Gavino Ledda: “Vi racconto il mio ‘Padre Padrone’, il dattiloscritto alla Feltrinelli ma è nato… settimino, non lo volevo così. La mia infanzia a governare le pecore e…”

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    (Dal 24 maggio 2024) Il passo lento di chi è abituato a guardarsi intorno, a scoprire i segreti di boschi e magari anche di quel vento che in Sardegna soffia sempre, soffia, eccome. E Gavino Ledda, classe 1938, lo sa. Nei giorni scorsi era a Clusone, invitato da Andrea Messa, appassionato di ‘Terra’, con la T grande, ex manager che una volta in pensione ha deciso di ritirarsi a Nasolino, frazione di Oltressenda Alta, che in quanto tale non esiste e Nasolino è solo il capoluogo di un Comune sempre più piccolo per abitanti. E si parlava di spopolamento dei paesi montani. Gavino dalla Sardegna se ne è andato da ragazzo, per studiare alla Sapienza, così come fanno molti giovani delle nostre valli che si iscrivono all’Università e qui non tornano più. Un fenomeno generazionale che si ripete, negli anni ’60 la divisione era tra la civiltà contadina e la civiltà industriale che risucchiava manodopera dalle valli, i ragazzi se ne andavano e non tornavano e prima di loro se ne erano andati i loro nonni, magari in Svizzera o Belgio. E ora la civiltà industriale sta per essere superata dalla civiltà tecnologica. Ogni ragazzo, e questo è il minimo comune denominatore di ogni epoca, si sentiva e si sente autorizzato a pensare e dire che i propri padri erano e sono tagliati fuori. Un conflitto generazionale che si ripete. Anche ora la civiltà tecnologica non riposta i giovani su nelle terre alte, ancora una volta vengono risucchiati dal… basso. Anche Gavino questo conflitto lo ha vissuto, respirato, percepito ed è sfociato nel suo ‘Padre padrone’, un libro che ha scosso un’intera generazione e che è anche diventato un film diretto dai fratelli Taviani. Sono passati quasi 50 anni da quando hai scritto il libro, lo riscriveresti ancora così? “Non so, nel 1974 ho mandato il dattiloscritto alla Feltrinelli – racconta Gavino – con una lettera dove spiegavo che avrei dovuto lavorarci ancora altri due anni per completare il libro come lo intendevo io. Io volevo solo dare un assaggio di quello a cui stavo lavorando da anni ma una settimana dopo ricevo una telefonata dall’editore dove mi si dice che a loro il libro va bene così e che non volevano altre modifiche. Ma io così non lo avrei voluto, è un incompiuto. Credo che la Feltrinelli abbia avuto paura che io potessi cambiare qualcosa o togliere alcune parti. Comunque, alla fine il dattiloscritto non me lo hanno più ridato e sono uscito con quello. Sono convinto che mancano alcune cose che lo avrebbero reso più bello ma il mondo ha detto che era bello lo stesso. Però dai, è un… settimino, non era ancora compiuto”. Gavino prosegue: “Negli anni ’80 pensavo di riscriverlo ma poi ho capito che non aveva senso, era uscito contro la voglia dell’autore, cioè io, ma ormai era cosa fatta. Ci avevo lavorato 4 anni, ce ne volevano 6, il prossimo anno sono 50 anni dalla pubblicazione, sono cambiate tante cose…”. Gavino spiega e sfata alcuni luoghi comuni che sono circolati per anni sul libro: “E’ la storia di un pastore ma non necessariamente sardo. Avere fatto gli studi alla Sapienza di Roma mi ha fatto bene. Ho avuto l’opportunità di avere un punto di vista molto più ampio che in Sardegna, insomma, non vedevo più il pastore sardo, ma il pastore della terra, il padre padrone della terra, non è vero che io ce l’avevo con mio padre, non è esattamente così”. Gavino Ledda quando racconta entra nei particolari, come fosse ancora lì: “La cosa più difficile è fare il padre e la madre; tuttavia, per quanto una madre possa essere bravissima, alleva il figlio e poi il padre a sei anni lo prende e lo porta nel bosco a badare alle pecore, quasi svezzandolo dalla mamma, è una cosa tremenda. Mio padre non aveva bisogno di me a governare le pecore, c’erano altre ragioni, ma comunque il concetto di padre padrone non riguarda mio padre, o meglio non solo lui, ma l’umanità, come fosse il padrone dell’umanità che si sussegue di generazione in generazione”. E quel padre padrone lo ha accompagnato un po’ ovunque, anche qui, a Clusone, lui che cita spesso papà Abramo, che lo ritirò da scuola a sei anni, dopo avergli fatto frequentare solo alcune settimane della prima elementare per poi iniziarlo al lavoro di pastore. Il padre insegna a Gavino gradatamente la vita pastorale: i suoi insegnamenti sono spesso impartiti con una certa durezza e talvolta accompagnati da percosse. Per i primi tempi permette a Gavino di vivere nel paese di Siligo insieme alla mamma e ai fratelli, ma ben presto lo relega nel podere di famiglia nella località di Baddevrùstana che non è distante da Siligo che pochi chilometri; tuttavia, l’unico mezzo di trasporto di cui la famiglia dispone è un mulo: il tragitto sembra perciò lungo e la distanza notevole al piccolo Gavino, ancora bambino, fa molta fatica ad adattarsi a vivere e lavorare da solo a Baddevrùstana. Gavino trascorre così la propria infanzia lavorando con il padre e relegato all’interno del podere. Gavino era analfabeta ma a 18 anni riuscì ad andarsene con la scusa del servizio militare di leva, e conobbe il poeta Franco Manescalchi e cominciò a studiare, licenza elementare da privatista, per poi continuare fino al conseguimento della laurea in Lettere con una tesi in glottologia presso l’Università di Roma. E anche nell’incontro di Clusone rivela la sua passione per le parole, con cui sembra giocare, trovando lessici nuovi, inediti. Sta scrivendo un libro, no, più che un libro, tre volumi, dice, ci vogliono ancora anni per finirli, ma è il suo “nuovo” mondo. Nel 1970 Ledda fu ammesso all’Accademia della Crusca e l’anno successivo fu nominato assistente di Filologia all’Università degli Studi di Cagliari. Papà Abramo è morto nel 2007 a 99 anni ma Gavino smentisce screzi con lui: “L’incompatibilità fra noi è stata una caricatura dei giornali. Io sono come lui, il nostro rapporto con la pastorizia è rimasto lo stesso. Aveva un carattere forte papà… ha cominciato a lavorare a sei anni, ha imparato a non chiedere niente a nessuno… Certi pastori sono principi, re… sono padroni assoluti del loro spazio e della loro vita”. Già. Come ‘Padre padrone’.