I 90 anni di Alda Merini. Il fratello Ezio: “Troppe voci su di lei, ecco chi era veramente. Il Gobbo, la poesia più bella, la sua pistola alla tempia era la poesia, Quasimodo e la porta in faccia, l’ospedale di Alzano e quel vestito sul letto…”

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1976

IL 21 MARZO COMPIREBBE 90 ANNI

Alda Merini “Vedo poco
per il troppo pianto”

Il fratello Ezio:“Alda spiazzava coi versi,
con la vita, non scriveva, dettava di getto al telefono anche 20-30 pagine senza pensarci, tutte d’un fiato, faceva così con editori, amici. Ricordo in ospedale, regalava liriche a tutti, sul momento, di getto, senza pensarci”. 

Stanno uscendo troppi libri su Alda, l’ultimo quello di Maurizio Cucchi inserito in Repubblica nei giorni scorsi dice un sacco di stronzate, scrive anche che la mamma di Alda, cioè anche la mia, era una contadina, se becco Cucchi gli metto due dita negli occhi, ne stanno scrivendo di tutti i colori senza nemmeno sapere chi era davvero Alda”. 

Ezio Merini, fratello di Alda, classe 1943, è nella sua casa di Assago, Ezio racconta Alda, che il 21 marzo compie (da qualche parte in cielo) 90 anni, classe 1931: “Il Gobbo è la sua poesia più bella, nessuno la legge ma a me di questo non me ne frega niente, quella è la più bella e a me piace un sacco”. Ezio è come Alda, un fiume in piena, o forse la definizione migliore sarebbe ‘vulcano’, di quelli che eruttano meraviglia e poesia. Pochi sanno che Alda ed Ezio hanno un legame forte con Bergamo e la sua provincia. 

Ezio dal 2004 trascorre l’estate a Clusone e Alda che dai Navigli non si è mai allontanata, era stata ad Alzano, in ospedale, per essere seguita dal medico che l’aveva operata qualche tempo prima al San Paolo di Milano, medico che poi era stato trasferito all’ospedale di Alzano. 

E lì, in ospedale, Alda aveva riempito infermieri, medici, pazienti dei suoi versi, della sua verve. ‘La pistola che ho puntato alla tempia si chiama Poesia’. Lo ripeteva sempre Alda. Anche adesso, 90 anni dopo. O forse solo una manciata di vento, di poesia, di sussurri, di stupore, di meraviglia. Fuori dal tempo. Dentro l’emozione. 

Alda Merini si è trasferita in cielo il 1° novembre del 2009, il giorno dei Santi, non un giorno qualsiasi, lei che era nata in un altro giorno particolare, il 21 marzo, quando la primavera sboccia e sembra pronta a buttare addosso strofe di poesia al mondo.

In questi giorni mucchi di parole fuoriescono da tutte le parti, così come le sue poesie, gente che si ricorda di lei, che la racconta, che la immagina, che la pensa. O che ne so. Lei che non amava molto i giornalisti (‘raccontano su di me un sacco di fesserie’), lei che quando era piccola in una nebbiosa serata invernale aprì la porta a un uomo con il cappello in mano, era Salvatore Quasimodo, che voleva conoscere questa ragazzina poetessa che incantava, lei lo guardò e senza pensarci su troppo gli buttò addosso quello che sentiva:“Tu sei grande, ma io diventerò più grande di te”.

Già, Alda era una tempesta, come le sue poesie, i suoi aforismi ‘vedo poco per il troppo pianto’. Chi ha lo stesso sguardo ma vede ancora anche attraverso le frasi di Alda è Ezio Merini, che ha gli stessi occhi di Alda, classe 1943, 12 anni di meno, Ezio che a Clusone è di casa, era di casa fino a poco tempo fa, lui che ci è finito per caso un giorno del 1995 e si è innamorato di quel centro storico che sembra inghiottire la valle e arriva in cielo, la sua panchina ‘della cultura’ dalle parti della stazione dei pullman, la nostra redazione di Araberara dove passava pomeriggi a raccontarci storie e guardarci scrivere e litigare, il suo laghetto di San Lorenzo dove si sedeva a guardare il cielo. 

Ezio che è cresciuto nelle case di ringhiera dei Navigli, con Alda, lui che era il suo confidente, lui che si incazzava, lui che sorrideva e lui che alla fine allargava le braccia: “Perché lei era così, altro non ci potevo fare, la lasciavo fare”.

Bocciata in… italiano

Alda nasce il 21 marzo del 1931 in viale Papiniano, papà Nemo era un funzionario assicurativo e mamma Emilia casalinga: tutti e due nati nel 1901: “Papà era l’intellettuale di famiglia, aveva studiato alla scuola tecnica Cesare Correnti, Alda era una bambina intelligente, dotata di una memoria incredibile, ma i suoi studi si fermarono alle prime tre classi della scuola di avviamento al lavoro ‘Laura Mantegazza’, perché venne bocciata all’esame di iscrizione al liceo classico Manzoni, non raggiunse la sufficienza nella prova d’italiano, un po’ come Einstein in matematica e Verdi che a 18 anni venne respinto all’esame di ammissione al Conservatorio. 

Alda cadde in una violenta depressione e pensò di entrare in convento, e non fu facile farle cambiare idea. Nel frattempo studia pianoforte e musica, altra sua grande passione, era anche un brutto periodo, siamo nel 1943, c’era la guerra e Milano fu bombardata tre volte, Pippo (l’aereo che lanciava bombe incendiarie) distrusse la nostra casa: io stesso nacqui in cantina, la nostra famiglia fu costretta a sfollare prima a san Salvatore Monferrato e poi a Cerano in attesa che finisse la guerra. Al ritorno a Milano papà trova in Via Ripa Ticinese un ex deposito di stracci con due stanzoni, senza bagno e senza riscaldamento e li ci accampammo in attesa di qualche cosa di meglio, ma non ci saremmo più mossi”.

I Navigli diventano e restano la casa e il guscio ma anche le ali di Alda: “La nostra casa erano i Navigli, erano e sono la nostra casa anche se non ci abitiamo più. Ricordo che Alda mi teneva sulle ginocchia da piccolo, ricordo la casa di Riva Ticinese, ricordo quegli anni con addosso la voglia di vivere che prendeva il sopravvento su tutto”.

E come è nata la poesia di Alda? “Ha sempre scritto, ce l’aveva dentro, A 10 anni vinse il premio Piccola Poetessa d’Italia, ricordo che vinse 1000 lire dalla regina Maria Jose”. 

Ezio è una miniera di aneddoti e quando li racconta è come se fosse ancora lì: “Una sera eravamo a casa, era buio, autunno, bussano alla porta, mio padre va ad aprire, vede un uomo sull’uscio e gli dice in milanese ‘lu chi l’è?’. Era Salvatore Quasimodo, premio Nobel, voleva conoscere chi scriveva quei versi che aveva trovato in giro, le poesie di Alda”. E Alda? “Alda era una ragazzina ma aveva già il carattere che l’ha accompagnata tutta la vita, sicura di sé, ricordo quella frase, gli disse: ‘tu sei grande, ma io sarò più grande di te’. Lei era così, è sempre stata così, diretta, sfrontata, sicura”.

“Il gobbo”

Ezio gira e rigira nel cuore i ricordi della sua Alda, si ferma, ricomincia: “La poesia che preferisco di Alda è il Gobbo”. Ezio si tocca i capelli, sorride e la recita tutta d’un fato: “Dalla solita sponda del mattino, / io mi guadagno palmo a palmo il giorno: / il giorno delle acque così grigie,/ dall’espressione assente. / Il giorno io lo guadagno con fatica / tra le due sponde che non si risolvono, / insoluta io stessa per la vita…/  e nessuno m’aiuta. / Ma viene a volte un gobbo / sfaccendato, / un simbolo presago d’allegrezza / che ha il dono di una strana profezia. / E perché vada incontro alla promessa / lui mi traghetta sulle proprie spalle”.

Ezio ricomincia: “Alda era così, spiazzava coi versi, con la vita, ho letto tante cose di lei e ho capito che pochi la conoscevano veramente. Del resto non faceva niente per farsi conoscere, lei era com’era e basta, pensa che aveva un’insufficienza in lettere a scuola. Ti racconto un aneddoto. Io studiavo al Carlo Cattaneo, avevo una bravissima insegnante di lettere, Anna Rizzi, era anche vice preside, una persona che amava l’italiano e che ha contribuito a farlo conoscere e apprezzare in tutta Italia.

Bene, era la mia insegnante e un giorno ci dice di scrivere un compito dal titolo ‘ciò che vi è capitato’. Era il 1955, io torno a casa e chiedo ad Alda di aiutarmi, solitamente allora compiti di questo tipo erano lunghi dalle 10 alle 12 pagine.

Lei prende la penna e scrive di getto una paginetta e mezza e mi riconsegna i fogli. Io il giorno dopo consegno il compito, passa una settimana. L’insegnante riconsegna i compiti, mi chiama alla cattedra e mi dice ‘il contenuto è enorme, non ho potuto aggiungere né un punto, né una virgola ma non l’hai scritto tu’. Aveva ragione”.

Nessuna penna in casa

Ezio racconta Alda come fosse infilata dritta davanti a lui, qui seduta a guardarlo: “Sei stata ancora a casa sua, avrai visto che non c’era una penna in casa. Hai visto ancora una scrittrice senza penne? Lei era così, non ne aveva bisogno, non scriveva, dettava di getto al telefono anche 20-30 pagine senza pensarci, tutte d’un fiato, faceva così con editori, amici. Ricordo in ospedale, regalava liriche a tutti, sul momento, di getto, senza pensarci”. 

Alda era ed è una delle poche poetesse a vendere migliaia, milioni di libri, eppure non era ricca, per niente, perché? “Perché non gliene fregava niente dei soldi, li regalava a tutti, usciva lì sui Navigli, vedeva qualche negozietto o bancarella di cianfrusaglie e comprava di tutto, qualcuno le chiedeva i soldi e lei li dava, non aveva il senso del denaro, non l’ha mai avuto. Ha sempre fatto solo quello che voleva fare, era felice così e io non la potevo e non la volevo cambiare”.

San Francesco

San Francesco-Alda, senza soldi, senza penna, ma con la poesia infilata dappertutto, anima e cuore: “Un giorno ha chiamato una casa editrice, avevano già chiamato, volevano una sua poesia su San Francesco, Alda non ha scritto nulla, ha detto che non aveva nulla da dire e poi gli ha dettato di getto venti pagine, la poesia le sgorgava dal dentro, come non fosse lei stessa in grado di firmarla, sgorgava e basta, e lei la lasciava uscire”.

Ezio che mastica poesia e arte da una vita: “Perché ho avuto la fortuna di lavorare in un colorificio nel centro di Milano dove passavano i più grossi pittori, venivano lì e chiacchieravamo, ho imparato a conoscere l’arte da loro”…

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