(Dal 16 febbraio 2024)
È indispensabile dire due parole su Pradella, prima di parlare di San Marco e dei suoi miracoli. Frazione di Schilpario, in Val di Scalve, Pradella ha circa 50 abitanti. Se la guardate dall’alto, capite il perché del suo nome: una piccola zona prativa, un minuscolo borgo immerso nei boschi resinosi. Una chiesa dedicata a San Marco. Una manciata di case aggrumate, le altre sparse. Un panorama irreale tanto è bello! E un Hotel-Ristorante che si chiama San Marco… Il primo miracolo è che sia stato riaperto, da circa un anno, dopo la storica e trentennale gestione con la mitica Mea in cucina. Ora il prodigio lo ha fatto un giovanissimo chef scalvino: Federico Magri. E a fargli da spalla, un’altra giovanissima scalvina: Sara Capitanio (homen nomen: òcio perché Sara è una sorridente… Capitana di sala!). Federico, anche se giovanissimo, ha alle spalle significative e diversificate esperienze ai fornelli in strutture di grande qualità e fama. È anche figlio d’arte – papà Giovanni ha dedicato la vita alla ristorazione e ora aiuta il figlio. Ma la cucina di Federico è la “sua” cucina. Federico è andato oltre il papà e ha voluto una struttura tutta sua da gestire: Ristorante e Hotel. Nel mezzo di numerose chiusure, a valle della pandemia, Federico e Sara, hanno aperto! Bravi, e il successo non poteva mancare. Volete sapere che cucina sia quella di Federico? Classica, nouvelle cuisine, tradizionale italiana, lombardo-bergamasca, fusion, internazionale? No, siete fuori strada. Serve un dizionario diverso, fuori dagli schemi. Federico dice: “La cucina è una scienza. È lo chef a trasformarla in arte”. Ogni arte ha un suo dizionario e ogni artista ha il suo linguaggio. Potete anche usare aggettivi o avverbi eloquenti, se volete, ma consiglio di farlo davanti a un suo piatto, quando adagiate il boccone fra lingua e palato. Con affetto dico anche che, oltre che figlio d’arte, Federico è anche nipote di nonna Minighinå che ho conosciuto e che ogni giorno che c’è sul calendario, faceva una polenta. Senza quella i figli non si sedevano neanche a tavola. Si scherza, ma è proprio così, e ne portava spesso una fetta ai miei genitori quando soggiornavano a Pianezza, nella porta accanto alla loro. Quindi so di cosa parlo. Fine degli amarcord sentimentali. Poco dopo la riapertura sono andato per la prima volta al San Marco e ho capito subito di che “pasta” è fatto Federico. Nel menù c’era un piatto che si chiamava: “Ravioli con ripieno di zuppa di cipolle e lumache a contorno”. Questo è prendermi per la gola! Prima ancora che Sara facesse la domanda, ho puntato il dito lì e ho dato la risposta: “questo! voglio questo”, senza esitazione. Non era certo un piatto banale e Sara ha sollevato le sopracciglia un po’ sorpresa. “Ah… Bene, ottima scelta! E poi…?”. E il poi lo ha suggerito lei d’istinto: “Stinco di agnello cotto a bassa temperatura e caramellato…?”. Vai! “Del vino… rosso?” Consigli? “Mhh… propongo il Ferghettina rosso”. Le danze sono aperte. La combinazione: pasta ripiena, ridotto di cipolle, lumache… era da “bis”, ma ho resistito per decenza. Ovviamente poi sono tornato altre volte al San Marco, solo e in compagnia: perché un cuoco si misura sulla lunga distanza. E la prossima volta chiederò conto allo chef sul perché sia sparito dal Menu quel piatto straordinario. Non è una proposta banale da offrire, lo so, ma se ti piace la trinità: pasta, cipolle, lumache, non negarti il piacere. Io vado matto, in particolare, per le cipolle. Non faccio il “bis”, faccio a volte anche il tris. Una volta sopra tre piatti di zuppa di cipolle, ho sgozzato 3 bottiglie di Sidro Bretone. Sì, ho anche questo vizio orrendo: mi piace il sidro, che i bretoni chiamano con orgoglio Champagne di Bretagna, delle loro mele. Scusate la digressione ma l’occasione era davvero speciale: in un ristorante francese a NY durante la finale di Coppa del Mondo del 2006. Ristorante colmo di “galletti” d’Oltralpe, tronfi e sicuri di sé. Apro la prima di Sidro, sornione. Uno a zero per loro: la prima zuppa mi si fa amara! Uno pari quasi insperato: la seconda zuppa è deliziosa. Ci vuole un altro sidro. Ai rigori vince la zuppa italiana. Ero l’unico italiano fra un centinaio di francesi indemoniati. Non ho fiatato per non essere infilato direttamente nel forno, ma credo lo abbiano intuito quando ho ordinato la terza bottiglia. Fine dell’amarcord sportivo (ps. il Sidro è poco alcolico, ma fa un gran bel botto). Detto quel che c’era da dire sui trio: pasta, cipolle, lumache… Veniamo allo stinco cotto a bassa temperatura per 48 ore e poi caramellato con quel che solo lui sa… Lo stinco di agnello al forno, è un piatto tradizionale o innovativo? Direi: universale. Quello di Federico, in gergo da boomer, è una cover che compete con qualunque originale. Le cover non sono plagi. Meglio l’Hallelujah originale di Leonard Cohen o la cover di Jeff Buckley? Se la giocano. Potrei fare molti altri esempi… Cambiano l’arrangiamento, la voce, l’interpretazione, e un brano (lo stinco, qui) diventa meglio del brano uscito dal compositore. Anche la cover dello stinco d’agnello del San Marco, se la gioca alla grande! Potrei parlarvi anche del banalissimo piatto di spaghetti alle vongole, che diventa un signor Spaghetti alle Vongole che neanche a Riccione! E il salmerino “crogiolato” per ore in un letto di pomodori secchi e altri aromi in cui predomina il pino mugo? E la sorpresa quando la volta successiva, anziché i pomodori, ci trovi delle fettine sottili di zucca fatta al forno? Senza peraltro chiedere il permesso ai clienti affezionati. Lo so che finisco sempre in musica: è un’altra mania. Un cuoco è un po’ come un compositore: Bramhs componeva musica, – pare – mentre passeggiava per la campagna. Poi, la provava al pianoforte, ma era già nella sua testa. Beethoven, negli ultimi anni della sua vita, era impossibilitato anche solo a sentirla, la sua musica. Era sordo come un calamaro! La sentiva nella sua testa, però. Federico compone con le papille gustative. Sara, compagna di avventura e di vita, mi racconta: “qualche giorno fa, mentre stavamo tranquillamente pranzando, a un certo punto lo vedo assente, come… sospeso, altrove. Quando esce dalla trance mi dice: ‘Sara… mi è venuta una ricetta!’. Lei posa la forchetta e gli chiede… “Scusa?”. “Sì, Sara, mi è venuta una ricetta…”. Come una rivelazione arrivata dal cielo. Se dovessi scegliere delle musiche per i suoi Menu, opterei per “Quadri di una esposizione”, del russo Modest Musorgskij. Una musica che ha avute delle cover famose e gustose, come quelle di Ravel e molte altre. Ma qui voglio l’originale, non transigo! Lo sento già e voglio partire con il Salmerino e con il primo quadro: “Lo Gnomo”. Complimenti Federico e Sara: fate onore alla mia Valle e alla Cucina.