GRUMELLO DEL MONTE – Zim e il suo ‘Al Vecchio Pozzo’: “Il ristorante chiuso costa almeno 5000 euro al mese. Ho paura ma sono ottimista”

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Luci spente e serrande abbassate per mesi, una crisi per il mondo della ristorazione che non s’era mai vista prima d’ora. Ma c’è chi non si arrende e fa dell’ottimismo la sua arma… vincente. Gezim Prekaj, conosciuto da tutti come Zim, è dall’altra parte del telefono, guarda con fiducia al futuro, anche quando diventa difficile. ‘Al Vecchio Pozzo’, nel centro storico di Grumello è ciò che gli fa battere il cuore. Un mestiere, un’arte, una passione immensa, che si respira nelle sue parole. La storia di Zim parte da lontano, quando nel 1997 è stato un barcone a portarlo in Italia, un viaggio di 36 ore. Grumello la sua destinazione, la sua nuova casa.

Di questo paese me ne sono subito innamorato – spiega Zim -. Io nasco come cuoco e poi ho intrapreso la strada per diventare chef, ho sempre continuato a specializzarmi. Quando sono arrivato qui ho fatto alcune esperienze in locali che proponevano il pesce e ho sempre proseguito, anche quando, nel 2004 ho aperto il mio ristorante insieme a un socio che è rimasto con me per i primi quattro anni, poi ho proseguito da solo. Insieme a me per un anno e mezzo c’è stata la mia compagna Elona, che ora gestisce un altro locale qui a Grumello, il caffè del Parco bistrot. Qui per l’80% proponiamo pesce, anche se facciamo anche pizzeria e carne. E poi ci sono i primi, curati dallo chef Gianbattista Oldrati che è con me da otto anni, le paste fresche, i ravioli, i casoncelli alla bergamasca… siamo a Bergamo e questi non possono mancare (sorride, ndr) e poi la pasticceria, di cui si occupa mio nipote Florian”.

Il tono di voce cambia quando parliamo di questo anno così difficile… “La prima quarantena è stata la più dura da affrontare anche per noi, abbiamo chiuso per tre settimane e poi io e i miei ragazzi ci siamo guardati in faccia per capire cosa fare… ho chiesto loro di iniziare a fare l’asporto e sono stati disponibili fin da subito. Adesso non siamo in molti a lavorare qui, a pieno ritmo siamo in una quindicina, ma adesso riusciamo a gestire tutto in cinque. È dura anche per questo, io ai ragazzi dovevo dare lo stipendio, hanno mogli, figli e mutui da pagare, alcuni di loro sono gli unici della famiglia a lavorare. Stiamo facendo fatica, non so dove potrò arrivare e per quanto potrò resistere, io ho visto la fame, so cosa significa e la mia paura non è restare senza soldi, ma per i miei ragazzi, con cui ho un ottimo rapporto”….

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