I ristoranti e quel guadagno enorme sull…’acqua, ogni anno guadagnano mediamente 30 mila euro

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Margini di ricarico enorme, e dove? sull’acqua, ogni anno i ristoranti guadagnano mediamente 30 mila euro, numeri enormi. I pranzi e le cene intanto crescono a dismisura, i menù piazzano prezzi con aumenti di 3 o 4 volte più velocemente rispetto alla media degli altri rincari. Su alcuni prodotti, acqua, vino e caffè ci sono anche margini del 500%, e andare al mare costa il 20.5% in più rispetto al 2022, Siamo andati a spulciare tra i dati resi noti in questi giorni, ecco i risultati:

(ANSA) –  Per il secondo anno consecutivo aumenta la spesa che i nostri connazionali dovranno sostenere per poter trascorrere una vacanza al mare. Lo prevede l’osservatorio Panorama Turismo – Mare Italia di Jfc che l’ANSA pubblica in anteprima, secondo cui costerà in media il 7,9% in più rispetto alla scorsa estate: +7,4% nell’hospitality con picchi del +14,1% nell’extralberghiero, +4,9% nei servizi di spiaggia, +6,2% nella ristorazione, +11,9% nei costi del viaggio, +9,3% nelle spese per lo svago (visite, escursioni, divertimento, parchi tematici, etc), +8,8% negli altri consumi (bar, gelaterie, etc).

Un incremento sostenuto, comunque inferiore alla crescita dei prezzi che era stata rilevata la scorsa estate, quando l’incremento medio ha toccato quota 12,6%. È interessante vedere gli incrementi applicati dai vari settori nell’ultimo biennio, quindi nelle estati 2023 e 2024: rispetto all’estate 2022 si deve pagare il +20,5% in più per fare una vacanza balneare in Italia, con indici di incremento ben superiori se si valuta il solo settore della ristorazione, che ha avuto un incremento – sempre nel biennio – pari al +24,5%.

Per quanto riguarda gli incrementi di prezzo relativi all’ospitalità, ai bar/gelaterie, al costo del viaggio, alle opportunità di svago e divertimento ed ai servizi pubblici presenti nelle località balneari, nel biennio questi servizi hanno visto – tutti in maniera similare – aumenti attorno ai 20 punti percentuali. L’unico settore che ha apportato un aumento inferiore, pari al +16,6% sempre nel biennio, è stato quello dei servizi di spiaggia.

“Un dato preoccupante – spiega Massimo Feruzzi, responsabile di Jfc e dell’Osservatorio – che porterà molti italiani ad ampliare il palmares delle opzioni da prendere in considerazione, facendo così entrare nella competizione decisionale una serie di ulteriori località, il più delle volte fuori dai confini nazionali. E, molto spesso, le scelte ricadranno su destinazioni straniere, sia per la loro maggiore economicità, sia per l’allure di esotico che le ricopre. Una valutazione, questa, che viene affrontata anche dagli europei, molti dei quali sono ancora più attenti degli italiani al fattore prezzo”.

Estratto dell’articolo di Paolo Baroni per “La Stampa”

«È inaccettabile che anche una semplice cena fuori sia diventata un lusso per pochi a causa dell’aumento dei prezzi» sostiene il presidente di Assoutenti Gabriele Melluso, secondo cui «i rincari generalizzati che accompagnano la prossima estate rappresentano un serio problema per le famiglie».

Stando agli ultimi dati dell’Istat riferiti a maggio i listini di ristoranti e pizzerie, in effetti, viaggiano ad una velocità 3/4 volte superiore alla media generale: +3,6% i ristoranti e +3,1% le pizzerie anziché +0,8.

Questo in media, perché stando alle elaborazioni dell’Unione nazionale consumatori in certe realtà gli aumenti sono decisamente più alti. Il picco si tocca a Benevento (+14,1), con Olbia e Macerata sopra il 6%. E anche molte grandi città viaggiano comunque sopra la media nazionale: +4,3 Bologna, +3,8 Roma e Firenze, +3,5 Torino e Napoli.

Anno dopo anno i prezzi riportati sui menù sono sempre più alti ed inevitabilmente l’occhio che cade su certi ricarichi, che su un singolo calice di vino, su acqua e caffè viaggiano anche attorno al 3-4-500%. Al ristorante una bottiglia da un litro di acqua frizzante rigorosamente in vetro che al supermercato costa in media 60 centesimi la si paga infatti in media 4 euro, che salgono ad almeno 7 (a volte anche a 10) nel ristorante stellato che serve un’acqua griffata che un comune cittadino al supermercato paga invece dieci volte meno. Il caffè? Una cialda costa 30-40 centesimi, al barista che ce lo propone a un 1 euro/1 euro e 30 all’incirca 20-25 centesimi, al ristorante è difficile averlo a meno di 2 euro.

Non parliamo poi dell’acqua depurata: secondo le stime del “Fatto alimentare” un ristorante con 50 coperti al giorno che propone una bottiglia di acqua trattata al prezzo di 2 euro, in due settimane copre le spese annuali dell’impianto ed in un anno arriva a guadagnare almeno 30 mila euro con un margine di ricarico «di gran lunga superiore a qualsiasi altro prodotto servito a tavola». […]

Ricarichi altissimi, insomma, difficilmente spiegabili per un comune cittadino. In molti casi come i prezzi dei singoli piatti. In base alle regole della buona gestione di una impresa che opera nel campo della ristorazione il cosiddetto “food cost”, ovvero l’insieme dei costi delle materie prime che servono per realizzare un piatto, dovrebbe restare tra il 28% ed il 35% del prezzo finale.

Questo perché se non si applica un ricarico del 100/130% alla fine dell’anno non si riescono a coprire i costi di gestione, stipendi del personale, affitti, tasse e quant’altro e men che meno si riesce ad ottenere un rendimento adeguato dell’attività. Un altro criterio prevede di applicare un moltiplicatore al costo di produzione del singolo piatto che nel campo della ristorazione, concorrenza permettendo, è compreso tra 4 e 4,5. In pratica a fronte di un costo di produzione pari a 5 euro il prezzo ideale del piatto dovrebbe essere 20 euro.

Per paste e zuppe, a fronte di costi delle materie prime intorno ai 2 euro, al cliente si arriva a chiedere anche 9-10 euro come avviene per preparazioni molto semplici come ad esempio un piatto di spaghetti pomodoro e basilico.

Sui prezzi del vino, sui cui ciclicamente di accendono polemiche anche molto accese, la «buona regola» (si fa per dire) dovrebbe prevedere un ricarico del 200% per un vino di fascia bassa pagato dal ristoratore sotto i 6 euro a bottiglia, del 150% per quelli di fascia media (6-12 euro a bottiglia), del 120% per quelli di fascia alta (12-25 euro), del 100% per quelli di fascia altissima (25-50 euro) e di appena del 50% per quelli di lusso ovvero le bottiglie che al produttore vengono pagate più di 50 euro al pezzo.

In realtà ognuno si regola come crede per cui capita che una bottiglia che vale 10 euro venga offerta a 30 al cliente ed una che acquistata a 50 venga venduta a 125. I ricavi più alti si ottengono vendendo i singoli bicchieri, i cui prezzi in media oscillando tra i 6 e gli 8 euro. Basta servirne 2 (o a volte anche uno solo) che il costo della bottiglia è già abbondantemente ripagato, per cui tutto il resto è guadagno. […]

 

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