IL PERSONAGGIO Don Enrico, da Cenate a Lampedusa “Welala morta nella stiva per le esalazioni. Filippo, il vecchio pescatore che raccoglie cadaveri. Francesco, il falegname chiamato dal Papa per le sue croci di legno”

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A volte per capire e migliorare la realtà che ti circonda bisogna fare un viaggio di migliaia di chilometri, lì al confine, al punto di incontro tra due mondi, dove tutto finisce e tutto inizia. Don Enrico D’Ambrosio, parroco di Cenate Sotto, da mesi sta ospitando 5 ragazzi profughi all’interno del progetto di accoglienza diffusa e per capire veramente questa realtà si è trasformato in un vero reporter ed è partito per Lampedusa, dove ha realizzato una sorta di reportage con tanto di interviste video per capire come questi ragazzi vengono accolti da un’isola abituata da anni a fare da tappa di transito a questi migranti che arrivano disperati dalle coste africane. Una terra di confine che rappresenta la fine dell’Europa e l’inizio di una vita nuova per chi arriva dall’Africa. Tombe bianche, accarezzate dal sole forte, quasi schiaffi di caldo su volti che nonostante tutto sorridono. Il cimitero di Lampedusa è qualcosa di strano, scordatevi le classiche tombe di famiglia, qui ognuno torna in cielo da solo, e la gente del posto lo sa, e così gli abitanti ‘offrono’ le tombe a chi non ce l’ha fatta, si accollano il costo, anche questa è accoglienza. Accogliere qui per tornare lassù. Come Welela che don Enrico incontra proprio al cimitero, una giovane migrante morta per ustioni formatesi su tutto il corpo a seguito della combinazione tra esalazioni dei motori nella stiva, schizzi di carburante e acqua marina . “Nessuno l’ha dimenticata nel suo passaggio – racconta il prete di Lampedusa a don Enrico – era una persona mentre per i protocolli sei solo l’ennesimo caso”. Perché a Lampedusa si muore anche di quello, non solo per annegamento, macchè, si muore e basta, anche così, le esalazioni dei motori misti a schizzi di carburante con l’acqua marina producono forme di ustioni sulla pelle e si muore. “E si è come sospesi, perché lì è così, quando intervengono le forze di polizia o l’elisoccorso per esempio per una donna incinta, non ci si preoccupa di avvisare o cercare il tessuto famigliare di quella persona, ma si bada solo a curarla, il rischio è di essere sempre soli, senza punti di appoggio”. Don Enrico il cimitero di Lampedusa ha imparato a conoscerlo bene: “Tra il cimitero vecchio e nuovo di Lampedusa dove isolani poveri nel primo e meno abbienti nel secondo risposano con migranti conosciuti e sconosciuti. Molti di questi sono ricordati con epigrafi laconiche scritte in gergo amministrativo militare . Ci si sta organizzando per ritrascriverle restituendo un volto e una storia a queste persone. qui dove sono seppelliti i corpi viene ogni giorno disseppellita la memoria nei legami che si sono intrecciati e che fanno sentire viviquei morti appartenenti a una umanità e terra comune. Al custode del cimitero che anche sulle tombe dei migranti di identità appartenenza e religione incerta ha posto una croce di legno quando qualcuno gli ha fatto osservare che aveva fatto qualcosa di troppo nella sua semplicità ha espresso la profondità che anima un cristiano comune; qui da noi se non avessi messo una croce sarebbe passato che loro non sono come noi…

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