“Con Amdaei litigavo, con Beschi non ho ancora cominciato…ma erano liti ‘sane’ lì ho capito cos’è la libertà”

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    Con Amadei litigavo, con Beschi non ho ancora cominciato… ma erano liti ‘sane’ lì ho capito cos’è la libertà”

    Il palazzone di Viale papa Giovanni è illuminato nella sera caotica cittadina. Ci si entra come in un guscio ovattato, vetrate, porte girevoli, ascensori. E poi il piano della redazione. L’ufficio del Direttore non è più là in fondo al corridoio dove Mons. Andrea Spada ha guidato la nave (era stato cappellano militare appunto in Marina) per mezzo secolo. Adesso è tutto cambiato, le vetrate opache dividono i vari settori. Solo c’è ancora quel “silenzio” che Don Andrea pretendeva, quando usciva dal suo studio e faceva su e giù per il corridoio leggendo il breviario e controllando che tutti facessero quello che dovevano fare. Adesso l’ufficio del Direttore precede la redazione. 130 e 53. Che non è un ambo secco ma i numeri che caratterizzano il binomio Eco di BergamoEttore Ongis, 130 anni il primo, 53 anni il 6 novembre per Ongis, il direttore più giovane del quotidiano più vecchio. Tardo pomeriggio di fine ottobre, Ongis se ne sta seduto nel suo ufficio. Fuori, ma neanche troppo lontano, L’Eco e Ongis tengono banco da settimane per due motivi diversi: il compleanno de L’Eco con il nuovo formato e il possibile (per qualcuno imminente) cambio della guardia sullo scranno da direttore. In mezzo giornalismo, scoop o presunti tali, amministrazioni, Chiesa e politica, e a noi interessa proprio quel ‘mezzo’ e da lì partiamo… Leone XIII e Garibaldi Cominciamo dal valore del giornale cattolico, rifacendomi a 130 anni fa, ho letto tutta la presentazione del primo numero del giornale, in quell’anno lontano, quella era un’Italia laica, al punto che Leone XIII accusava il parlamento di essere anticlericale e laicista. Ho letto che minacciava addirittura di trasferire la sede del Papato in Austria, di esiliarsi, dall’imperatore Francesco Giuseppe. Ma lo stesso anno Giuseppe Garibaldi si dimetteva da deputato accusando lo stesso parlamento di essere troppo supino verso i gesuiti. E la Curia di Bergamo in un clima di un’Italia nuova inventa un giornale cattolico? “La chiesa di Bergamo, non la Chiesa istituzionale, l’iniziativa è nata dal basso, dai laici, Nicolò Rezzara, fondatore di tantissime opere fra cui il Credito bergamasco ha fondato l’Eco di Bergamo, non la chiesa istituzione, ma l’hanno voluto i laici cattolici, alcuni parroci hanno aderito ma il vescovo (Camillo Guindani, appena succeduto nel 1879, a Pierluigi Speranza – n.d.r.) non era d’accordo. Era il 1880. Di fatto quindi il giornale non apparteneva alla gerarchia, ma al popolo, il passaggio alla chiesa istituzionale è avvenuto durante il fascismo, perché il fascismo voleva chiudere l’Eco, e allora venne fatta una raccolta di tutte le azioni e furono consegnate al vescovo per impedire di chiudere questa società, società ad azionariato diffuso”. Chi è stato il primo direttore? “Gianbattista Caironi, L’Eco è nato in quel contesto e per dar voce alla visione cattolica”. Intuizione incredibile per un cattolicesimo imbalsamato e piuttosto marginalizzato in Ettore Ongis, 53 anni il 6 novembre, direttore de L’Eco di Bergamo da 11 anni (a dicembre) e di Bergamo Tv. E’ stato il più giovane direttore de L’Eco di Bergamo (che quest’anno compie 130 anni), entrato nel 1990 a L’Eco come ‘praticante giornalista’, ha scalato tutta la piramide ed è diventato direttore a 42 anni. Giornalista professionista dal ’91, dopo un’esperienza come programmista a Radio 2 Rai è entrato all’Eco da redattore ordinario. Ha raccolto il testimone da Sergio Borsi. Ongis,vicino a Comunione e Liberazione: “Ma perché mi parla di Gesù Cristo e non per altro”, originario di Verdello, vive a Curno, è sposato, ha 4 figli maschi ed è laureato in flosofa. politica… “Ma la chiesa era protagonista in quel periodo, i cattolici come Rezzara erano in fermento, si stava muovendo nella chiesa della fne del secolo un nuovo protagonismo, la chiesa apre opere sociali, è vicina agli operai…”. Ma c’era la ferita grave, l’occupazione dello Stato del Vaticano, della Roma papalina: “Sì, erano anni in cui tra Stato e Chiesa il dialogo era difficile”. Nasce il giornale che annuncia ‘noi abbiamo un giornale e siamo fedeli al magistero’: “E noi siamo rimasti fedeli al magistero del Papa, L’Eco in questo è rimasto lo stesso in questi 130 anni, fedele. Adesso la proprietà del vescovo dal 75% è salita all’ 82%. Oggi appartiene alla chiesa istituzionale, al vescovo”. Il vescovo azionista…? “Beh, in effetti è la diocesi di Bergamo l’azionista di maggioranza, poi ci sono alcuni grandi imprenditori con quote minime, che tutte assieme però rappresentano il 15-20%. Di questi piccoli azionisti il maggiore è Pesenti ma poi ci sono Zanetti, Radici, Percassi, Bombassei…”. I Vescovi: Amadei e Beschi Quindi il tuo editore è il vescovo. “Sì”. Ti ricordi che numero sei di direttore? “No, prima c’era Sergio Borsi, prima di lui Gino Carrara, e soprattutto prima c’è stato Andrea Spada, per 51 anni. Anzi, ti faccio due calcoli, 51 anni Spada, 6 anni Gino Carrara, 4 anni Borsi e a dicembre sono 11 anni compiuti che sono qui”. A L’Eco hai fatto tutta la gavetta: “Sono entrato praticante, nel 90”, e ci stai bene? “Ci sto bene, sono contento, ho ancora voglia di lavorare e mettermi in gioco, è una bella azienda”. E’ cambiato il vescovo, tu con Mons. Amadei avevi un rapporto particolare perché era un tuo compaesano… “Sì, l’avevo, ma non perché era un mio compaesano, era di Pognano anche se era nato a Verdello, ma il legame forte c’era perché lo conoscevo fin da piccolo, poi per decenni non ci siamo più visti, ma si era creata una sintonia umana, un rapporto padre figlio molto forte”. Il vescovo si fa sentire come editore? Ongis sorride “Questa me l’ero segnata, sapevo che me l’avresti chiesta”. Prende un foglio, comincia a leggere ma poi alza gli occhi e va a braccio: “Vedi, Amadei aveva scelto il flo diretto con L’Eco, mi telefonava spesso, aveva scelto così”. Ti rimproverava? “Sempre a posteriori, mi rimproverava ma sempre a posteriori, non suggeriva, criticava ma sempre a posteriori, diceva ‘io avrei fatto così’, che è la peggiore delle critiche, non ti diceva che avevi sbagliato, ti diceva ‘io avrei fatto così’, è capitato alcune volte, molte volte, ed erano sempre osservazioni interessanti che ti facevano capire che lui conosceva molto meglio di te la realtà bergamasca, e che aveva una sensibilità ecclesiale 100 volte meglio della mia e conosceva la vita della gente meglio di me. Ricordo anni fa la vicenda di un uomo accusato di pedofilia sbattuto in prima pagina, Amadei chiamò e disse: ‘mi raccomando che una persona è innocente fno a che non è condannata’”. Non c’erano ancora i casi di pedofilia nella chiesa: “No, non era ancora scoppiato lo scandalo, era una persona che non c’entrava niente con la Chiesa e noi visto che stava crescendo la sensibilità nei confronti del reato di pedofilia ne stavamo parlando, lui suggeriva prudenza, e iinfatti abbiamo verificato in molti casi che le accuse cadevano pietosamente”. Ti attieni ai suoi consigli? “Ma sai, da un lato ho avuto come direttore Monsignor Spada che è stato direttore per 51 anni e aveva un’esperienza enorme su cosa è Bergamo, e poi ho avuto Amadei vicinissimo, esempi importanti, mi ricordo una delle cose che mi ripeteva sempre: ‘non dare troppo spazio alla cronaca nera’ e io sto capendo tutti i giorni di più che aveva ragione”. E lo dai ugualmente, lo spazio? “Lo do ma mi rendo conto che aveva ragione, non si può indugiare troppo sugli aspetti macabri. L’altra sera ho sentito una cosa molto bella in tv, che la tragedia greca è nata perché non avesse visibilità l’osceno, l’osceno è fuori dalla scena, il nostro mondo ha reso spettacolo l’osceno. Per cui oggi succede che vedi Bruno Vespa che si affascina con quello che è il plastico di Avetrana e ti fa partecipare a questo avvenimento ignorando che all’origine c’è la tragedia di una persona uccisa. Comunque non voglio eludere la tua domanda iniziale, fammi tornare indietro, dicevo che Amadei aveva scelto il filo diretto con l’Eco, Beschi nel governo della Chiesa preferisce una gestione più collegiale e quindi interagisce col giornale in modo più mediato”. Vuol dire che arrivano telefonate di altri? “No, ha nominato alcuni suoi riferimenti all’Eco, don Lucio Carminati e don Alberto Carrara, questo non vuol dire che l’Eco non gli stia a cuore, anzi, il vescovo Beschi al cambio di formato ha partecipato con entusiasmo e passione incredibile. Ho avuto l’impressione facendo questo lavoro negli ultimi mesi che il senso della svolta fosse più chiaro a lui che a me”. Cambio grafico e di sostanza A parte la grafica qual è il senso di questa svolta? “E’ una svolta complessiva, lui in consiglio di amministrazione ha detto: ‘Il cambio di formato è un cambio di sostanza, l’Eco di oggi è diverso, è una cosa molto più pensata”. Ho letto nel tuo editoriale di lancio che vuoi lasciare più spazio ai commenti, agli approfondimenti: “Non è solo quello, ma notizia per notizia sono più pensate. C’è una gerarchia più chiara, una maggiore proposta, sul New York Times si dice ‘tutto ciò che vale la pena pubblicare’. Ecco, L’Eco di oggi sceglie molto di più ciò che vale la pena pubblicare. Prima c’era un contenitore più grande. Adesso devi ragionare di più, scegliere quello che vale la pena di dare in evidenza e dare in una notizietta”. Chi giudica cosa vale la pena pubblicare? “Diciamo che usiamo i criteri del cuore che questo giornale esprime da sempre, e quelli che abbiamo imparato dentro una visione cristiana della vita e nel rapporto con le persone, i lettori decidono tanto di questo giornale”. Cioè? “Mandano una lettera che magari è una critica, ne teniamo conto, sempre. Il giornale è fatto come è fatto ogni giornale, a piramide, c’è una direzione, un direttore, poi a scendere ci sono tutti i giornalisti che partecipano a una costruzione di un’opera, c’è libertà e intelligenza, questa sono messe a confronto, si decide assieme, confrontandoci”. La stampa sta attraversando una crisi spaventosa, sembra che il destino della carta stampata non sia segnato a breve ma che non abbia però respiro, voi invece comprate una macchina da 30 milioni di euro: “20 milioni di euro il costo della macchina ma l’investimento complessivo è davvero di 30, compreso il capannone. Un investimento che è diventato negli anni di 60 milioni, gli ultimi 30 per ospitare l’ultima macchina”. Non siete da soli a stampare il quel centro: “Il centro stampa quotidiani è per il 50% del Giornale di Brescia che fa capo all’editoriale bresciana. Brescia a differenza nostra non fa riferimento alla Curia ma a un gruppo di laici cattolici”. Però ho visto nel Giornale di Brescia una foliazione più modesta rispetto a L’Eco: “Però lo dici tu”. Sorride: “Diciamo che hanno fatto una scelta diversa dalla nostra, loro hanno scelto di ridurre quello che avevano per non scioccare i lettori, sono filosofe diverse”. Come vanno le vendite col nuovo formato? “Anche con l’aiuto di questa promozione del boing stanno andando bene”. Siete risaliti? “Sì, abbiamo ripreso 3000 copie che sono un’enormità. speriamo che la cosa vada avanti. Il nuovo Eco è stato accolto bene, anche dalle persone anziane, si sono un po’ lamentati perché i morti sono… rimpiccioliti”. Ma così sono impaginati con più eleganza… “Sì, è vero ma gli anziani ci tengono a vedere la foto grande, comunque è stato accolto molto bene, i primi giorni c’è stato un problema di assestamento, il giudizio globale è positivo, qualcuno dice di avere nostalgia di quello di prima perchè si leggeva meglio, ma noi abbiamo confrontato quello di prima e quello di adesso, se li mettiamo vicini quello di adesso come corpo dei caratteri addirittura è più leggibile di quello di prima, solo che non si ricordano di com’era”. Giornale laico Siete rimasti l’unico quotidiano cattolico locale in Italia. “Ma il marchio di cattolico non ce l’abbiamo più, diciamo che siamo d’ispirazione cristiana”. Fate come i comunisti e vi vergognate a dire da dove venite? “No, il marchio l’aveva già tolto Spada, noi non siamo i portavoce della chiesa, siamo un giornale laico fatto da laici, un giornale che trova nell’esperienza cristiana le ragioni dei suoi giudizi”. Però con un editore vescovo? “Ecco, quello è un confine molto interessante, ma non è il giornale della diocesi, ma dei bergamaschi, e non va confuso con un grande bollettino parrocchiale, è un giornale locale e laico come tutti i giornali locali, che questo giornale laico manifesti una visione cristiana della vita è la sua specificità, nel momento in cui dovesse diventare un giornale di partito, di apparato più clericale cambierebbe la sua natura, non so se in meglio”. Monsignor Spada poteva far pesare coi vescovi i suoi 50 anni di esperienza e riuscire quindi a mantenerlo laico, non trovi più diffoicltà tu? “Monsignor Amadei ha mantenuto la linea di Spada, monsignor Beschi la ripete e quindi a me sembra si possa continuare a pensare a l’Eco come un giornale laico”. Monsignor Beschi mi aveva detto in un’intervista che stava valutando se questo giornale rappresentava davvero la provincia. La rappresenta? “Non lo so, dovresti chiederlo a lui, però le volte che l’ho incontrato mi è sembrato contento, è sempre importante capire cosa sta a cuore al vescovo”. “Non ci resta che piangere Vuol dire che ti lascia qui? “Anche questa domanda me la sono segnata, sapevo che me l’avresti fatta. Mi lascia qui fin che vuole nella totale libertà, con lui le cose sono nella chiarezza, fno a che vuole noi siamo a disposizione, quando decide di cambiare va bene così”. Il fatto che si sia riappropriato delle azioni, che abbia cambiato il cda, non ti ha toccato, anche a Bergamo tv ha cambiato il cda eppure tu sei l’unico che non è stato toccato: “Sì, ovviamente sento anch’io le voci di un imminente cambiamento, vedi, mi viene in mente una scena del film ‘Non ci resta che piangere’, Savonarola dice a Troisi ‘ricordati che devi morire’, Troisi fa un gesto scaramantico e poi dice ‘mo me lo segno’. Ecco, ce lo siamo segnati, va bene così, però tutti ‘sti guf’…” Ongis scoppia a ridere. E la voce di Boffo? “E’ una voce e una voce non è una notizia”. Non è vera? “Non lo so. Io se c’è stato il contatto non sono tenuto a saperlo”. Carta stampata e tv, tu sei direttore de L’Eco e di Bergamo Tv: “Due mezzi diversi, oggi la tv è molto più forte del giornale, l’immagine ha un impatto sull’opinione pubblica che richiede attenzione e cura superiore”. Hai tempo di dargliela questa attenzione e cura? “Là c’è un Vice direttore che viene in riunione con noi e manda avanti la tv, io guardo il tg tutte le sere, se non va bene qualcosa tiro su il telefono, non ti dico cosa dico quando tiro su il telefono, capita di arrabbiarsi. Adesso però dobbiamo fare un altro passo importante, questa azienda che ha la fortuna di avere radio e televisioni, un giornale cartaceo e sito web secondo i criteri della multimedialità deve creare il dialogo fra questi strumenti, dobbiamo imparare a lavorare insieme, non escludo che un giorno la redazione possa riunirsi, forse diventerà tutto più facile. Comunque guarda che io delego. Per la tv ad esempio c’è Romanò e i suoi collaboratori. Per il sito web Ceresoli e in due anni siamo stati ripagati con 57.000 contatti unici al giorno, un’esplosione. Alberto Ceresoli è molto bravo, lavora molto bene, se ha un dubbio lo pone, ma le cose che vanno, vadano avanti, non voglio controllare tutti, non voglio controllare tutto e tutti, non ce la faccio neanche”. Litighi con il vescovo? “Con Amadei tantissimo, con Beschi… non abbiamo ancora cominciato. Con Amadei erano liti sane, ma li ho capito cosa è la libertà, non è che uno fa sempre quello che vuole, viene fuori da un dialogo fra un io e un tu, non è sempre quello che hai in testa tu che è vero, tante volte ci si confronta scontrandosi”. E con Beschi? “Ripeto, non abbiamo ancora cominciato, lui ha molto rispetto dell’autonomia dei giornalisti. Ma non mi dispiacerebbe e credo che piacerebbe anche lui”. Incontratevi e fate una bella litigata. (Ongis ride) “C’è tempo ma lo faremo”. Comunione e Liberazione Dicono che tv e giornale sono in mano a Comunione e liberazione. “È una stupidaggine, quando io sono stato fatto direttore da Amadei mi ha chiamato e mi ha detto ‘io non scelgo cl, scelgo te’”. Però c’è stato bisogno della precisazione: “Evidentemente c’era all’interno della chiesa una aspetto critico e pregiudiziale anche legittimo nei confronto di cl, ma lui ha detto ‘io non ti faccio direttore perché sei di cl ma perché sei tu’. Peraltro che questo giornale sposi le istanze di cl con tutto il rispetto può sostenerlo chi non lo legge, cl va sul giornale come gli altri. Quando mettono assieme queste cose è perché non conoscono la realtà, ho molto rispetto di cl ma non ho mai chiesto a cl di difendermi sul mio posto di lavoro, è un problema mio, cl non è un ufficio di collocamento delle ambizioni della gente, io appartengo a cl perché mi parla di Gesù Cristo, non perché mi da potere”. Ti sembra che questo giornale rappresenti la diocesi, le parrocchie? “Ecco un tema difficile, fino all’ultimo con monsignor Amadei abbiamo discusso, ci sono molti parroci scontenti, non me lo nascondo, una parte della chiesa che non si riconosce, e non si é ancora aperto con le parrocchie un rapporto anche solo di dialogo, ci sono varie ragioni, non ultimo quella che Mons. Spada tradizionalmente non voleva che i preti entrassero all’Eco, li teneva a distanza, sottolineando ‘stai attento perché il giornale deve restare laico’”. Lui poteva permetterselo perché era prete… “Noi un po’ meno, detto questo però ci sono altri preti che hanno provato a guardarci con simpatia e ci hanno aiutato tantissimo, quelli che ci hanno dato consigli, aiuti, critiche”. Malcontento dei parroci Arrivano lamentele per interposta persona sul fatto che alcuni avvenimenti di qualche amministrazione leghista siano stati enfatizzati sul giornale rispetto alla posizione del parroco che in quel paese deve ingoiare rospi grossi e questo non ha fatto piacere ai parroci stessi. “Sì però noi siamo qui e non ho mai capito perché i parroci non ci chiamano e ce lo dicono, accade coi lettori normali, con loro no, mai una volta che si espongono. C’è questa difficoltà di una parte del clero a parlare col giornale, se hanno osservazioni da fare ci trattino come persone normali”. Perché non fai una pagina sulla diocesi? “La facciamo, a parte il fatto che non c’è nessun giornale che la fa”, Avvenire fa Catholica… “E noi la domenica facciamo 4 pagine sulla chiesa e inseriamo l’Osservatore Romano e poi tutti i giorni pubblichiamo le foto del vescovo che va nelle parrocchie, di Chiesa non ce n’è poca su L’Eco”. C’è, ma il paragone, senza offendere né gli uni, né gli altri, è come quando noi pubblichiamo le foto delle feste alpine, manca il sottofondo: “Non riusciamo a cogliere tutto, lavoriamo con centinaia di collaboratori e lì dipende dalla persona che è in quel posto, l’anno scorso ho parlato con tutti i collaboratori, gliel’ho detto ‘andate a sentire i parroci’, magari ci danno dei consigli sulla loro comunità e qualche volta accade e io di questo li ringrazio perché ci aiutano a capire le cose. Abbiamo 4 pagine settimanali dedicate alla chiesa di Bergamo, non manca la chiesa sul giornale, spesso mi domando cosa vogliono di più. Ce lo facciano sapere”. Perché hai messo l’Economia così in avanti nel giornale? “In un primo tempo l’ho fatto perché c’era il giornale spaccato in due, per farlo tutto a colori ho messo l’economia vicino, ho visto che funzionava abbastanza, ho fatto un sondaggio Ipsos tra i lettori e ho visto che la cosa era gradita a molti, va bene in quella posizione, in fondo alla cronaca non era più appetibile”. Monsignor Spada mi diceva che si sentiva un po’ tradito dal passaggio di Borsi, perché diceva che c’era un’ambizione regionale, Spada sosteneva ‘questi qui non capiscono che L’Eco deve rimanere provinciale e cattolico e poi aggiungeva… atalantino’. “Siamo tornati a Spada”. Sì però quando è morto Gianni Agnelli ricordo ad esempio che gli avevate dedicato 12 o 13 pagine, una in meno del Corriere: “Ma adesso siamo tornati all’origine. Noi siamo tornati lì anche per il rapporto che ho avuto con Spada, si fanno tante chiacchiere però Spada è stato contento, da questo punto di vista è stato riportato a casa, Borsi aveva una visione più regionale e nazionale, lui era stato a Milano, Roma, Torino, magari considerava poco il fatto locale che per noi era importante, ma è stato un direttore fondamentale, e gli va levato il cappello, soprattutto noi della redazione perché senza di lui non saremmo riusciti a cambiare come siamo cambiati, è stato lui l’elemento di rottura fra il mondo che Spada aveva costruito per 50 anni e che poi aveva perso un po’ di spinta, perché il tempo ti toglie le energie. Se non ci fosse stato Borsi L’Eco non sarebbe diventato quello che è diventato oggi, Borsi si è seduto attorno al tavolo è ha costretto una redazione piena di incrostazioni a lavorare, non eravamo più abituati a lavorare, ha mosso settori che erano diventati dei piccoli feudi, quando Borsi è arrivato c’è stata di nuovo una guida, è importante una guida in un giornale, e ha costretto tutti a collaborare, non si usava più, lui ha allargato nuovi orizzonti. Ricordo che c’era il povero Ferrante, un giornalista e Borsi gli dice ‘cosa metti domani su L’Eco?’, lui risponde ‘non lo so, pensavo che in un paese vicino in Sudafrica c’è un imprenditore di origine bergamasche che ha fatto successo. Borsi lo guarda e gli dice ‘va bene, domani vai’, Ferrante l’ha guardato, è sbiancato ma alla fine è andato in Sudafrica. Ecco, Borsi ha aperto gli orizzonti”. Giornalisti in estinzione A proposito di incrostazioni, al Corriere c’è stato uno sciopero, ci sono difficoltà, con la crisi della carta stampata se non c’è flessibilità si rischia di rimanere tutti a terra, tu trovi questa resistenza sulla flessibilità dei giornalisti e dei loro contratti? “Non conosco la situazione del Corriere anche se mi dicono che è molto più rigida della nostra, devo dire onestamente che molte cose che De Bortoli ha scritto sono vere, il contratto dei giornalisti risale a quando c’era il piombo, le cose adesso sono cambiate, fessibilità non vuol dire che una persona può far tutto e in qualsiasi momento, vuol dire costruire regole nuove, adatte al mondo di oggi”. Mi sembra però rivoluzione alla Marchionne, che dice le cose ma poi siamo lì col sindacato fermo: “Il sindacato deve fare un passo importante, il rischio dei giornalisti è quello di essere una categoria che se non cambia si estingue, deve cambiare, mi viene in mente una frase citata da De Bortoli, se sposti una persona da un settore, devi dargli lo stesso stipendio, lo stesso posto e la stessa situazione, se comanda uno di meno può farti causa perché ne hai diminuito la responsabilità, e questa cosa non sta né in cielo né, in terra, perché ci sono momenti in cui il giornale va avanti come una nave tranquilla e altri no, ed è giusto che chi è capace tiri avanti”. Voi come state a giornalisti? “Sono il primo a dire che L’Eco ha una redazione molto, molto forte”. Sovradimensionata? “Beh, negli anni scorsi è stata inserita molta gente”. L’hai inserita tu? “Io li ho proposti, diciamo che il direttore propone e il padrone dispone, noi oggi non abbiamo la possibilità di assumere nessuno, perdiamo una generazione, ne siamo consapevoli ma non ne abbiamo bisogno, non c’è più spazio”. Quanti giornalisti avete? Sono ancora 62 come qualche anno fa? “No, sono 56 giornalisti, con il prepensionamento e lo stato di crisi sono stati ridotti anche se non abbiamo mai licenziato nessuno, 130 anni senza licenziare nessuno è mica male”. Davvero? “No, non è vero, ma se ne sono andati altre figure”. Per forza di cose i tipograf, è cambiato il mondo: “Sì, per loro è un discorso a parte”. Una domanda tecnica, perché avete speso 30 milioni di euro per una macchina e non riuscite a fare un dorso unico, costretti a incollare i due dorsi? “Cosa ti rispondo? beh, perché si è deciso così”. Perché la macchina non riesce a fare un dorso unico? “Sì, diciamo che non è la migliore delle soluzioni possibili ma è la più realistica, altrimenti costava troppo, e in un momento come questo non possiamo permetterci voli pindarici, ci sarebbe voluta una macchina ancora più grande. Detto questo sono ancora incerto se non sia meglio spaccare il giornale in due piuttosto che incollare i due dorsi, perché se è spaccato non fa le grinze, aspetterò ancora un po’ e poi deciderò”. L’Atalanta e la Lega Quanto incide l’Atalanta sulle vendite? “Se perde perdiamo, i bergamaschi sono esseri strani, se perde non comprano il giornale, è un dato registrabile, il primo di questi è Tentorio, non riesce a leggere il giornale, già è ferito di suo e non vuole aumentare la ferita Se vince abbiamo un buon guadagno, se vince partite importanti un ottimo guadagno”. La Chiesa di Bergamo aveva e ha un apparato di informazione incredibile, L’Eco, Bergamo tv, Angelo in Famiglia, La Nostra Domenica, Alere e poi la radio, ma con tutto questo apparato… vince la Lega: “Sì ma è illusorio pensare che la gente voti quello che gli dicono i giornali, neanche se possiedi le televisioni vinci le elezioni per quello, pensare di condizionare l’opinione pubblica è illusorio. Ma la domanda della Lega è interessante e chiederebbe un’intervista a parte. E’ successo qualcosa nel profondo dell’anima bergamasca, hanno smesso di essere cristiani come lo erano prima, e a quel punto emerge quello che è la natura del bergamasco, il bergamasco è leghista, anche il bergamasco di sinistra è leghista, è la nostra natura, mitigata dal fatto di avere una fede che ci ha educato a guardare la vita in un certo modo, nel momento in cui c’è la scristianizzazione e c’è anche a Bergamo viene fuori ma la domanda dovrebbe essere ribaltata. Non perché la Lega vince, ma perché la Chiesa non convince? Ma questa domanda va fatta al vescovo”. La farò al vescovo ma intanto la faccio a te ‘perché la chiesa non convince?’. “Ma prima torniamo alla Lega, il segretario provinciale della Lega appena rieletto alla nostra domanda ‘voi parlate alla pancia?’ ha risposto ‘evidentemente se è così parliamo al cuore’, e lì mi è venuto un dubbio che in fondo la Lega su alcune questioni di fondo, sulla povera gente, visto che ha portato via la gente alla sinistra sia stata più efficace della sinistra. La Lega è l’unico partito che c’è, l’unico partito vero, e ha anche un po’ di stalinismo al suo interno che non fa male, se sgarri ti fanno fuori e ha una proposta politica chiara. Franco Cattaneo è andato a intervistare quel grande giornalista che è Enzo Bettiza e gli ha chiesto, ma lei vota Lega? ‘Sì per esclusione’, ecco, dovremmo chiederci quali sono le alternative. Su alcune cose la Lega e la chiesa cattolica non andranno mai d’accordo, non si può violare un diritto umano come quello dell’emigrazione, questo è sbagliato, sul fatto di aver richiamato una maggior attenzione sulla salvaguardia della propria identità invece ha ragione. Poi i pronunciamenti dei leghisti non li guardo, io guardo i fatti. E i fatti dicono che Bergamo città leghista ha accolto gli immigrati in una maniera degna, i luoghi di maggioGiornale di Bergamo, ci aiutano a non addormentarci. Ma comunque di libertà di stampa è pieno il mondo”. E adesso creare concorrenza sarà ancora più difficile, anche perché nessuno adesso ha voglia di entrare in un’impresa come quella di un giornale: “Sì, non sarà facile per nessuno. Comunque adesso la Diocesi di Bergamo possiede anche la Provincia di Como, Lecco, Sondrio e Varese, e li lascia nella loro tradizione che è evidentemente nel rispetto dei ruoli cristiani. Poi c’è Il Cittadino di Monza e una piccola quota nel Quotidiano di Lodi, inoltre abbiamo una buona collaborazione con il giornale di Brescia, insomma abbiamo creato la pedemontana dell’informazione”. E la chiesa potrebbe formare e convincere e invece no, come dici tu non convince, la chiesa non ha certo una carenza di valori da trasmettere che sono magari un po’ in disuso e un po’ scomodi da trasmettere, ma li ha… Ma non vanno a segno. “Questa è una bella domanda, perché in questi anni l’offensiva esterna contro la Chiesa è stata dura, e poi c’è una riflessione interna alla chiesa che è una delle cose da fare, lo dico con pudore da cristiano, certe domande bisogna farsele, invece di dire sempre che è colpa degli altri, o che il mondo è cattivo, lo era anche ai tempi di Gesù, perché il giovane di oggi è meno convinto dalla Chiesa? E non sono nemmeno sicuro come dici tu che necessariamente i barbari (leghisti ndr) rappresentino un pericolo, quando Alarico ha invaso Roma la prima cosa che ha detto è ‘le basiliche non si toccano’. Ci sono state tante amministrazioni leghiste che hanno tentato fughe in avanti, noi le abbiamo bastonate, hanno perso al tar e sono rientrate nei ranghi, ma io ogni tanto ho l’impressione che la lega sia molto scaltra. Non possedendo i mezzi di comunicazione spara alto, e noi giornalisti abbocchiamo sempre e fa più rumore segue da pag. 3 re integrazione secondo le statistiche si trovano al nord est, da noi Rosarno non è avvenuta, non lo dico da leghista, vuoi perché abbiamo una forte anima cristiana ma qui a Bergamo ci s o n o 15.000 boliviani non regolari e nessuno gli rompe le scatole”. La Pedemontana dell’informazione Sei stato il più giovane direttore del giornale più vecchio, a Bergamo L’Eco non ha concorrenza… “Sono contento che siano nati i siti perché sono una concorrenza, sono contento che Paolo Agnelli vada avanti con il di una stupidaggine di una cosa vera, la colpa non è della lega ma di un certo tipo di stampa”. Troppo moralismo Cosa farai di grande? “Non lo so, compio 53 anni il 6 novembre. Farò quello che Dio vorrà”. Hai voglia di fare altre cose? “Di voglia di far cose ne ho tantissime, ho tirato in piedi una scuola, ho una passione per l’educazione, mi piace tutto della vita”. Qual è la domanda che ti aspettavi e non ti ho fatto? “Quella della chiesa è interessante. Mi avevi detto al telefono che volevi parlare di come va il giornalismo. Bene, l’altra malattia del giornalismo, oltre al fatto che non verifica più le notizie, perché ci vuole tempo e soldi, e perchè si ha fretta e paura che ti brucino la notizia, l’altro difetto di noi giornalisti è il moralismo, siamo diventati troppo moralisti, visto che i parroci hanno perso la capacità di fare le prediche, ci siamo messi a farle noi. Certo giornalismo che viene avanti oggi scarnifica la vita delle persone, ‘spöl mia’, bisogna fermarsi. Il direttore de La Stampa domenica ha scritto un articolo bellissimo sulla vicenda di Sara Scazzi, ha parlato del velo pietoso, bisogna tornare a parlare del velo pietoso, il rispetto del lenzuolo bianco, che è sacro, vale per i morti e per i vivi”. Non è che nei talk show si è sbracati senza la scusa del giornalismo corretto? “Non credo, sono i giornalisti che sono diventati moralisti, dammi retta”. E poi sollevano il velo… “Già, tutti i moralisti sono disonesti, la morale è una tensione al bene e non è riuscirci sempre. Il moralista è sempre disonesto. Ritorno a Bruno Vespa, te lo dico perché mi ha colpito, ha detto al sindaco di Avetrana ‘lei deve impedire ai pullman di turisti di entrare ad Avetrana’, si è però dimenticato di dirci che se si risparmiava i suoi Porta a Porta nessuno avrebbe preso quei pullman”.