Giorgio Casanova l’Inter ce l’ha nel dna sin da quando era ragazzino. E quando il dna chiama, il cuore risponde. E ha risposto con una bomba d’arte che ha trasformato Giorgio in un’artista che ha conquistato l’Inter, i suoi giocatori e i suoi tifosi. Giorgio Casanova, bergamasco doc, è diventato così il pittore ufficiale dell’Inter, quello che incanta con i suoi tratti di pennello. E così i quadri di Giorgio sono appesi nelle case di giocatori dell’Inter, di ora e di ieri, ma anche al Botinero, storico ristorante di Javier Zanetti in Brera a Milano e un po’ ovunque. Perché i quadri restano per sempre. Così come i trofei: “Ho cominciato da ragazzino frequentando una scuola di grafica e disegno a Bergamo, avevo la passione del disegno, ho lavorato per una ditta che si occupava di scenografie e nel tempo libero disegnavo e coloravo le Vespe dei miei amici, creare mi faceva star bene”. Giorgio, 58 anni, racconta quella passione che ha sempre avuto come minimo comune denominatore l’Inter: “Ho cominciato tantissimi anni fa associando alcuni animali ai giocatori, ad esempio il cucciolo Cuchu Cambiasso, ma anche Cordoba, Zanetti, i miei disegni hanno cominciato a girare nei club di tutta l’Italia, nelle cene sociali, dove invitavano i calciatori, e così mi hanno notati e mi ha chiamato Bedy Moratti, mi ha portato ad Appiano Gentile, ho conosciuto Javier Zanetti e tutto il resto della squadra. E hanno cominciato a commissionarmi quadri, ritratti a tema Inter. Anche perché fino ad allora nelle cene sociali magari donavano ai giocatori cesti o altro ma i club volevano qualcosa di più personalizzato e quando hanno visto i miei quadri hanno cominciato a chiedermeli”. E da lì è nata la vita di ritrattista dei giocati dell’Inter, ritrattista molto amato a giudicare dalla quantità di quadri che Giorgio ha prodotto e sta producendo per le case dei giocatori. ‘Artisticamente Inter’, si chiama così lo studio dove Giorgio crea e di aneddoti ne ha a bizzeffe: “Ricky Alvarez prima di andare in ritiro con la Nazionale ha voluto un quadro con raffigurato lui che guardava Gesù, lui è molto religioso, ha voluto un Cristo allegro, gioioso, da portare in casa e tenere appeso”. Ma anche Lucio: “Che mi ha confidato quando è stata vinta la Champions che sarebbe andato alla Juve e me lo ha detto piangendo”. I tuoi quadri fanno parte dell’arredamento del ristorante di Zanetti, il Botinero, in Brera: “Zanetti mi ha portato a vedere il locale e mi ha chiesto di riempirlo di quadri, mi ha detto di farlo diventare la mia galleria d’arte. Ed esporre lì è una grande soddisfazione, lì passano giocatori da tutto il mondo. Uno dei miei quadri è proprio vicino alla maglia con cui Maradona ha vinto il mondiale”. Poi la chiamata per il Museo di San Siro: “L’Inter mi aveva chiesto di lavorare solo per il Museo ma avrebbe voluto dire dipingere anche per il Milan. E io ho detto no, non ce l’avrei davvero fatta”. Già, Giorgio segue il cuore e il cuore è solo nerazzurro: “Sono felice così, la famiglia nerazzurra non ha tempo, solo passione, tanta passione. Sono amico dei giocatori di tanti anni fa, di quelli di qualche hanno fa come Nicola Berti e di quelli di ora, il tempo non esiste. Ho un ottimo rapporto con la famiglia Facchetti, con Gianfelice, i figli del grande Giacinto, insomma, attraversare l’inter attraverso i volti dei giocatori di tutti i decenni è come uscire dal tempo”. Riccardo Ferri, storico ex giocatore e ora dirigente dell’Inter è un affezionato dei quadri di Giorgio: “Vado spesso a casa sua, siamo amici”. Giorgio ormai lavora solo su commissione: “Il lavoro è tanto, e per fare un quadro come dico io, ci vogliono parecchi giorni, niente nasce per caso, utilizzo varie tecniche, dalla tempera all’acrilico all’olio. Ora da qualche tempo sto realizzando anche le cosiddette ‘mattonelle’ di ceramica che poi ricuocio al forno”. Giorgio ha una sua particolare concezione dell’arte: “Io non cerco l’arte che va spiegata ma l’arte che dà emozione, quando qualcuno guarda un mio quadro o quando io guardo un quadro devo sentire dentro un’emozione forte che non ha bisogno di spiegazioni”. Giorgio racconta e quando parla dei suoi quadri e della sua Inter si illumina, racconta aneddoti su Lautaro Martinez, su Handanovic: “E poi ho toccato con mano la difficile situazione di Ranocchia, che ha vissuto momenti duri all’Inter, poi si diventa amici, confidenti, ed è questo il bello del mio mestiere, che quando ti commissionano un quadro ti fanno entrare nelle sfumature della loro anima quando ti spiegano cosa vogliono e cosa sentono dentro”. Con la famiglia Moratti anche il lavoro era un’altra cosa: “Era tutto più famigliare, poi con l’avvento di Thoir tutto è diventato più aziendale, chiamano, commissionano, crei e consegni. Ma il rapporto con i giocatori è rimasto immutato, raccogli la loro fiducia, i loro racconti. Molti di loro sono religiosi, chiedono quadri con frasi su Dio o immagini particolari”. Dopo una vita allo stadio ora Giorgio preferisce vedere le partite a casa: “Dopo tantissimi anni ho cominciato a soffrire di claustrofobia, troppa gente, guardo le partite da casa e dipingo e quando dipingo sto bene”. Giorgio è un fiume in piena di aneddoti: “Ricordo quando abbiamo fatto il triplete, sono stato alla Pinetina e ho consegnato a ogni giocatore un quadretto”. Tu dipingi, ma da ‘spettatore’ chi è il tuo pittore preferito? “Amo la pittura di Caravaggio. La sua scuola classica, l’idea delle luci e ombre, le figure particolari, insomma, quel tirare fuori l’anima dai volti è bellissima”. Giorgio racconta Francesco Cìccio Colonnese: “Ha perso papà e mamma in poco tempo, così mi ha chiesto un ritratto particolare di loro due, mi ha mandato una foto del suo matrimonio dove si vedevano anche papà e mamma, ho estrapolato i loro volti e creato un quadro particolare, era felicissimo. E vedere la gente felice per un mio quadro è la mia soddisfazione più grande”. Giorgio ama l’impressionismo: “Mi piace moltissimo quell’idea di riuscire a trasmettere emozione con un solo tratto di pennello dove poi ognuno con la mente può arrivare dove vuole. E’ una forma d’arte che inganna il cervello. Non amo l’arte perfezionista, che ritrae in modo perfetto volti e copri, io voglio lasciare spazio al sogno, alla riflessione, al viaggio. Così come non amo i critici d’arte, l’arte è qualcosa di talmente personale che nessuno può dire che qualcosa va bene o meno, ognuno si esprime in modo diverso. Io quando dipingo intraprendo un viaggio, e non so dove mi porterà quel quadro, lo lascio andare sperando e sapendo che fra qualche anno, qualche decennio, quando i nostri stadi saranno dei grandi centri commerciali dove trovare di tutto e non solo il calcio, qualcuno guardando i miei quadri, che magari rappresentano anche San Siro, potrà fare un viaggio nel tempo, in un tempo che non passa mai. Perché vedi, la bellezza di questo mestiere è che viaggi sempre nel tempo, l’altro giorno stavo lavorando a un quadro su Sandro Mazzola e poco dopo cominciavo un quadro che riguardava Lautaro Marzinez, una distanza di decenni, ma il bello è proprio questo, io comincio più quadri contemporaneamente perché poi ogni giorno ci sono emozioni e momenti che mi spingono a continuarne uno piuttosto che un altro. Il quadro è questo: emozione, passione e arte. Come il calcio. O meglio come l’Inter”.