroppo non sono entrato in finale, ma adesso preparerò al meglio gli italiani di metà settembre”, ci ha confidato.
Mirko di cognome fa Nicoli, 37 anni, ed è originario di Gorlago. Lo sport è la sua vita da quando un incidente in moto quella vita gliel’ha cambiata per sempre. “Una rinascita”, dice. Ma allora insieme a lui riavvolgiamo il nastro, torniamo a quella notte del 2016.
“Ero in sella alla mia moto e stavo percorrendo la strada tra Bolgare e Palosco, avevo appena finito di lavorare ad una festa dove facevo il pizzaiolo, era il mio secondo lavoro. Era mezzanotte… un po’ la velocità, un po’ la stanchezza, un po’ il buio, non ho visto una curva e sono andato a sbattere con la gamba contro un cartello stradale e poi sono finito in un campo. In ospedale hanno fatto di tutto per salvarmi la gamba destra, ma le ferite erano troppo gravi e quindi i medici hanno deciso per l’amputazione. Come l’ho presa? Beh, con filosofia direi. Non ho mai pensato come sarebbe stata la mia vita se fosse andata in un altro modo, ho guardato oltre quella situazione. Il danno ormai l’avevo fatto, tornare indietro non si poteva e allora tanto valeva guardare avanti”.
Come è cambiata la tua vita? “Non facevo cose straordinarie, quindi non è cambiata poi tantissimo – sorride -. Certo, ero un appassionato di sport, perché ho fatto judo per tanti anni, ma poi ho iniziato ad infortunarmi e avevo dovuto lasciare… mi piaceva fare qualche corsetta, niente di che. Una cosa mi manca tanto della mia vita precedente, e forse è un paradosso, ma è la moto. Non era un semplice mezzo di trasporto, l’avevo solo da quattro anni, ma era la mia passione, direi uno stile di vita. Appena potevo salivo e andavo a farmi un giro, vicino o lontano che fosse. Organizzavo anche le vacanze in modo da riuscire ad usarla. Per il resto è vita passata”.
Poi l’incontro con lo sport: “Già durante il ricovero in ospedale sognavo l’attività sportiva… vedevo i telegiornali e parlavano di Olimpiadi… nella mia testa continuavo a dirmi che avrei potuto provarci anche io, ma non è poi così facile (ride, ndr). Lo sport è una rinascita ma anche una terapia, perché sarebbe stato più facile gettarsi nello sconforto. Avrei vissuto diversamente la disabilità, sia su di me ma anche per gli altri. Buttarsi nell’agonismo sportivo è stata la scelta più dura da fare, ma che mi ha dato grandi soddisfazioni. La mia famiglia, i miei genitori e mia sorella e i miei amici sono lo zoccolo duro del mio tifo, loro mi vedono come un super atleta anche se devo fare ancora parecchia strada da fare visto che il livello internazionale è molto alto”….
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