IL NUCLEARE: LA SCISSIONE DELLE OPINIONI

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    “L’Italia è stata il terzo produttore mondiale di energia nucleare. E’ l’unica alternativa al petrolio. Ma dopo l’incidente in Giappone NON SE NE FARÀ NULLA…”

    (p.b.) Uno immagina i favorevoli al nucleare come cinici mestatori dell’economia, disinvolti progettisti del disastro planetario, allegri fautori del “dopo di me il diluvio”. Poi si ritrovano in tv Umberto Veronesi a sostenere le tesi favorevoli alle centrali nucleari, lui che batte e combatte il cancro. Poi mi ritrovo davanti una persona che non mi aspetto, uno studioso e docente, “professore emerito” del Politecnico di Milano dove, con laurea in “energia nucleare”, insegnava e insegna “Energetica” da 20 anni, dopo aver insegnato “Fisica tecnica” per 30 anni. In tutto fanno mezzo secolo. Ha diretto per un decennio (dal 1961 al 1971) il centro di ricerca dell’Enel, il CISE. E ricorda come una sconftta mediatico, e affatto democratica, quella del referendum del 7 novembre 1987, quando il “popolo” votante abrogò tre leggi che favorivano il nucleare, dando via libera a una moratoria di 5 anni alla produzione di energia nucleare. Ma quello che non sappiamo, non sapevo, nonostante l’età, era che all’epoca di quel referendum l’Italia “era il terzo produttore mondiale. Avevamo quattro centrali nucleari, tre attive già dal 1960 al 1964. Erano le centrali di Trino Vercellese, Latina e Garigliano. Caorso diventa funzionante nel 1979 e funziona ad alto livello fno al 1987. E c’era la centrale di Montalto di Castro pronta a partire”. Ernesto Pedrocchi è un signore distinto. Non ha affatto l’aria di quei devastatori potenziali del pianeta. Il cognome fa trapelare le sue radici di valle (Seriana). Ripartiamo da quel referendum in cui l’80,6% fece abrogare la legge sulla localizzazione delle centrali nucleari, il 71,9% abrogò la possibilità che l’Enel partecipasse (all’estero) alla realizzazione di centrali nucleari, il 79,7% aboliva i contributi a Comuni e Regioni sedi di impianti elettronucleari. Votarono quasi 30 milioni di italiani. La conseguenza di quei referendum fu il fermo delle centrali nucleari funzionanti. “Furono ‘decommissionate’, praticamente smantellate”. In un certo senso, a parte i disastri giapponesi recenti, i siti quindi ci sarebbero, già individuati. “Certo, ma solo teoricamente. A Caorso era già stata realizzata una linea elettrica di 1000 MW, il canale d’acqua per il raffreddamento, le strade, una ferrovia. Solo che quelle centrali sono tecnicamente datate, andrebbero ricostruite da zero. Ho fatto fare una tesi a due miei studenti alcuni anni fa, solo per riavviarle avevano calcolato una spesa di 200 miliardi di vecchie lire, 100 milioni di euro. Ma sarebbero inadeguate alle nuove tecnologie”. Ma soprattutto non le vorrebbe la gente. “Certo, mi defnisco un ‘nuclearista pessimista per l’Italia’. Se fno a due mesi il consenso pubblico alle centrali nucleari poteva essere calcolato intorno al 60%, dopo quello che è successo in Giappone, diciamo che adesso i favorevoli si sono ridotti al 10- 20%”. A parte il consenso popolare, che naturalmente risente anche delle informazioni che riceve, adesso la tecnologia ha superato le problematiche di sicurezza che stanno alla base del consenso? “Il nucleare ha sostanzialmente tre problemi: 1) le scorie. 2) la sicurezza. 3) la proliferazione delle armi nucleari”. Va beh, la terza rientra nell’uso malevolo di una tecnologia. E’ chiaro che gli uomini tendono (per natura?) a usare la scienza per altri scopi. Quindi analizziamo i primi due punti. Partiamo dalla sicurezza. “E allora rifacciamo al disastro di Cernobyl. L’incidente fu dovuto, è stato accertato, alla conduzione ‘allegra’ dell’impianto e un errore di gestione, come ha accertato l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ci furono un centinaio di morti per l’incidente del 26 aprile 1986. I morti potenziali massimi, calcolati 25 anni dopo, danno una cifra intorno ai 4 mila morti, che sono ben pochi rispetto ai 100 mila morti che sono stati annunciati, arrivando a cifre come un milione di morti. Per assurdo questi risultati sono una prova della ‘sicurezza’ del nucleare. Per questo gli scienzaiti hanno una formula, si mettono al numeratore i decessi, al denominatore l’energia prodotta e si ha il risultato della convenienza e della sicurezza. In base a questa formula il meno sicuro risulta il carbone, al secondo posto l’idroelettrico, al terzo il petrolio, al quarto il gasi e attenzione, al quinto il fotovoltaico e solo al sesto posto il nucleare”. Mi sembra una classifca falsata dalla storia. Mentre per il carbone posso capire che anche i recenti incidenti nella miniera cilena, possano incidere nel computo delle vittime, ma per l’idroelettrico? “Ma vogliamo ricordare il Vajont e, per lei che è della Val di Scalve, il Gleno? E una diga cinese che pochi anni fa ha provocato due o trecento mila morti?”. Ma questo è spalmato su un secolo, il nucleare su tempi molto più ristretti. E poi si tratta di incidenti? “Anche per il nucleare di tratta di incidenti”. Beh, è vero, ma mentre capisco allora la statistica sul petrolio e sul gas, mi spieghi quella sul fotovoltaico. “Semplicemente anche qui dal numero di incidenti sul lavoro. Che magari sono pochi come totale, ma vanno, come ho spiegato, in rapporto alla poca energia prodotta. Non dimentichi che la formula si base sul numero dei decessi fratto il totale dell’energia prodotta”. Ho presente. Sta dicendo che se produco tanta energia, i molti morti contano di meno, se produco poca energia i pochi morti contano di più. “Detto così suona malissimo, ma i calcoli vengono fatti così in ogni settore industriale”. Almeno non mi dica che la sicurezza del nucleare si basa su questo rapporto tra morti ed energia prodotta. “Naturalmente no. Sono da diversi anni in funzione nel mondo circa 440 impianti di poten za, più circa 280 reattori di ricerca e 200 reattori per propulsione nucle are. Si è acquisita una signifcativa esperienza di funzionamento. Ci so no stati alcuni, pochi, incidenti gravi, di cui il peggiore è quello citato di Chernobyl nel 1986 su un tipo di reattore della prima generazio ne notoriamente poco stabile e molto diverso dai reattori esistenti nel mondo occidentale. Malgra do questo l’energia nucleare risulta di gran lunga la fonte energetica più sicura (in termini di decessi per unità di energia prodotta), come si evidenzia dagli studi del Paul Scherrer Institut (PSI), specializzato nell’analisi dei rischi connessi con le attività antropiche. L’evoluzione della tecnologia nucleare, come quella di qualunque altra tecnologia, avviene attraverso un processo continuo di metabolizzazione dell’esperienza accumulata. Questo processo è quello che ha portato a tutta una serie di migliorie estremamente importanti sugli impianti in esercizio. L’incidente di Chernobil ha portato alla defnizione di obiettivi molto più stringenti di protezione dei lavoratori e dell’ambiente. È da questo processo che si è passati gradualmente dai reattori di seconda generazione degli anni ottanta a quelli di terza generazione ora sul mercato. Anche per la maturità dei reattori di quarta generazione ci vorranno decine di anni e nel frattempo saranno allo studio altre innovazioni in un naturale processo di miglioramento che caratterizza tutta l’innovazione tecnologica”. Poi però in Giappone… “Ma lì non è stato neppure il terremoto a provocare un disastro, ma lo tsunami che ha interrotto l’energia elettrica prodotta dai motori diesel che garantivano il raffreddamento. I reattori si sono spenti automaticamente col terremoto. Quindi la centrale era sicura. Ma la potenza va in dismissione gradualmente. E’ stato il sistema di raffreddamento che è andato in tilt per mancanza di energia elettrica, l’onda altissima ha spento i motori. Ma anche da questo incidente si impara”. Passiamo alle scorie, che invece sono messe in preventivo per migliaia di anni. “Anche qui la tecnologia fa passi da gigante. Pensi che le scorie di tutte le centrali del mondo si possono racchiudere in un cubo di 13 metri di lato. Non è quindi un problema insolubile. Adesso dalle scorie si riciclano i prodotti ‘buoni’, come uranio e plutonio, che vengono separati dai prodotti ‘cattivi’. Ogni tonnellata di combustile produce 650 grammi circa di scorie, solo l’1% richiede migliaia di anni di sconfnamento geologico, gran parte delle scorie, che comunque sono, come detto, di modesto ingombro (ah, in quel cubo di 13 metri è compreso anche il materiale di isolamento) è ‘riprocessato’ in circa 300 anni. In prospettiva c’è la ‘trasmutazione’ che punta a colpire i prodotti ‘cattivi’ per ridurne la durata di vita”. In alta Valle Seriana Novazza sembra sia un sito più che interessante per estrarre uranio. Tenendo conto dell’ostilità manifesta di tutta la popolazione. “Mah, io credo che l’ostilità maggiore sia quella degli immobiliaristi. Comunque non è, a livello mondiale, una miniera particolarmente ricca, si calcola che possano essere estratti 1’ grammi di uranio per ogni tonnellata di materiale. Ce n’è una migliore in Sardegna. Per il resto, per dirla brutalmente, l’uranio resta lì e quelli che si oppongono, come del resto noi che siamo favorevoli, andiamo tutti al cimitero…”. E le alternative? Se ogni casa si rendesse autosuffciente energeticamente, non si ridurrebbe drasticamente il fabbisogno di energia, rendendo inutile il nucleare? “Purtroppo non è così. L’unica alternativa interessante è quella delle centrali a biomassa. L’idroelettrico in Italia è già sfruttato al massimo”. Ma se ogni Comune si fa la sua centralina sfruttando la caduta dell’acqua per gli acquedotti… “I Comuni montani, ma le città? Lei deve sapere che l’energia elettrica è aumentata di recente del 3,9%. Vuol sapere perché? Di quel 3,9% lo 0,9% è dovuto all’aumento del costo del petrolio, ma il 3% è dovuto al costo degli incentivi per il fotovoltaico e le energie rinnovabili. Questo le dà il senso economico delle alternative al nucleare. Oggi le energie rinnovabili danno un quota del 16-17% del fabbisogno energetico nel mondo (fonte International Energy di Parigi) e si prevede possano arrivare nel 2035 a coprire il 20, massimo 30% del fabbisogno. Il resto lo si dovrà reperire dalle fonti tradizionali”. Il prossimo referendum, lo ammette lei stesso, sembra produrre un voto schiacciante contrario al nucleare, sempre che si raggiunga il quorum. Lei si è defnito un “nuclearista pessimista” per quanto riguarda l’Italia. “In prospettiva della attuale specifca situazione italiana e del contesto internazionale nel settore energetico, non ci sarebbero serie motivazioni perché l’Italia debba restare fuori dal nucleare in attesa della quarta generazione. Viceversa sarebbe opportuno un impegno serio nella costruzione e gestione di impianti di terza generazione come premessa per acquisire competenza e credibilità tecnico-scientifca nel settore. Va segnalato che i reattori di quarta generazione puntano non tanto a un miglioramento particolare sul fronte della sicurezza, già eccellente in quelli di terza, ma al miglior sfruttamento del combustibile con il riprocessamento del combustibile irraggiato. L’Italia, che avrebbe bisogno a breve di maggior capacità di produzione elettrica, che non ha esperienza nella gestione di impianti nucleari tradizionali, che non ha competenze particolari nel settore degli impianti di quarta generazione, se punta per il rientro nel nucleare a questi impianti tradizionali, di fatto opera una rinuncia defnitiva”.

     

    SI VOTA IL 12 E 13 GIUGNO ANCHE PER IL NUCLEARE

    Referendum 2011, i quattro quesiti VOTATE SÌ DIRE… NO

    Si vota domenica 12 e lunedì 13 giugno. Sono 4 i quesiti proposti e riguardano: la privatizzazione dell’acqua con i primi due (si vota SI se non si è d’accordo, si vota NO se si è favorevoli), la produzione di energia nucleare (si vota SI se non si è d’accordo, si vota NO se si è favorevoli), eliminazione del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri (si vota SI se non si è d’accordo, si vota NO se si è favorevoli). Le ‘denominazioni sintetiche’, formulate dall’Uffcio centrale per il referendum costituito presso la Corte Suprema di Cassazione, in relazione a ciascuno dei quattro quesiti referendari dichiarati ammissibili sono: a) referendum popolare n. 1: Modalità di affdamento e gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Abrogazione; b) referendum popolare n. 2 Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma; c) referendum popolare n. 3 Nuove centrali per la produzione di energia nucleare. Abrogazione parziale di norme; d) referendum popolare n. 4 Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale.

    CONTROCANTO: DOPO 25 ANNI L’ALTRA FACCIA DI CHERNOBYL

    b.) Le immagini che vedete sono recenti e si riferiscono alle conseguenze del disastro di Chernobyl accaduto 25 anni fa, che continua a fare vittime. Si potrebbe dire per par condicio: mostrate le immagini dei morti del Disastro del Gleno (1923) o quelle del Vajont, vittime degli “incidenti” nel reperire fonti energetiche diverse (in questo caso idroelettriche) o quelle di Marcinelle o altre esplosioni nelle miniere di carbone. Ma gli “incidenti” rilevati per le altre fonti energetiche sono “limitati” nel tempo e nello spazio al disastro, non si diffondono nell’aria, non almeno per alcune di queste fonti alternative, quelle che vengono sprezzantemente indicate come “non convenienti” in quanto il parametro è quello della quantità (di produzione) e non della qualità. Tornando agli “incidenti”, le conseguenze del Disastro del Gleno non sono ricadute sui fgli, sugli abitanti dei paesi vicini e lontani, sono stati appunto “circoscritte” a chi è stato travolto. Come appunto uno tsunami. Non invece, come accade, per una fuga radioattiva da una centrale nucleare, dove il cosiddetto “incidente” lascia conseguenze enormi, devastanti, su intere generazioni a venire, anche 25 anni dopo il disastro di Chernobyl, come mostrano queste immagini terribili. In un incidente d’auto muoiono le persone coinvolte, non i loro parenti, i loro vicini di casa, i loro compaesani e fnanco ignari abitanti di regioni lontanissime. Come invece accade per il nucleare. Così come non ci sembrerebbe corretto paragonare, per gradi di effcienza energetica, un rapporto vittime-effcienza di trasporto, ad es. tra la bicicletta e l’aereo (sostenendo che l’aereo è più “sicuro” perché le vittime vanno divise, che so?, per la velocità di spostamento), allo stesso modo non ci pare corretto basarci, come si fa nel redigere la classifca di “sicurezza” delle fonti energetiche, sul rapporto tra numero delle vittime e quantità di energia prodotta. Oltretutto calcolando che mentre le vittime del carbone e dell’idroelettrico si spalmano su più di un secolo, quelle del nucleare si riferiscono a meno della metà. E nemmeno ci pare corretto, come dicevamo, mettere a confronto gli “incidenti”, proprio per le ricadute più estese, meno controllabili e più devastanti perché più prolungate, degli “incidenti” del nucleare rispetto a quelli dell’approvvigionamento delle altri fonti energetiche.

    IL PAESE, FRAZIONE DI VALGOGLIO, E LA MINIERA DI URANIO CHIUSA

    NOVAZZA, l’uranio e… l’indulgenza plenaria

    Un anno particolare per Novazza, rifettori puntati addosso per tutto il 2011, che comunque vada sarà ricordato come un anno dove di Novazza si è parlato, a volte anche troppo. Novazza se ne sta lassù, abbarbicata in cima alla Val Seriana, frazione di Valgoglio, da cui dista poco meno di un chilometro. Quasi novecento metri di altitudine e circa 150 abitanti. Ma con uranio a bizzeffe nelle miniere dismesse. E adesso che di nucleare si parla ovunque, Novazza è fnita sotto i rifettori, anche perché poche settimane fa, il 17 marzo, durante il Bergamo flm meeting è stato proiettato il documentario ‘Uranium Project’, realizzato da Alan Gard e Stefania Prandi, in collaborazione con la casa di produzione Lab 80 flm. E giusto qualche giorno prima è scoppiato il fnimondo in Giappone. A Novazza c’è il più grande giacimento italiano di uranio, uno degli unici rimasti in Europa. La riserva del metallo radioattivo si estende dal versante orobico alla vicina val Vedello, in provincia di Sondrio: circa quattro milioni di tonnellate di roccia nascosti sotto prati e boschi che contengono abbastanza uranio per fare funzionare 4 centrali nucleari per 10 anni. Negli anni Sessanta l’Agip nucleare iniziò le attività di esplorazione per estrarre l’uranio ma dovette abbandonare il progetto a causa dell’opposizione degli abitanti della zona. La gente del paese, infatti, si mobilitò fn da subito a difesa della valle organizzando assemblee, conferenze e manifestazioni. Secondo attivisti ed esperti, l’estrazione del minerale avrebbe avuto conseguenze devastanti (dal punto di vista sanitario e ambientale) sull’intera area. Il movimento contro l’estrazione dell’uranio riprese la sua attività anche nel 2006, quando la Metex Resources, una società mineraria australiana, fece domanda alla Regione Lombardia per ottenere la concessione di estrazione del metallo radioattivo sul versante bergamasco. La Regione, sollecitata da una forte protesta popolare, bocciò la richiesta nell’ottobre dello stesso anno. Sergio Piffari, onorevole IDV e di casa in queste zone (è stato sindaco a Valbondione) ha provato a fare quattro conti: “Dai dati di Agip Nucleare, ho effettuato alcuni calcoli: la quantità di uranio presente sul territorio della Valseriana al prezzo di mercato di oggi varrebbe qualcosa come un miliardo di euro. E’ chiaro che se prevalesse la logica della necessità di approvvigionamento, e il governo scegliesse la via del nucleare, sarebbero pronti ad andare lassù ad estrarlo. Con tutte le conseguenze del caso”. Intanto, sempre quest’anno, benedetto o maledetto 2011 per gli abitanti di Novazza, si festeggiano i 550 anni di fondazione della Parrocchia avvenuta il 21 novembre del 1461 per volere dell’allora vescovo di Bergamo Giovanni Barozio. Per l’occasione per mandato del Santo Padre, indulgenza Plenaria a tutti i fedeli. E chissà che qualche Ave Maria non serva a tener via anche i ‘cacciatori’ di uranio, che qui qualcuno comincia a temere arrivino davvero.