ANTONIO PERCASSI: “Se non c’è passione… il calcio, economicamente, è solo mal di testa” Atalanta: bilanci in rosso per due anni. Nuovo stadio “La crisi economica è un’opportunità per chi punta sulla qualità. I centri commerciali sono la nuova industria” “Un sogno? Riportare l’Atalanta in A e far diventare Bergamo sempre più importante nel mondo ”
Gli uffici sono lì, tra un dedalo di strade e l’Orio Center, il centro commerciale che per l’occasione riporta sull’immensa facciata la A di Atalanta, che tutti sappiano, Antonio Percassi c’è e vuole entrare nel salotto buono del calcio che conta, A come Atalanta ma anche come serie A, e di serie A sono i centri commerciali che Percassi sta costruendo un po’ dappertutto. Calcio ed economia. Aria di mezza estate, che si infila e scalda tutto troppo, ma qui sembrano non sentirla, il dedalo di strade porta tutti nella stessa direzione, Orio Center e il parcheggio trabocca di auto. Antonio Percassi arriva in ufficio con una camicia bianca che fa da sfondo all’abbronzatura, ma per le vacanze c’è tempo. Cominciamo. La passione Perché ha comprato l’Atalanta? “Perché è una grande passione”. Solo per quello? “Lo so che è una riposta che potrebbero dare tutti ma ce ne vuole davvero tanta di passione per spingerti a fare certi passi. Se si guarda l’aspetto economico è un investimento notevole in un momento in cui l’economia non è delle migliori, se dovessi guardare solo quell’aspetto magari i soldi qualcuno li investirebbe nell’azienda. Se non c’è la passione non si fa nulla, c’è parecchia gente che ha disponibilità economica ma non si avvicina comunque al mondo del calcio, non lo sente come qualcosa di forte ma solo come un problema, come un mal di testa. Per me invece è una passione che tiene conto anche dell’aspetto sociale, l’Atalanta la amano in tanti, ha un grosso seguito sia in città che in provincia e questo era il momento di intervenire. C’era sotto una situazione delicata che è nota a tutti, inutile spiegarla ed era il momento di dare una mano concreta”. Il nuovo stadio: non solo partite Qualcuno dice che l’ha comprata perché vuole fare il nuovo stadio: “Sfido chiunque a dirmi che vantaggio c’è a fare lo stadio o a dirmi che utili ci sono. Certamente la nostra intenzione è quella di farlo e lo faremo. E’ nell’interesse dell’Atalanta fare lo stadio”. Non ci saranno utili, però tutti dicono che fare uno stadio è vantaggioso, penso alla Juve che ha parlato di ‘affare’ e si vanta di farlo per prima. “E’ sicuramente una potenzialità perché si ha una struttura che non è destinata solo alla semplice partita di calcio, altrimenti di fatto la usi tre ore al mese visto che ci sono due partite in casa e due fuori. Se uno pensa di investire solo per le partite è folle. Il problema invece è creare una struttura nuova e polivalente in grado di sviluppare un mondo Atalanta, sto pensando a un’operazione completamente diversa dalle solite”. C’è un modello? Magari quello inglese? “Gli inglesi hanno un modello comunque diverso da quello che immagino, io vorrei prendere spunto dal mondo in cui opero e aggregare diverse situazioni uniche nel loro genere”. “Me ne andai per divergenze con Miro Radici” Lei era già stato Presidente dell’Atalanta, perché se ne era andato? “Ci sono stato per 4 anni, poi ho avuto discordanze di vedute con un altro azionista”. Chi? “Miro Radici”. Era in minoranza? “Sì, e quindi quando c’è il momento del confronto e non si condivide qualcosa è difficile trovare un accordo, ho preferito quindi andarmene”. Bilancio in rosso per due anni Lei è un imprenditore con un’esperienza internazionale, un imprenditore che mastica economia e finanza, ma le cifre che girano nel calcio generano un mercato reale o si tratta di bolle speculative? “Il mercato c’è, basti pensare che in Italia tra serie A e serie B arriviamo a due miliardi di euro di fatturati complessivi reali”. Nessun bilancio gonfiato? “Sono lì da vedere, ricavi, introiti, tutto documentato, diritti televisivi piuttosto che introiti pubblicitari, insomma bisogna documentare tutto”. Però adesso l’Uefa ha deciso che tutte le squadre devono mettersi in regola con i bilanci entro il 2012 quindi vuol dire che proprio tutto apposto non era: “Beh, bisogna spiegare bene il nuovo regolamento Uefa. Dal 2012 in poi bisogna spendere in base ai ricavi veri che ci sono, l’azionista non è più il riferimento che ha la forza finanziaria”. Un po’ come Moratti all’Inter che quando serviva ripianava i debiti e immetteva capitale? “Esatto, se un’azionista forte a un certo punto si stanca di mettere quattrini rischia di mettere in difficoltà la società perché sinora ha vissuto con introiti extra, le nuove regole dicono che si spendono solo i soldi ricavati e l’azionista non può mettere altri soldi. E’ una regola che dovrebbe determinare una soluzione migliore per tutto il mondo del calcio”. E com’è il bilancio dell’Atalanta? “Quest’anno chiude in perdita, anche l’anno prossimo chiuderemo in perdita. Purtroppo con la retrocessione ci sono una ventina di milioni in meno di introiti televisivi, un anno difficile”. Quantifchiamo: “Sette milioni e mezzo di diritti televisivi per la serie B contro i 32 della serie A e noi vogliamo riportare da subito la squadra a un livello importante di categoria, il ritorno in serie A è prioritario, per questo abbiamo deciso di tenere l’ossatura centrale dei giocatori più importanti e integrarla con volti nuovi”. Obiettivo obbligato quindi risalire subito: “E anche per il bilancio sarebbe un cambiamento notevole”. “Ho smesso di giocare a 23 anni” Lei giocava nell’Atalanta, fine anni ’70, ha smesso giovanissimo: “Ho smesso a 23 anni, era il 1978”. Una carriera con molti big al fianco. “Ho giocato in serie A e in serie B con gente come Scirea, Cabrini, Fanna, tanti campioni, alcuni campioni del mondo”. E perché a 23 anni ha deciso di smettere? Serie A, giovane, calciatore, il sogno di tutti i ragazzi. “Ho deciso contro il parere di tutti, famiglia in testa, mi hanno dato del matto”. (Percassi sorride). “Ma visto le tante iniziative che poi ho fatto alla fne credo di avere avuto ragione”. Quanto era il suo stipendio da calciatore? “Due milioni di lire al mese, anni ’70, cifre importanti”. In quegli anni un insegnante prendeva 100 mila lire al mese… “E quindi io prendevo molto bene”. Anche se era ancora niente in proporzione agli stipendi dei calciatori di oggi. “Le cifre sono cambiate, il business è cambiato, il calcio è diventato uno spettacolo internazionale, mondiale. Vai in Cina, in India, in Africa, accendi la tv e vedi le partite del campionato inglese, spagnolo e italiano”. Il mercato statunitense Lei ha attività anche negli Stati Uniti, come va? “Bene, gli Stati Uniti hanno attraversato una profonda crisi ma le operazioni che abbiamo in corso vanno bene”. E il calcio a stelle e strisce com’è? “E’ in crescita, non è come il basket o il football americano però sta crescendo e ha enormi margini di sviluppo”. In questo momento che attività ha negli Stati Uniti? “Stiamo facendo operazioni immobiliari, i negozi che avevo li ho dismessi, stiamo rientrando nel mercato americano con una catena nuova e lo faremo nel prossimo anno”. L’incontro con Luciano Benetton Quando ha smesso di giocare aveva 23 anni, la sua famiglia operava nel ramo dell’edilizia, è stato lei a introdurre il ramo commerciale, da dove le è venuta l’idea? “Dall’incontro con Luciano Benetton, avevo 22 anni quando l’ho conosciuto grazie a un amico che era rappresentante per la Lombardia della Benetton. Poi è passato un anno, ero in giro con la squadra e il sabato nelle ore libere pomeridiane facevamo passeggiate in centro e notai che i negozi Benetton erano pieni di gente. Sono tornato a casa e il lunedì ho chiamato, mi sono presentato e ho cominciato a lavorare per la Benetton, l’anno dopo ho aperto il primo negozio Tomato a Bergamo. Da lì ho smesso di giocare e ho preferito tentare di rischiare e fare l’imprenditore”. A chi l’ha detto per primo? “A mio fratello Giuseppe e poi all’altro fratello Santo”. E loro? (Percassi ride) “Scioccati”. Cosa le hanno detto? “Te ta se mat, vai avanti a giocare e io invece ho detto ‘no, smetto’ e ho smesso”. Cosa le è scattato? “L’ho sentito dentro e quando senti una cosa dentro è la cosa migliore. Vedevo gli altri giocatori a fine carriera, prima per loro c’era solo il calcio e alla fine non mi sembravano attenti al mondo fuori, mi sembrava vivessero fuori dal mondo, troppo agiati e coccolati e dal giorno dopo che attaccavano le scarpe al chiodo la gente che fino a quel momento era lì a coccolarli sparisce, non c’è più e cosa rimane? Io volevo fare altro, vivere e sentirmi parte del mondo che cambia, che cresce”. E la sua famiglia l’ha seguita subito? “Sì, siamo ancora soci, 4 fratelli, siamo molto uniti”. Non litigate mai? “No”. Lei è l’ultimo dei fratelli e un giorno ha detto loro ‘va beh, apriamo il ramo commerciale’ e loro di punto in bianco l’hanno seguita? “Hanno sempre avuto fducia in me e credo che si siano trovati abbastanza bene, no?”. Catena di negozi Lei ha scalato subito il mondo dell’imprenditoria, come ha fatto? “Questione di sensibilità e di approccio al business dove mi sento più portato. Ho cominciato con un negozio, poi una catena di negozi, poi ci siamo allargati nel mondo e adesso siamo ancora qui con nuove sfide, nuove strade”. E per entrare nel mondo bisogna conoscere il mondo. “Sì, ho cercato di conoscerlo da subito, adesso con me ci sono anche i miei figli che con le lingue se la cavano meglio di me. Tre sono in azienda, anzi, ormai anche mia figlia, la quarta, è entrata”. Il “salvatore” dell’Atalanta Quando c’è stata la crisi della famiglia Ruggeri tutti hanno guardato a lei, nel mondo bergamasco ci sono anche altri imprenditori, ma tutti hanno individuato in lei l’unico che aveva la disponibilità finanziaria. Vuol dire che nel giro bergamasco lei è quello con più liquidità? “Non la penso così, ci sono altri che hanno la possibilità per fare un’operazione del genere, credo che i commenti siano legati all’esperienza, alla passione per l’Atalanta, al fatto che io sia nato nell’Atalanta dal punto di vista sportivo e umano. Una scuola di vita, a 13 anni ero nel settore giovanile, ho fatto il presidente per 4 anni dal ’90 al ’94. Ho lavorato e rivoluzionato il settore giovanile, gli abbiamo dato impulso, lo abbiamo fatto diventare il settore giovanile più importante d’Europa, un progetto a medio lungo termine che in quel periodo ha creato un grandissimo valore aggiunto”. E’ lei che ha portato a Bergamo Mino Favini? “Sì l’ho preso io nel settore giovanile”. E poi i grandi allenatori: “Prandelli, Guidolin e Lippi ma soprattutto ci tengo a sottolineare quel settore giovanile che ha consentito di reggere la squadra grazie alle plusvalenze proprio di quel settore, dove abbiamo investito, vinto e dove siamo diventati i migliori d’Europa. Credo siano state queste le credenziali aggiunte alle possibilità finanziare che hanno fatto indicare in me la persona giusta. Poi non so se sarò davvero io la persona giusta, lo dirà il tempo, comunque ci sono molte famiglie bergamasche che hanno capacità finanziarie superiori alle nostre”. Serie A e Serie B Intanto lei arriva quando c’è appena stata la separazione tra la Lega di serie A e di B: “Sì e adesso tra le due categorie c’è un abisso, non so se sia una cosa giusta però ormai l’hanno fatta, io sono arrivato quando le situazioni erano già in atto e non posso farci niente”. Non è un tentativo di scremare ulteriormente e di aumentare il divario tra le squadre in modo da arrivare a creare quel campionato d’élite europea di cui si parla da tempo? “Può essere, per questo è rischioso per le squadre di B che vogliono emergere e tornare in A, rimanere in B può essere rischioso, così come per chi dalla A scende in B, si rischia di perdere il treno”. E se l’Atalanta non dovesse tornare in A? “Dovremmo rivedere tutta la struttura dei costi drasticamente. Vorrebbe dire che i giocatori non hanno espresso le potenzialità che secondo noi avevano, ci renderemo conto del perché e prenderemo le dovute decisioni”. La crisi economica come opportunità Torniamo all’economia, il fatto che abbiano guardato tutti a lei vuol dire che ha una fama di uno che ci sa fare con gli affari. Come va l’economia bergamasca? “Penso che in una situazione difficile come questa si creano grandi opportunità, il mercato è cambiato, va velocissimo, bisogna prendere le decisioni al momento opportuno, entrare nei business che hanno maggiore valore aggiunto, avere una struttura efficiente, uomini di eccellenza, sapere scegliere i settori. Noi abbiamo avuto la fortuna e la bravura in questi anni di avere ottimi risultati”. Il gruppo Percassi è nato nell’edilizia, un settore adesso in crisi: “Noi nasciamo da lì e poi facciamo altro, con il mondo immobiliare non strettamente costruttivo”. L’economia bergamasca aveva nell’edilizia il ceppo duro, ricordo che già negli anni ’70-80 voi avevate tentato un’edilizia diversa, penso al borgo di Onore: “Noi abbiamo sempre puntato sulla qualità residenziale, dal terziario al commerciale, la qualità ha fatto la differenza su tutti i nostri progetti. Il salto di qualità è stato reso possibile grazie a un prodotto di notevole fattura che ci ha premiato perché siamo stati molto innovativi sul business immobiliare del commercio a livello internazionale. Il know how che ci siamo creati è stato tradotto in operazioni immobiliari di rilievo, penso ad esempio a Orio Center, operazioni valutate molto positivamente dai fondi internazionali che poi ti consentono di fare operazioni molto importanti”. Il vostro settore edile dunque tiene. “La qualità regge sempre, magari si fa più fatica a vendere ma le opportunità sono tante e importanti, i business park, i centri commerciali, gli outlet, il focus è lì, il residenziale è parziale, limitato”. Centri commerciali, facciamo il punto su quelli che avete realizzato e state per realizzare: “Da Orio Center alla Franciacorta, l’Outlet Village, a quello in Valdichiana in Toscana, ad Antegnate, e poi in Sicilia, poi la nuova sede IBM di Segrate… E adesso stiamo lavorando in America per un progetto turistico commerciale e residenziale denominato Canyon Forest Villane all’ingresso del Parco Nazionale del Grand Canyon in Arizona. E per i centri commerciale ne stiamo valutando uno nel sud della Francia”. I centri commerciali: la nuova industria In Val Seriana la crisi tremenda del tessile lascia a piedi migliaia di persone, non è strano che ad Albino ci si butti sulla realizzazione di due centri commerciali, a Costa Volpino se ne voglia realizzare uno appena più piccolo del suo di Orio? “Dipende da dove vengono collocati, deve esserci un bacino di utenza che li sorregge, di fatto i centri commerciali sono la nuova industria. Se sono valutati in modo corretto, se tengono conto di questi aspetti sono operazioni molto interessanti”. (Percassi ha una sua idea precisa di centro commerciale). “Dipende tutto dal contenitore e dai contenuti. Ci sono centri commerciali di serie C, di serie B, di serie A e da Champions League, e questi ultimi sono quelli che reggono sempre e noi cerchiamo di realizzare solo quelli da Champions League. Danno garanzie alle aziende che entrano, al pubblico e permettono di sostenere ed affrontare la crisi e di combattere la concorrenza”. Rigiro la domanda, ma la proposta di realizzarli proprio dove c’è una depressione economica non è un controsenso? Dove trova la gente i soldi da spendere se non lavora? “Non la vedo così, si dà un servizio a una zona, dipende sempre dal bacino di utenza, dalla quantità di persone che ci stanno, se studiato attentamente funziona, ma va studiato. Noi scartiamo tantissime iniziative che ci propongono settimanalmente perché non hanno garanzie, non bisogna lasciare niente al caso”. Clusone, la mia città solo comprimaria Lei è di Clusone, cosa manca a Clusone? “Beh, Clusone dovrebbe essere la città più bella del mondo, sono nato a Clusone e la amo, ha potenzialità enormi ma mancano le infrastrutture fondamentali. Dovrebbe essere il centro dominante della valle e invece non c’è nemmeno una palestra attrezzata per il campo da calcio, non c’è un palazzetto”. Così l’Atalanta è andata a Castione e Rovetta… “Sì, basta citare l’esempio dell’Atalanta. E’ andata in albergo a Castione perché a Clusone non c’è un albergo degno di nota, è andata sul campo di Rovetta perché a Clusone non c’è un campo con la palestra. Siamo andati a Clusone a giocare due partite ma non ci siamo potuti fermare di più, mancano le infrastrutture essenziali che dovrebbero essere l’abc di un paese che a livello turistico vuol essere importante. Mancano alberghi, ricettività e infrastrutture. Clusone dovrebbe essere il primo attore assoluto e invece è un comprimario”. E come mai non le ha, queste strutture? “Non lo so, ho incontrato il sindaco Olini quando l’Atalanta ha giocato a Clusone, l’ho punzecchiato e mi ha detto che la palestra la vuol fare”. Intanto però questa amministrazione ha eliminato il Palazzetto… “Non lo so, dico solo che così Clusone non può comandare nessuno ed è un peccato”. Altezze e bassezze della politica Perché non si è buttato in politica? “Bisogna essere capaci di fare politica, non siamo all’altezza…”. Oppure alla bassezza? (Percassi ride). “Questo lo dice lei. Però…”. Però? “Però ci sarebbe tanto da fare a Clusone”. E volete fare qualcosa? “Non lo escludo, se troviamo una amministrazione a Clusone che ha voglia di collaborare ma è tutto da vedere, se veniamo su è perché siamo i Percassi, non so, i tempi sono passati, però vedo che ci sono amministrazioni che ci fanno ponti d’oro pur di fare insieme iniziative”. E Clusone no? “No, forse non ci siamo presentati noi con iniziative di rilievo”. Atalanta a S. Pellegrino Intanto andate a San Pellegrino: “Dove abbiamo trovato un’amministrazione disponibilissima, così come la Provincia e la Regione per un progetto internazionale. Il brand di San Pellegrino è un brand mondiale, siamo interessati al rilancio dell’iniziativa, sappiamo che è molto difficile perché ci stanno provando da molto tempo ma noi ci crediamo”. Quindi l’Atalanta andrà a San Pellegrino? “Anche a San Pellegrino”, dove per altro ci andavano anche grandi squadre come l’Inter. Azionariato popolare Un lettore di Albino mi ha scritto una lettera dove chiede di girarle una domanda: perché non fa l’azionariato popolare per l’Atalanta? “In Spagna, a Barcellona, Real Madrid, Siviglia c’è e funziona, non si può escludere nulla, si tratta di organizzarsi, potrebbe essere una soluzione, vediamo”. Intanto lei ha lanciato mediaticamente la grande operazione del record degli abbonamenti, come va? “Molto bene, il record è di 17.400 e ci siamo quasi”. Un successone: “Sì, la reazione è stata fantastica se si pensa che c’è di mezzo una retrocessione, siamo in serie B”. Avete abbassato i prezzi: “Sì, oggi bisogna avere in testa il binomio prezzo e qualità, noi cerchiamo di mantenere i prezzi bassi mantenendo la qualità alta”. Quando prenderà forma l’operazione stadio? “I progetti saranno pronti per il prossimo anno e poi vediamo se ci sono le condizioni per partire”. Avete individuato l’area? “Abbiamo tre aree a cui stiamo lavorando, ma io so dove lo voglio fare, ho le idee chiare, poi magari non lo autorizzano ma lì è un problema politico”. I sogni di Percassi Lei è un imprenditore di successo, ha fatto i soldi, fa un mestiere che ama. Che sogno ha? “Di riportare l’Atalanta in serie A, di farla diventare una grande squadra e di far diventare Bergamo sempre più importante a livello mondiale. Così ci saranno due brand, quello di San Pellegrino e quello dell’Atalanta”. E lei che li rappresenta… “Almeno dovrei”. E si siede accanto ai grandi presidenti, ho il dubbio che spostino sempre l’obiettivo più in alto, per arrivare davvero come dice Galliani a quel campionato europeo d’élite: “Non è da escludere, per questo dobbiamo correre. Lei mi ha chiesto un sogno, sognare costa poco e io i sogni li voglio fare belli”. E i suoi fratelli cosa dicono? “Mi lasciano carta libera”. Sono dei santi, non per niente uno si chiama proprio così: “Può essere”. E i suoi fgli? “ Abbiamo faticato a dire di sì all’Atalanta, abbiamo fatto 3000 considerazioni ma adesso siamo convintissimi e anche loro saranno importantissimi a sostegno delle varie iniziative che abbiamo in mente, ognuno di loro seguirà uno specifico settore”. Gioca ancora a calcio? “No, non ho più giocato, corro il sabato e la domenica in Città Alta, dove vivo, dietro Valverde, sto bene lì, il posto ideale per correre e rilassarsi”. Perché anche le grandi passioni ogni tanto hanno bisogno di ossigeno.