di Luigi Furia
Prima di chiudere le miniere, avevano detto e scritto che non c’era più minerale, che i filoni si erano esauriti. Ora è confermato – come sostenevano gli operai – il minerale c’è, ricco e abbondante. Nelle Prealpi Bergamasche c’è una fascia, con andamento est-ovest, ricca di minerali non ferrosi, chiamata genericamente “Metallifero bergamasco” mentre sui testi scientifici è classificato come “Distretto a piombo, zinco, fluorite e barite di Gorno”. Tale nome è dovuto al fatto che sul territorio di questo comune sono avvenuti antichi scavi e lavorazioni dei metalli, dove poi, tra Ottocento e Novecento, si sono insediati gli uffici ed i principali impianti di lavorazione del minerale, tanto da prendere la denominazione “Miniere di Gorno”.
Il giacimento attraversa tutta la provincia e sconfina a est nella Valle Camonica ed a ovest nella Valsassina, ed i comuni principalmente interessati negli anni dai relativi lavori minerari sono Gorno, Oneta, Oltre il Colle, Dossena, Premolo e Parre, e marginalmente San Giovanni Bianco, Camerata Cornello, Valtorta e Colere.
Nel giacimento, oltre a quelli indicati nella sua denominazione geologica, si trovano anche altri metalli, tra cui rame, cadmio e argento. I primi due, dopo l’avvio dello stabilimento elettrolitico di Ponte Nossa, sono stati estratti e commercializzati, mentre per l’argento, già scoperto in epoca romana, non è stato ancora trovato un metodo conveniente per la sua estrazione data la minima percentuale presente.
Per quanto riguarda lo zinco ed il piombo non è da adesso che i minatori del posto sapevano quanto il giacimento ne fosse ricco: le miniere non sono state chiuse per mancanza di materia prima ma per sbagliate scelte politiche. Non è neppure vero che fossero in perdita. I bilanci delle miniere di Gorno e dello stabilimento di trattamento di Ponte Nossa hanno sempre avuto segno più, diventavano negativi solo quando confluivano nel calderone SAPEZ, poi AMMI infine SAMIM; dove abbondavano le perdite di altre miniere e le spese delle pletoriche direzioni romane.
Già negli anni Settanta vi fu un tentativo di chiusura delle miniere a cui si opposero strenuamente i minatori e le amministrazioni locali con manifestazioni anche in quel di Roma, davanti al Parlamento, ottenendo il rilancio dell’attività estrattiva.
Si ampliò la galleria “Ribasso Riso Parina” lunga dodici chilometri e mezzo, la spina dorsale delle miniere di Gorno; si scavò un fornello (galleria verticale) di circa quattrocento metri per unire i giacimenti della Val Parina (Oltre il Colle), a quote superiori, con quelli a livello Riso (Gorno); si fecero importanti ricerche che misero in luce ricche colonne di minerale, ma che furono mascherate. L’ENI non ne voleva sapere di miniere, aveva avviato una campagna di disinformazione affinché i politici ne decretassero la chiusura. Dietro si mascheravano affari miliardari tra esponenti algerini e italiani: io ti dò il metano ma devi prendere anche il nostro zinco. Ciò avvenne nel 1982 nel disinteresse quasi totale delle amministrazioni locali dell’epoca. Dopo di allora chiesero la concessione mineraria due società italiane, la Cattaneo e la Bergem Mine, che fecero di tutto tranne l’attività che avevano richiesto di esercitare. Da pochi anni sono subentrate nella concessione società internazionali specializzate nel settore. Prima la “Energia Minerals” dal 2016 ed ora, dal 2019, la “Alta Zinc Ltd”, società con sedi principali a Perth (Western Australia)…
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