Habemus Papan..angelus Joseph card.Roncalli

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    Era un martedì quel 28 ottobre 1958. Nell’aula di terza (media) c’era il silenzio dello studio. Sapevamo che a Roma i cardinali erano in conclave, che forse stavano votando un’altra volta, ci sarebbe stata fumata nera o fumata bianca. Sapevamo tutto, o credevamo di sapere tutto, da tre giorni i cardinali erano chiusi a chiave per eleggere il successore del “pastor angelicus”, insomma di Pio XII, il Papa ieratico che io accostavo alla fatica di stare sulla sedia a tenere alto il fi lo dell’antenna della radio perché lo zio Don Pierì voleva sentire il discorso e la radio gracchiava e ne uscivano parole scandite da una voce abituata a comandare ma che non lasciava traccia, mi faceva solo male il braccio che teneva in alto il fi lo dell’antenna, terrorizzato che lo zio Don Pierì perdesse il “messaggio” e poi magari non sapesse cosa dire nella predica della domenica. Era un martedì pomeriggio quel 28 ottobre di cinquant’anni fa. Ci sarebbe stata la vacanza piccola, quella dei Santi e dei Morti, due o tre giorni a casa. Il professore di latino ci aveva spiegato che c’era la vaga probabilità che il Card. Roncalli venisse eletto Papa. Io al solo sentire nominare il cardinale mi drizzavo su, che diamine, lo sapevano ormai tutti che era venuto per anni in casa di mia nonna a Vilminore a passare le vacanze, no? E dovevano saperlo tutti che due anni prima mi aveva fatto una carezza, quando aveva saputo di chi ero figlio, di quello che faceva la gara il mattino, assieme ad altri ragazzi, per servigli Messa la mattina solo per il fatto che lui dava quattro palanche invece delle due che erano la tariffa del tempo per chi faceva il chierichetto. Silenzio. Nemmeno ci pensavamo più al Conclave, che era il primo conclave della nostra vita, c’era da studiare per il giorno dopo, che magari quello di storia ci interrogava. Sopra la grande lavagna trasversale, appesa al muro su tutta la parete, grande innovazione per l’epoca, c’era la scatola dell’altoparlante. Quando si accendeva quell’aggeggio (e il controllo era centralizzato, insomma decideva il Vicerettore, che allora era Don Cesani che sarebbe poi stato a lungo parroco di Leffe) era per fatti terra-terra o cielo-cielo, come tutto il calcio minuto per minuto la domenica o qualche discorso del Papa. Che altro ci poteva importare? Nell’aula c’era il solito silenzio: non si scherzava col silenzio, in quei tempi, anche sfogliare un libro senza far rumore era un’abilità acquisita. Dallo scatolotto in alto si sente qualcosa, sembra il rumore di una piazza che si agita ma con una certa compostezza. In quei tempi sapevamo immaginarci le discese ardite e le risalite ciclistiche di campioni che avevamo visto solo nelle figurine. Collegati con Roma, da Clusone linea a Roma. Erano cose da far impressione, ai quei tempi. Uno che parla della fumata bianca, per forza, altrimenti Don Cesani mica avrebbe acceso la radio nelle classi, no? E poi, lo immaginiamo soltanto, il cardinale camerlengo che esce sul loggione e “nuntio vobis gaudium magnum”. C’è stato quell’attimo e poi il nome, “Angelus…”, prima di arrivare a “Joseph…” lo sapevamo già, era fatta, Bergamo aveva il suo primo Papa della storia, io avevo conosciuto un Papa che era stato in casa di mia nonna, io avevo avuto una carezza dal Papa (e ancora non sapevo del discorso della Luna). Un urlo collettivo di gioia, tutti in cortile a gridare, la campana del seminario che suona, tutti in chiesa a cantare il Te Deum, vacanza, vacanza, habemus Papam e mio zio non mi avrebbe costretto a tenere il braccio in alto con il fi lo dell’antenna della radio, figurarsi, il Card. Roncalli, come a Vilminore, era stato un mucchio di volte anche a Tavernola, c’era la stanza del vescovo con la coperta a roselline che aveva fatto mia nonna, quella che aveva profetizzato l’ascesa al trono di Pietro di quel monsignore rotondetto che veniva a passare le vacanze in casa sua. Come, non ve l’ho ancora detta quella della profezia? * * * Di Roncalli ho sentito parlare fi n da piccolo, quando era ancora Nunzio Apostolico in Francia ed era “semplice vescovo”. La zia Rina raccontava della nonna Bona che aveva fatto la profezia che quel monsignore che veniva in vacanza in casa sua negli anni successivi alla prima guerra mondiale, a Vilminore, sarebbe diventato vescovo, cardinale e… “forse a Papa”. In una lettera del 30 giugno 1925 da Sofi a rassicura le “care sorelle”: “La temperatura qui a Sofi a è buonissima, come in montagna a Vilminore” (“Lettere familiari – 152 inediti dal 1911 al 1952” – Piemme). A Vilminore venne in casa Bonicelli forse anche prima (nella parrocchiale c’è la traccia di 9 Messe tra il 21 e il 31 luglio 1920 e c’è una lapide che ricorda un passaggio ad Azzone sempre in quell’anno), sicuramente dunque nel 1920, poi nei due anni successivi non c’è traccia nei registri che tornano a segnalarne la presenza nel 1923 e il 1924, per le vacanze estive. Lo zio Don Pierì lo aveva avuto come padre spirituale. Nel 1929 da Sofi a a lui scrive una lettera affettuosa in morte di Ernesto Bonicelli, mio nonno, avvenuta il 19 settembre e si augura di avere ancora “il piacere di rivedere Vilminore” . Lo rivedrà per il Congresso Eucaristico di plaga del 1948. C’era la “stanza del vescovo” in canonica, a Tavernola, dove Don Pierì era parroco, ed era la sua, anche se da un po’ stava lontano. E mezza Tavernola, il 17 giugno 1956, si trasferì a Venezia dove un compaesano veniva ordinato prete proprio dal Patriarca Roncalli. E quel giorno mi scosse i capelli con una carezza in ricordo di mio padre. Per me è quella la carezza del Papa. * * * Sì, va beh, ma che c’entra? C’entra che è il Papa che ha lasciato “segni” profondi. C’entra che immancabilmente, quando si parla di Papa Giovanni (senza aggiunte) ci si lascia andare ai ricordi. Come succede quando si racconta di una persona davvero “cara”. Ma se era un vescovo, se era un cardinale, addirittura un Papa! Un Papa si rispetta, Pio XII era ieratico, da ammirare, da seguire “qual falange”, non certo da amare. E Paolo VI dette l’immagine di un Papa sofferente, triste. Forse gli poteva somigliare Giovanni Paolo I, ma 33 giorni sono stati un attimo. E Giovanni Paolo II fu davvero amato? Ammirato molto. Seppe mobilitare, ma il “santo subito” si è già stemperato. Quale fu dunque la scintilla di un Papa chiamato “Buono”, ma in realtà travolgente nel suo iperattivismo, encicliche poderose affi date non solo ai fedeli, ma “a tutti gli uomini di buona volontà”, atti innovativi e simbolici come quelli di uscire dal Vaticano e viaggiare in treno, andare negli ospedali, nelle carceri, nelle parrocchie, nei santuari? Fu soprattutto quel suo parlare arrivando al cuore dei problemi e della gente. “Ho compassione di questa folla” (Mc, 8,2). “Compassione”, con passione. Giovanni XXIII cita la frase nel prologo della “Mater et Magistra”, Chiesa prima madre e poi maestra, che “benché abbia innanzitutto il compito di santifi care le anime (…) è sollecita delle esigenze del vivere quotidiano”. Già, ma vorremmo vederlo adesso, alle prese con i “Dico”, avremmo voluto vederlo alle prese con il divorzio, l’aborto, la procreazione assistita, le guerre, il relativismo. Beh, aveva vissuto da giovane prete l’epoca dello spauracchio del modernismo, l’accusa di essere favorevole lo aveva sfiorato. E fu lui il terzo corno di quegli anni nel mondo, tra Kennedy e Kruscev, sull’orlo di una guerra totale, atomica, per i missili sovietici a Cuba. Fu il Papa che non si impicciò come il suo predecessore del primo centrosinistra. Fu il Papa delle grandi e innovative encicliche sociali. Fu il Papa del Concilio e del primo ecumenismo. Insomma non solo un Papa che consolava, ma che partecipava alla vita sociale e politica, oltre che a quella religiosa. Lo sterminato popolo cattolico, quando la sera del 28 ottobre 1958 apparve sulla loggia di S. Pietro avvertì una scossa, che trasmise anche ai non credenti, quel Papa cambiava la Chiesa. No, non la Chiesa, cambiava gli uomini di Chiesa, il modo di fare Chiesa, comunità, assemblea del popolo di Dio, il modo di (non) giudicare gli altri, il peccato distinto dal peccatore, toglieva perfino agli ebrei il “perfi di” del venerdì santo. * * * Sì, va beh, che c’entra, siamo sempre al limite dell’ingenuità. Volete mettere la finezza teologica, diplomatica, la durezza del quando ci vuole ci vuole, l’allarme forte con parole forti contro i pericoli del relativismo ecc.? Beh, leggete il libro del pronipote Marco Roncalli e capirete che non siamo davvero ai “fi oretti” del Beato Giovanni XXIII e anzi, la fi gura del Papa bergamasco ne esce con le sue posizioni nette (anche sbagliate), amorevoli o anticonformiste, che gli hanno provocato di volta in volta accuse tra loro contraddittorie. Alcuni passaggi se non scottanti, non sono scontati: quelli ad esempio del rapporto con il fascismo, sempre un po’ lasciati in disparte dai precedenti volumi dedicati a questo Papa. Nel 1924, alla vigilia delle elezioni, aveva scritto: “Resto fedele al partito Popolare ma per la posizione che occupo qui presso la Santa sede non posso e non debbo pubblicamente pronunziarmi”. Nei giorni seguenti in un’altra lettera aggiunge: “Mussolini è certo una gran testa. Forse pensa di essere padrone assoluto d’Italia e che tutto debba essere ai suoi piedi. Egli s’inganna, come sbaglia grosso quando ripete: o si è con lui o contro di lui. Si può essere con lui in alcune cose e si deve essergli contrari in alcune altre. E d’altra parte il riconoscimento di alcune cose buone compiute non deve significare approvazione del suo programma generale di governo. Il quale programma nulla ha a che vedere con la concezione cristiana degli Stati, e perciò a me pare che da un cattolico non possa essere in buona coscienza votato…”. Prevede che i giornali fascisti e filofascisti (“compreso L’Eco di Bergamo” che ebbe la sua breve stagione fi lofascista) faranno una brutta fi ne. “Di una cosa state sicuri, che la salute d’Italia non può venire neanche da Mussolini, per quanto sia un uomo d’ingegno. I suoi fi ni sono forse buoni e retti, ma i mezzi sono iniqui e contrari alla legge del Vangelo”. Ma nella Chiesa invece il sostegno a Mussolini è massiccio e il Partito Popolare avrà 39 eletti contro 356 del listone fascista, 43 socialisti e 17 comunisti. Tutto scontato, in coerenza con il monsignore che accompagna il suo Vescovo in visita agli operai in sciopero nel bergamasco, in linea con il Papa della Mater et Magistra e della Pacem in terris. C’è il riconoscimento della “gran testa” di Mussolini, ma non è gran che, piuttosto il rammarico di non potere, a Roma dove si trovava, andar contro il fascismo a viso aperto. Ma due anni dopo ha cambiato idea: il 14 giugno 1926 scrive da Sofi a alle sorelle, rispondendo al malumore del padre per l’istituzione del Podestà, che sostituisce il Sindaco liberamente eletto: “In fondo come si fa a dir male di questo Governo che volere o no ha aiutato molto gli interessi religiosi, più che nessun altro governo non abbia mai fatto! Bisogna dunque essere giusti e riconoscere il vero ed il merito dovunque sia. Quanto alla nuova sistemazione dei comuni si è adottato il sistema delle famiglie dove uno solo deve essere al comando. Vedete quante storie allorché dominavano i partiti”. E si compiace che i Roncalli si astengano “da critiche in pubblico” e si mostrino “amici dell’ordine”. Il 1 gennaio 1934 è invitato a pranzo dal Ministro d’Italia in Bulgaria che gli consegna le insegne di Grande Ufficiale della Corona d’Italia “che il Re d’Italia su proposta di Mussolini mi ha conferito. Tanti in Italia darebbero dei milioni per avere questo onore ed io so di persone che sono riuscite ad ottenerlo così. A me invece, povero figliuolo del Battista della Colombera, è venuto per niente (…) Tutto sommato è meglio prendere di queste distinzioni che delle botte”. Il 24 maggio 1936 alla mamma: “Buone notizie abbiamo anche circa i risultati della guerra d’Africa. Guai all’Italia se l’impresa non fosse andata bene! Vedete come anche ora l’invidia delle grandi nazioni, già piene come l’uovo, cerca ogni mezzo per diminuire il significato della vittoria (…) Certo il vedere come nella impresa Africana al Duce tutto sia riuscito, un punto dopo l’altro, una battaglia dopo l’altra, senza uno scarto od una interruzione, induce quasi a credere che una forza arcana lo abbia guidato e protegga l’Italia. Forse è il premio di aver fatta la pace colla Chiesa (…) In Italia si dice che ora c’è poca liberà. Ma che cosa avviene nei paesi dove trionfa la grande libertà, il socialismo, il comunismo, come in Spagna, in Russia, in Messico, ora anche in Francia?”. E da Istanbul il giorno di Natale 1939, con l’Italia ancora fuori dalla guerra: “Pensate a quelli che si trovano in guerra, poveretti! (…) Le responsabilità sono dei capi. Son questi che hanno la testa dura: e son tutti lo stesso. Beati noi in Italia! Stavolta bisogna proprio dirlo: c’è una mano che guida il Duce per il bene degli Italiani. Io credo che il Signore voglia ricompensare governanti e sudditi per la pace fatta con la Chiesa”. E sui malumori in paese per le arroganze dei fascisti: “Non bisogna guardare a ciò che succede in un piccolo paese o anche in uno grande. Sono sempre fatti e persone particolari. Ci sono sempre stati i profittatori di tutte le situazioni e di tutti i Partiti. Bisogna badare alla sostanza: e questa è buona”. E loda il discorso di Ciano. Il 21 giugno 1940 si aggrappa ancora alla speranza: “C’è proprio una Provvidenza e bisogna ringraziare Mussolini che ne è stato l’istrumento. Ha tenuto fuori l’Italia dal conflitto; ha preservato con ciò la vita di tanti giovani e di tante famiglie; e dopo che è entrato in guerra ecco che siamo, dopo soli 10 giorni, all’armistizio”. Il riferimento è alla breve guerra sul fronte francese. Il 14 novembre 1942 da Istanbul: “Anche per quanto riguarda le cose d’Italia io sono sempre ottimista. Il cielo qualche volta si oscura e diventa tempestoso. Dopo poco tempo eccolo rasserenato. Pregate sempre come faccio anch’io per la vittoria e per la pace”. Insomma anche i santi, nel loro grande, a volte sbagliano analisi. Ma anche questi giudizi (scritti nelle “lettere familiari – 152 inediti” del volume citato sopra, curato da Giustino Farnedi nel 1993) non sono mai calati dall’alto, basterebbe leggere il contesto, che comprende le sue vicende diplomatiche, gli incarichi, le udienze con il Papa, le grane bulgare, i matrimoni dei regnanti, i battesimi ortodossi. Un Roncalli fascista, dopo aver visto invece giusto fi n dall’inizio? Un Roncalli diciamo “lealista”, che giudica il tutto dal bene che la Chiesa ne può ricavare. E il metodo lo manterrà da Papa. Ascoltare tutti con pazienza e umiltà, poi puntare dritto al cuore. * * * C’è un dialogo del 1962 in Vaticano che chiarisce lo spessore dell’uomo, quando si “teme” che Nikita Kruscev chieda di essere ricevuto dal Papa. E si rievoca l’atteggiamento di Pio XI in occasione della visita a Roma di Hitler, quando sembrò essere “scappato” a Castel Gandolfo. Papa Roncalli risponde: “Perché dovrei scappare? Se viene, resto a casa mia. Se chiede di vedermi, lo ricevo. Ascolto quello che vuol dirmi, e replico riaffermando che la Chiesa niente altro domanda se non di assolvere ai suoi doveri”. Per le sue encicliche ebbe accuse di collateralismo col comunismo: la “Mater et Magistra” attacca il libero mercato quando mortifica i diritti individuali a una vita dignitosa (“non raro mediocris momenti aut incertae utilitatis offi cia mercede rependi amplia atque etiam cumulata”) con gente che si porta casa “compensi alti e altissimi per prestazioni di poco impegno o di valore discutibile”, quando invece “l’adeguamento tra rimunerazione del lavoro e del reddito va attuato in armonia alle esigenze del bene comune”. E “vano sarebbe ribadire la libera iniziativa personale in campo economico se a siffatta iniziativa non fosse acconsentito di disporre liberamente dei mezzi indispensabili alla sua affermazione”. Comunista? Ma dai! Sul matrimonio: “Dobbiamo proclamare solennemente che la vita umana va trasmessa attraverso la famiglia, fondata sul matrimonio uno e indissolubile, elevato per i cristiani alla dignità di sacramento”. Quindi nessuno sconvolgimento dottrinale. Solo quel suo modo naturale di non chiudere la porta in faccia a nessuno, di non schiaffeggiarlo con la “Verità” che pure si ritiene di possedere. C’è modo e modo di ribadire la verità di fede e la convinzione morale: il modo (recente) dei cardinali Martini e Tettamanzi, cattolici anche loro, come rispose ironico Paolo VI a una signora petulante che criticava le posizioni della Chiesa. Tra fede e ragione si può incuneare la carità, il cuore. Il Papa del Concilio che ha segnato la Chiesa e che molti nella Chiesa fanno finita ogni tanto di rievocare per dimenticare, è il Papa che ascolta e parla al cuore. E’ una posizione scomoda e faticosa quella del dialogo. Che non vuol dire solo dettare dogmi, ma anche ascoltare le ragioni altrui disponibili a cambiare, se vinte, le proprie. Questa invece mi sembra una Chiesa del monologo, è così e così sia, una Chiesa degli schiaffi più che delle carezze. Papa Roncalli fu davvero pontifex, costruttori di ponti: non ha ceduto su nulla della dottrina eppure ce l’ha fatta sembrare nuova, più che un diktat, un dettato d’amore. Chissà cosa avrebbe detto e soprattutto come si sarebbe comportato Papa Roncalli di fronte ai temi correnti. Provate a immaginarvelo al balcone di S. Pietro. “Cari figlioli, sento le vostre voci…”. E sembrava le avesse davvero sentite (e ascoltate). Oggi, dopo 50 anni, le nostre voci sembrano scontrarsi con l’evidenza che non si viene ascoltati. Il Papa si lamenta che sui temi sessuali anche molti cattolici non lo seguono. Meno male che qualcuno gliel’ha detto. Conseguenza? Noi restiamo del nostro parere, seguite la dottrina. Il Card. Martini, ammalato, che dice di essere alle porte della morte, dissente, la Chiesa su questi temi “dovrebbe chiedere scusa”. Non lo farà, può farlo su temi molto più importanti, ma c’è un tabù nella Chiesa per cui certe cose si fanno ma non si dicono. Cu vorrebbe un Papa che sappia ascoltare, “sento le vostre voci”. Per sentirle bisogna tornare al silenzio, al vero silenzio, che prepara l’ascolto. Non occorre che lo facciate Santo e nemmeno aspettavamo il vostro ok per proclamarlo Beato. Certe carezze valgono più della dottrina.