(Dal numero del 19 luglio 2024) È un pomeriggio di luglio. Caldo improvviso che sconfessa le previsioni catastrofiche di una stagione anomala. Ma nella sede della Gap, zona artigianale di Sovere, la temperatura è a misura di uomo (e di donna). Tra presente e passato che si intrecciano, ricostruiamo i 70 anni di vita di un’azienda che quest’anno avrà 600 dipendenti, un fatturato annuo sui 70 milioni. Prima il nome, il significato di Gap: che sta per Gianni e Aldo Piantoni. Per capirlo bisogna risalire al Patriarca della famiglia, Bortolo Piantoni, imprenditore, a lungo sindaco di Vilminore (dal 1949 al 1958 e dal 1964 al 1966) e poi presidente della Comunità Montana di Scalve, che fondò la prima società nel 1952. Non c’è più il fondatore, ma purtroppo non ci sono più nemmeno Aldo (morto nel 1980 in un incidente sul lavoro) e Gianni, morto nel 1998.
L’Impresa del nonno
“Il nonno aveva un’impresa intitolata a suo nome, a Dalmine, fondata più di 70 anni fa nel 1952. Aveva in appalto i trasporti della Dalmine. Anni dopo ha pensato di creare una società per i due figli, Aldo e Gianni. Ha acquistato un capannone qui a Sovere, zona via Roma, e ha avviato un’azienda di servizi per le acciaierie, non solo i trasporti che curava la società che già aveva, ma anche servizi complementari, recupero scorie, forno ecc. Poi, dopo qualche anno, la fusione tra la società originaria e la Gap. Il nome l’ha concordato con un suo amico commercialista di Lovere, il rag. Roppolo. Già nella denominazione, prima ancora che nella proprietà, ha voluto fosse chiaro che era dei suoi due figli. All’inizio era un’officina dove si aggiustavano i mezzi che venivano usati per i servizi nei vari cantieri, poi era anche un deposito di rottami. All’inizio lavoravamo ancora per la Dalmine, poi ci si è allargati, si lavorava anche per la Lucchini e altre acciaierie della Valcamonica. Tutto è partito da lì, nel 1975. E il nonno, per una decina d’anni, arrivava tutte le mattine da Vilminore, alle 7 del mattino era lì e la sera era l’ultimo ad andare via”. A parlare è la vedova di Gianni, Elena Guidi, originaria dell’Emilia. Dell’Emilia? Come vi siete conosciuti con uno scalvino?
Dall’Emilia a Scalve
“E’ una storia un po’ lunga. Io lavoravo a Bologna, ero segretaria della scuola dei Salesiani, c’erano più di 800 ragazzi in quel Centro di Formazione Professionale. Il direttore era un sacerdote, bresciano, che mi aveva assunto, prima erano tutti sacerdoti, anche per mansioni di ufficio. Poi fu mandato lì don Luciano Panfilo, originario di Vilminore. Lui non aveva la patente e un’estate mi ha chiesto se lo accompagnavo a Vilminore. E così, venendo su in valle, restavo su, ero amica della sorella di don Luciano, Ottavia, che ha la mia stessa età e poi si conoscevano gli amici, si era creato un bel gruppo. E così ho conosciuto Gianni”. Ma venendo da Bologna non si è sentita soffocare nella valle? “No, perché io lavoravo a Bologna ma sono di un paese dell’Appennino, Grizzana Morandi, si chiama così perché il famoso pittore Giorgio Morandi veniva spesso a passare periodi in paese. Quindi ero abituata alle… curve e alle colline”. Elena ha tre figli: “Eligio, che ha preso il nome di mio fratello, morto improvvisamente, Alda che ha preso il nome dello zio, essendo nata proprio nel 1980, quando è morto Aldo Piantoni, ed Elisabetta, nata dopo 14 anni, che ha preso il nome della nonna Elisa, la moglie di Bortolo. Quando è mancato Gianni, Elisabetta aveva solo tre anni. Quando girava col passeggino Gianni scherzava e diceva, ‘sono un nonno, non un papà’…”.
“Raddoppiato i numeri”
Con la mamma c’è l’attuale amministratore delegato della Gap, Eligio Piantoni. L’azienda ha abbandonato da anni quel primo capannone, adesso la grande e lussuosa sede è nella zona artigianale di Sovere. Veramente non è questa l’unica sede. Da quel capannone di Via Roma vi siete ampliati. E come azienda cosa fate adesso? “Ancora gli stessi servizi. Tutto quello che è movimentazione interna alle acciaierie, logistica della materia prima, recupero di scarti industriali… L’acciaieria è un impianto ed è di proprietà dell’azienda, ma tutto quello che le ruota attorno normalmente viene terzializzato. Serviamo molte acciaierie e da qualche tempo abbiamo iniziato a prendere in carico anche impianti all’estero, anche perché in zona, anche nella Valcamonica, a parte la Lucchini e poche altre, di acciaierie ce ne sono poche. Il grosso dell’acciaieria è rimasto nel polo bresciano, poi la Tenaris, poi a Cremona. Abbiamo dei cantieri fissi, con il personale, il parco mezzi, un responsabile…”. Quindi i 600 dipendenti non sono concentrati in stabilimenti, ma sparsi su decine di cantieri. “A Sovere abbiamo gli uffici, gestione del personale, ufficio acquisti. Negli ultimi sette anni abbiamo raddoppiato i numeri…”. Con un legittimo orgoglio la mamma interviene: “Da quando lui è amministratore…”. Suo figlio è un genio, avendo raddoppiato i numeri dell’azienda… “Sì, ha molta passione, ha fatto un po’ di gavetta perché, quando è morto mio marito Gianni, nel 1998, e sono subentrata io, non ero pratica del settore. Quando è morto il fratello Aldo, Gianni si è buttato a capofitto nel lavoro, aveva messo su anche una immobiliare, la ‘Verde Casa’, perché diceva, la siderurgia può subire dei cicli negativi, bisogna diversificare”
Il “Franceschetti” al Passo
Gianni, ricordo, aveva comprato anche il grande Albergo Franceschetti al Passo della Presolana. “Sì, lui aveva un forte amore per la montagna e la sua valle. In proposito sosteneva che se i quattro Comuni della Val di Scalve si fossero uniti, noi saremmo tutti a posto, perché non avremmo nulla da invidiare al Trentino, se le bellezze naturali fossero state valorizzate da tutti i Comuni concordi. Era amico del pittore e scultore Tomaso Pizio e gli aveva fatto fare delle medaglie con i simboli dei 4 Comuni, ci tene va tantissimo. Dell’albergo Franceschetti aveva fatto fare un progetto da un architetto del Trentino perché voleva mantenere materiali e stile della montagna, avrebbe tenuto il 30% come albergo e avrebbe realizzato appartamentini, ma ci siamo trovati di fronte al fatto che c’era un vincolo alberghiero e un grande albergo di quelle dimensioni al Passo della Presolana non avrebbe modo di esistere. Con i vincoli che ci sono non siamo riusciti a realizzare nulla. Gianni aveva realizzato lì al Passo anche una casetta in legno, aveva intrapreso anche questo settore delle case prefabbricate in legno, gli piaceva proprio il legno, veniva da una famiglia che il legno lo aveva lavorato, il nonno era falegname a Teveno. Ma quel progetto presentato a Colere non ha avuto seguito, era cambiata l’amministrazione”. Lo zio, Severo, aveva il grande impianto per la lavorazione del legname al Vo’ di Schilpario. Ricordiamo anche che la zona del Passo della Presolana è di competenza di due Province (Bergamo e Brescia) e tre Comuni (Colere, Castione e Angolo).
Unico centro servizi a Brescia
Il figlio Eligio di tutto questo non si è molto occupato, ma ha raddoppiato il core business dell’azienda: “Sì, abbiamo raddoppiato anche il personale. A livello di uffici qui a Sovere ormai non abbiamo più spazio, è nata una sede, sempre per uffici, a Brescia, poi abbiamo un’altra azienda del gruppo che si occupa di ricerca e sviluppo ma sempre legata ai servizi che facciamo, che ha sede a Piacenza. L’idea adesso è di ricompattarci in un’unica sede che abbiamo individuato a Brescia, che rimane il baricentro per il settore dell’acciaio. Il 70% del lavoro noi l’abbiamo tra Brescia e Cremona”. Torniamo da mamma Elena. Ma se Eligio sposta tutto a Brescia, lasciando Sovere, lei si trova un’altra volta a cambiare valle, paese, città… “Ma io abito a Lovere da tanto. Prima avevamo l’appartamento sopra l’officina qui a Sovere…”. A proposito, sono ancora vostri i vecchi capannoni con l’appartamento in via Roma a Sovere? “Abbiamo passato cinque anni a presentare progetti per tirar giù i capannoni e costruire qualcosa di residenziale, non siamo riusciti a far niente…”. Torniamo alla ditta che sta per emigrare a Brescia. Eligio abita già a Brescia, una delle figlie abita a Brescia. Lei resta a Lovere? “Con Gianni avevamo trovato casa a Lovere perché, quando abitavamo a Sovere, sopra l’officina, lui non stava già bene e i camion partivano la mattina presto, i rumori dei camion e dell’officina non lo lasciavano dormire e allora ci siamo trasferiti, nella zona sopra l’oratorio a Lovere. E io abito lì, Elisabetta abita con me ma lavora all’estero…”. Quindi la Gap è sul piede di partenza. Riprende Eligio: “Il lavoro in se stesso è sui cantieri, qui ci sono solo gli uffici, ma avere tre sedi non è il massimo, Brescia è centrale tra le tre sedi attuali, io stesso avevo casa a Marone ma ho dovuto trasferirmi in città, l’ho fatto e lo faccio mio malgrado. Perché qui si vive decisamente meglio”.