(Dal numero del 21 giugno 2024) Sono i pomeriggi lunghi e monotoni della primavera 2020. La pandemia di covid costringe tutti a stare bloccati in casa. Matteo Trussardi dal suo appartamento in via Sales alle Fiorine vede il colle di Crosio e i prati dell’altopiano colorarsi di verde cullati dal sole di marzo. «In quei mesi stavo studiando per fare l’esame del secondo livello dell’Onav, quindi stavo approfondendo la geografia e la geologia del vigneto. Guardavo fuori dalla finestra e mi domandavo perché mai nessuno avesse piantato la vite a Clusone?» Per rispondere a questa domanda Matteo formula alcune ipotesi e chiede aiuto al più fine conoscitore della storia locale: il maestro Mino Scandella. «Ci siamo scambiati qualche mail e per questo lo ringrazio.» Spiega il fiorinese classe 1991: «Lui mi ha detto che erano stati fatti un paio di tentativi in passato ma mai andati a buon fine per diversi motivi, mai troppo ben descritti. Da lì ho iniziato a fare un’analisi del terreno e ho iniziato a contattare qualcuno per capire se fosse possibile piantare un vigneto qui.» Matteo è curioso. Studia, cerca e approfondisce. «Ho trovato un’indagine geologica che era stata fatta ai piedi del monte Crosio. Questa diceva che sotto c’è sabbia. Perciò ero arrivato alla conclusione di piantare delle varietà bianche che sono ideali per terreni sabbiosi e drenanti.» A questo punto il trentatreenne dagli occhi di cielo sfumati di foglie ha bisogno di qualcuno che gli dia una mano per trasformare quelle idee in un vigneto vero, fatto di lavorazione della terra, posizionamento dei pali, dei filari e piantumazione delle barbatelle.
«Allora ho chiesto a Betty e Manolo, i proprietari dell’enoteca Bricconbacco, se conoscevano qualcuno che potesse aiutarmi.» Mentre Matteo attende una risposta, nel negozio clusonese di vini si presenta Andrea Sala che sta cercando un terreno sull’altopiano baradello per provare a piantare un vigneto. «Lui ha già una sua cantina a Cenate che si chiama Pietramatta. Quando ha parlato del suo progetto, Betty e Manolo gli hanno dato il mio contatto.» Al primo incontro tra il fiorinese e il cenatese è subito colpo di fulmine imprenditoriale: «Tutti i miei appunti coincidevano con quello che aveva in testa lui.» Però, prima di trasformare questa idea in un vigneto, manca ancora un passaggio: Matteo deve chiedere a suo zio Riccardo Trussardi se i filari possono essere disposti sul suo terreno ai piedi del monte Crosio, tra le case di via Sales e la pista ciclabile. «Anche lui è appassionato di vino, perciò ha detto subito di sì. Così abbiamo dato avvio a questo esperimento in tre: abbiamo unito la mia passione e il supporto logistico che posso offrire visto che vivo qui vicino al vigneto, le conoscenze di Sala e il terreno di mio zio.» È marzo 2023. Poi la primavera e l’estate passano mentre Matteo e Andrea studiano gli ultimi dettagli e rifiniscono i numerosi adempimenti burocratici.
Così in autunno è tutto pronto per il vero lavoro sul campo: «Abbiamo iniziato con lo scasso. Anziché passare con un aratro, abbiamo fatto un lavoro di sollevamento del terreno con gli escavatori, chiamato scotennatura. Questo consente di muovere il terreno sottostante per permettere alla pianta di scendere con le radici in maniera più agevole, ma senza modificare la stratigrafia del terreno. Successivamente abbiamo messo i pali e i filari, dopo aver studiato quale fosse la disposizione ideale per l’esposizione al sole e per sfruttare al meglio lo spazio concesso per metter più barbatelle possibili.» L’inverno è finito e la primavera cerca di insinuarsi nei pochi spiragli lasciati dalle numerose perturbazioni. La terra lavorata con tanta cura e saggia pazienza è pronta ad accogliere le piante care al dio Bacco. «Nel marzo scorso abbiamo piantato poco meno di mille barbatelle su questo terreno di circa tre mila metri quadrati.» Racconta Matteo con fierezza mentre trova appoggio negli occhi buoni di Andrea: «Abbiamo scelto di piantare dei vitigni di nuova generazione, resistenti alle malattie e al freddo, quindi ideali per questa zona. Sono vitigni selezionati in Germania per climi freddi e per zone con problemi di umidità elevata. Si chiamano Piwi. Sono un incrocio avvenuto in natura, tra viti americane o asiatiche e quelle europee. Non sono Ogm, sono frutto di un’impollinazione naturale che consente di dare i geni della resistenza tipicamente americani o asiatici, mantenendo la qualità dell’uva europea.» La scelta di questa tipologia innovativa di barbatelle permetterà a Matteo e Andrea di portare avanti un vigneto ultra-bio, dato che richiederà pochi o nulli interventi con zolfo e rame che sono consentiti nella viticoltura bio. «Vogliamo evitare di fare ogni tipo di trattamento. Questo è stato il nostro prerequisito necessario. Avere i trattori che fanno avanti e indietro a spruzzare sostanze chimiche non è il nostro obiettivo. Vogliamo fare qualcosa di innovativo, non la viticultura tradizionale.» Chiarisce Andrea che già da dieci anni coltiva vitigni Piwi: «Funzionano e il vino viene molto buono.» La prima conferma della vigorosa robustezza di questa tipologia di vitigno Matteo e Andrea l’hanno potuta constatare in questi giorni: nonostante le quasi incessanti piogge degli ultimi due mesi le piante sono tutte in salute, nessuna è morta e stanno vegetando con foglie di un verde carnoso. Tutto ciò senza bisogno di nessun trattamento chimico. «Perciò forse il problema nel passato è che avevano sbagliato la tipologia di vite piantata.» Interviene il fiorinese del ’91, alla luce dei dibattiti con il maestro Mino e gli studi sui documenti dell’epoca. Visti i primi segnali incoraggianti Matteo e Andrea sono ottimisti e si concedono di fare delle speranzose previsioni: «Se tutto va bene già l’anno prossimo potremo fare la prima vendemmia. Dato che faremo un bollicine con il metodo classico, come si fa in Franciacorta e nella regione dello Champagne, l’affinamento in bottiglia sarà di almeno 24 mesi, se non di 36, quindi la prima bottiglia ci sarà tra quattro, ad inizio 2028.» L’ottimismo e la passione di certo non mancano a Matteo. Così come la conoscenza, la voglia di capire e conoscere sempre di più i segreti della vite. Le quasi mille piantine sono la somma di due tipologie di vitigni Piwi: bronner e souvignier gris. «Le diverse uve verranno vendemmiate e vinificate insieme. Il vino verrà prodotto ancora con l’etichetta della cantina di Andrea, così Pietramatta avrà anche il suo bollicine.» Tutto è pronto e studiato nei minimi dettagli per favorire la salute delle viti: dal doppio filare capovolto, all’altezza dei pali, passando per la maggiore distanza tra le singole piante di uva. Quello che ancora manca è il nome del primo bollicine made in Fiorine: «Prima cerchiamo di fare il vino, che è l’aspetto più importante. Al resto poi ci penseremo.» Scherza scaramantico Matteo: «Il nome del progetto con cui Andrea lo sta sponsorizzando è “Alte bolle”. Un altro nome casuale che è venuto fuori è quello del monte Crosio in dialetto che si dice “Crus”. In francese il “Cru” è un vigneto d’eccellenza, baciato dalla fortuna per fare il vino, quindi potrebbe essere propiziatorio. Oppure ci piacerebbe inserire in qualche modo Trussardi, il cognome mio e di mio zio.» Seppur molto coinvolto ed entusiasta di questo progetto vinicolo, Matteo, da buon geometra bergamasco, resta pragmatico e ben attento alla realtà: «Ho il mio lavoro, il mio studio “Nova architettura”. Questo mondo del vino mi piace e mi appassiona. Per ora vuole restare solo un hobby. Non sto facendo questo con una prospettiva di lavoro futuro. Però non si sa mai, che in futuro diventi qualcosa di interessante. È un progetto a medio-lungo termine come l’Atalanta di Percassi.» Così da storico tifoso atalantino sa che un progetto per crescere ha bisogno di pazienza, attenzione e tanto impegno. Ma fondamentale è anche il lavoro coordinato di tanti: «Se dovesse uscire qualcosa di buono dal nostro vigneto, avere degli altri produttori qui nell’altopiano sarebbe una buona occasione per collaborare e rafforzarci così da creare qualcosa insieme. Come sempre l’unione fa la forza. Noi siamo disposti a lavorare insieme ad altri viticoltori per dare un senso e una direzione comune. La bravura della Franciacorta, per esempio, è stata quella di mettersi insieme e infatti sono diventati un colosso.» Con un clima sempre più caldo, che porta ad anticipare sempre più la vendemmia, anche i migliori vigneti cercano luoghi più freschi, dove impiantarsi e far maturare con più calma le proprie uve. L’altopiano baradello se ben lavorato potrebbe diventare la culla ideale per la crescita di una nuova etichetta, con la sua esposizione al sole, i suoi venti rinfrescanti, il suo terreno drenante ricco di Dolomia e le sue dolci collinette che ricordano la Toscana. Se altri appassionati di vino avranno il coraggio di seguire e collaborare con questo esperimento, Matteo Trussardi con le sue mille viti ai piedi del monte Crosio, potrebbe diventare il Franco Ziliani dell’altopiano e il suo bollicine made in Fiorine diventare un marchio conosciuto, famoso e bevuto anche oltre il ponte del Costone.