(Dal numero del 6 gennaio 2023)
di Alessandro Cuppini
L’anno appena passato era il centesimo dalla morte di Giovanni Verga (Catania, 1840-1922), scrittore, drammaturgo e senatore, considerato il maggior esponente della corrente letteraria del Verismo. Con l’unità d’Italia lasciò la città natale per trasferirsi dapprima a Firenze, poi a Milano, ove restò, pur se con diversi ritorni a Catania, fino al 1893.
In questo ventennio con la pianista Francesca ‘Dina’ Castellazzi, contessa di Sordevolo, ha una relazione che durò tutta la vita, anche se la riluttanza di Verga al matrimonio la ridusse nel tempo ad una affettuosa amicizia. Lo scrittore in una lettera la descrive come “una donna molto avvenente, elegante, istruita, pianista piuttosto quotata che scrive e dipinge”.
Nonostante una lettera che Dina scrisse al nipote di Verga in occasione della morte del “suo” Giovanni, in cui rivela che la loro conoscenza risaliva a 34 anni addietro, e dunque al 1888, sappiamo per certo che i due si conobbero a Roma all’Hotel Milan di piazza Montecitorio nell’81.
Lei aveva 21 anni e lui 41. La differenza d’età era notevole ma non insolita per quei tempi. Divennero subito amanti, come se evince dalle lettere infuocate che i due si scambiarono in seguito.
A quei primi anni risale una vacanza che i due organizzarono in val Seriana.
Per sfuggire al caldo orribile dell’estate 1882, Verga si rifugia in un paesino dell’Appennino pistoiese, Boscolungo.
Da lì consiglia Dina di prendersi una vacanza in qualche località più fresca della Milano di quei giorni. La scelta della contessa cade sulla val Seriana e Giovanni risponde che la raggiungerà: “nel Bergamasco ci devono essere dei posti belli e adatti”, dice. Così il 9 o l’11 di agosto raggiunge la pianista a Ponte Nossa e alloggia nello stesso albergo, almeno fino al 21, quando spedisce una cartolina alla nipote Caterina a Catania, ma probabilmente qualche giorno in più.
La vacanza deve essere stata appassionata se il 26 agosto da Milano scrive a Dina queste parole: “Vi ringrazio di tutto il bene che mi avete fatto. Vi scrivo perché vi vedo ancora come siete rimasta dinanzi ai miei occhi e nel mio cuore. Vorrei che la vita, per voi e per me, fosse cominciata soltanto da Ponte Nossa. Guardate come sono pazzo e presuntuoso, e quante cose pazze vi scrivo”.
Il giorno stesso parte per Loverciano, presso Mendrisio in Svizzera, ospite dell’amico conte Alessandro Lester Greppi. La cosa è piuttosto sospetta in quanto con la nipote del conte, Paolina, Verga ebbe una relazione amorosa venticinquennale, iniziata nel 1880, anch’essa costellata di infuocate corrispondenze. E Paolina è a Mendrisio nell’agosto del 1882, come d’altronde tutte le estati… Questo non impedisce a Giovanni di scrivere a Dina a Ponte Nossa, passando al confidenziale ‘tu’: “Ti ho ancora e sempre dinanzi agli occhi e ti accompagno in ogni ora della tua giornata, e sento che mi manca la più cara e la miglior parte di me stesso. […] Ancora non mi da pace aver perduto questi giorni che avrei potuto passare ancora insieme a te”.
Va detto che Verga era un celebre dongiovanni: “A buon cavallo non gli manca sella”, come scrive ne ‘I Malavoglia’. E, come commenta Francesca Pola a proposito delle sue relazioni amorose, “gli piaceva tenere il piede in due scarpe e piuttosto che mollarne una le
teneva tutte”.
Tuttavia la nostalgia del luogo dove aveva passato giorni felici con la pianista è
sincera.
Ecco un’altra missiva spedita da Pallanza sul lago Maggiore, dov’era ospite del suo editore Treves.
È datata 15 settembre e indirizzata a Dina (a cui evidentemente la vacanza a Ponte Nossa piaceva parecchio, visto che era là da un mese e mezzo): “Vorrei tornare a Ponte di Nossa, invece di questo patatrac, ed esserti vicino”.
Il ‘patatrac’ si riferisce probabilmente alle difficoltà economiche in cui si trovava in quel periodo e alla pessima accoglienza che la critica aveva riservato a ‘I Malavoglia’, edito dallo stesso Treves.
In una seconda lettera, di due giorni posteriore, Verga si riferisce ad un piccolo episodio a cui aveva assistito con Dina in Val Seriana: “Come cantava dolce e serena quella povera piccina e come i suoi occhi guardavano lontano! Mi pareva di vederti proprio! E
il mio cuore è volato a Ponte Nossa, con una grande tristezza”.
Dina non è ricca e Verga, grande gentiluomo, pur non navigando nell’oro le donerà per tutta la vita una sorta di stipendio mensile. Mettendo tuttavia le cose in chiaro riguardo al matrimonio, cui Dina accennò più volte: “Non prenderò mai moglie, perché non sposerei una più ricca di me, né sono io abbastanza ricco per sposare una povera; sarebbe per me una insopportabile mortificazione vedere mia moglie rimodernarsi un abito vecchio, non potendosene fare uno nuovo”.
Verga era anche un appassionato fotografo. Evidentemente nella sua opinione la fotografia, contrariamente al cinema nel suo sentire, non nuoceva alla letteratura, ma anzi poteva fornire ottimi spunti allo scrittore. Brena cita alcune foto, scattate da lui a Bergamo e in val Seriana, forse in quell’anno o in occasione di qualche nuova permanenza in città e in valle: la facciata del Palazzo Nuovo in Piazza Vecchia (allora non ancora Biblioteca Mai), la Cappella Colleoni, la facciata di Santa Maria Maggiore, la Basilica di Clusone ed altri scatti tipici del turista di passaggio.
Ma anche foto di vita comune (le lavandaie sul fiume Serio, ad esempio), a dimostrazione della sua attenzione alla vita quotidiana della gente semplice, come del resto nelle sue novelle veriste più conosciute.
Scheda 1
“Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev’essere. Veramente nel libro della parrocchia, si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia”. Giovanni Verga pubblicò “i Malavoglia” a Milano nel 1881. Il grande scrittore, inventore del “verismo” (con Luigi Capuana) dove il racconto si fa “poesia del vero”, l’autore scompare, sono i fatti che si “sviluppano da soli”. Giovanni Verga (Catania 1840 – 1922) non resta in Sicilia (“I Malavoglia” è ambientato ad Aci Trezza, il paese dei faraglioni) ma si trasferisce a Firenze e poi a Milano dove frequenta il salotto di Clara Maffei.
Ebbe una lunga e focosa relazione con Francesca Giovanna Annunziata “Dina” Castellazzi, contessa di Sordevolo (Biella). Non la sposò (Verga non aveva una concezione positiva del matrimonio). Ma fu lei che portò in quell’agosto afoso a Ponte Nossa.
Scheda 2
Ai primi del ‘900 – e presumibilmente anche prima – a Nossa centro c’erano due Alberghi: il Rossi -che aveva anche una dependence (nella foto l’attuale edificio, abbandonato) – e il Polini. Ce n’era uno anche all’imbocco della Val del Riso; e nella zona del ponte di S. Bernardino c’erano almeno un paio di affittacamere, come l’attuale Bar Sport che era un’osteria “con alloggi” e una signora che gestiva una specie di B&B ante litteram. A Ponte Nossa era molto frequentata dai villeggianti la zona delle Sorgenti (nelle foto antiche).