Era un maggio di ventuno anni fa. Una vita, per quello che è successo. C’era ancora la Democrazia Cristiana, c’erano il Partito Comunista, il Partito Socialista, il Movimento Sociale, Democrazia Proletaria ecc. Un’altra vita (politica). Il 6 e 7 maggio si votava per la Regione, per la Provincia e per la maggior parte dei Comuni. Tra cui, deflato tra i tanti, per Cene. Ah, tra i partiti ne era spuntato uno quasi nuovo, la Lega Lombarda. C’erano grandi scritte, cubitali, sui muri, qualcuno ci faceva dell’ironia, scrivendo “non si sa cosa vogliono, hanno così poco da dire che lo scrivono in grande”. Mai profezia e analisi furono così sbagliate. Nella pancia della gente covava la rivolta. La Lega si era presentata anche alle elezioni regionali cinque anni prima. Tanto per far capire cosa era cambiato in quei cinque anni: nel collegio di Ardesio la Lega passò da 57 voti del 1985 ai 3.319 voti del 1990. Nel Collegio di Clusone passò da 87 voti ai 4.425 del 1990. Non era ancora in uso il vocabolo, ma fu uno tsunami. La Lega elesse i suoi rappresentanti in Regione e (un po’ meno) in Provincia. Ma era ancora minoranza, guardata a vista come “ladra di voti”. I dirigenti politici non colsero la valenza del voto, lo etichettarono come “voto di protesta”, praticamente sostenendo che erano voti in libera uscita, che sarebbero tornati all’ovile. Non ci tornarono, anche perché furono demoliti gli ovili. Ma nei Comuni lo tsunami non ci fu. Nemmeno nel varesotto, la culla della Lega. Come dire, un conto è dare un calcio nel sedere alla “politica”, un conto è mandare in municipio persone che sanno amministrare. Ci fu però, anche qui, la prima eccezione. Eccezione nazionale. Cene, proprio quel paese che sta di là dal fume (Serio) tra gli alberi, direbbe Hemingway, a ridosso del monte, confne, valico e frontiera con la val Cavallina, la Valgandino, Gazzaniga e Albino. E così il primo sindaco leghista d’Italia fu Franco Bortolotti. E’ un signore alto, elegante. Nel 1990 aveva 41 anni, era un imprenditore, settore autotrasporti. Oggi ha 62 anni, da qualche anno si è deflato, ma nemmeno in quei giorni di g l o r i asi è mai montato la testa. I giornalisti, per due o tre mesi, accorsero da tutta Italia a Cene, tutti lo intervistarono, scrissero pagine di colore, inventandosi anche quello che non avevano trovato. Perché se si aspettavano di incontrare un “baluba” furono subito delusi. Ancora oggi c’è un residuo di quel pregiudizio. Si rimane sorpresi dalla pacatezza e intelligenza delle analisi e dei ragionamenti. Ma partiamo dall’oggi e facciamo il percorso a ritroso. Perché lei, primo sindaco targato Lega, non ha fatto… carriera, non è diventato deputato? “Mi fecero la proposta di candidarmi, mi pare nel 1994, quando vinse la prima volta Berlusconi. Sì, doveva essere quello l’anno. Ma rifutai. Volevo amministrare il mio comune, seguire la mia azienda, fare la mia vita normale, con la mia famiglia”. E non si è fatto più sentire nessuno? “Ma certo, Bossi l’ho incontrato a luglio dell’anno scorso, poi ancora a novembre”. Quindi è nel giro grosso? “No, non faccio politica. Anzi, a dirla tutta, non l’ho mai fatta neppure nei miei due mandati. Noi abbiamo badato a fare le cose che avevamo promesso di fare ai nostri compaesani. E le abbiamo fatte. Quando si amministra bisogna farlo bene. Quando sento i sindaci di adesso che si lamentano, beh, penso che non stiano attenti a suffcienza ai bilanci. Io amministravo la mia azienda e, anche se è un bilancio diverso, anche i conti del Comune. Questo edifcio, vede, ospita il Comune, ma ha al suo interno anche le sedi di enti, associazioni, le poste, la banca. Capisce cheLo dice senza prosopopea, senza la supponenza che la lettura delle parole scritte qui sul giornale potrebbe far pensare. E’ una persona schiva, ha chiesto il permesso per fare questa intervista in municipio, ma solo perché l’intervistatore non avrebbe trovato facilmente l’indirizzo di casa sua. Non si intromette. Quando se n’è andato, dopo due mandati, ha provato a stare in amministrazione. “Ma poi incontravo gente che mi parlava come fossi ancora sindaco. Non andava bene. Non va mai bene restare, perché la gente confonde i ruoli e c’è imbarazzo anche per chi ti succede. Ognuno ha la sua stagione. Così ho lasciato”. Ma la Lega, quella che l’ha convinto la prima volta a candidarsi? “Quando ci siamo presentati nel ’90 non avevamo la minima idea che si potesse vincere. Cene era stato amministrato sempre dalla DC, solo per un mandato c’era stato un sindaco socialista, il sindaco Gobbi, dal 1970 al 1975. Viene da me Renato Bazzana, quello del Bar Co.Ba. (che sta per Coter-Bazzana, il primo era il cognome della moglie), e mi propone di candidarmi. Io avevo visto manifesti, letto qualcosa, ‘Roma ladrona’ e cose del genere, ma come imprenditore ero anch’io del parere che noi diamo troppi soldi che poi non tornano indietro sotto forma di servizi. Ma diciamo che abbiamo fatto la lista tra quattro amici, come si dice in questi casi. E poi la sorpresa, abbiamo vinto, dall’altra parte c’era il candidato della DC, Alberto Lazzari e una lista civica. Non ce l’aspettavamo di certo. Se avessi saputo cosa mi aspettava non l’avrei fatto”. La Lega vinse con 866 voti contro i 644 della DC e i 280 della lista “Rinnovamento”. Perché dice che non l’avrebbe fatto se avesse saputo come sarebbero andate le cose? “Ma perché sono nate subito diffcoltà. Prima di tutto perché non avevamo mai avuto esperienze amministrative e tanto meno mi ero occupato di politica. Veramente nemmeno dopo abbiamo fatto politica. Ma abbiamo dimostrato che eravamo capaci di amministrare”. Ma vi siete resi conto che eravate un ‘fenomeno’ che faceva storia? “Ce ne siamo resi conto quando è cominciato l’andirivieni di giornalisti da tutta Italia”. E Bossi non vi ha fatto i complimenti? Non è venuto a Cene? “Inizialmente il nostro punto di riferimento era Luigi Moretti, che era deputato e sarebbe poi diventato europarlamentare e poi sindaco di Nembro. Ma poi certo, è venuto anche Bossi che ci ha detto, ‘adesso fate vedere che siete bravi. Vi rendete conto che se fallite voi falliamo anche noi?’ Certo. Ma le diffcoltà ci sono state con le altre istituzioni. Quando andavamo alle riunioni mi guardavano come un marziano, una mosca bianca…”. Verde… “Va beh, verde. Ho avuto un sacco di grane, esposti alla Procura, hanno detto che il Parco sul Serio era una discarica, una volta in assemblea di Comunità Montana hanno presentato una mozione, non l’hanno discussa mentre c’ero io, me ne vado a mezzanotte e loro invertono l’ordine del giorno e la discutono in mia assenza. Ci consideravano razzisti. Cose così. Intanto abbiamo fatto vedere che cambiavano le cose. C’erano dei terreni da vendere e noi li abbiamo messi all’asta. Adesso sembra normale, ma non lo era. Da un prezzo base di 150 lire al mq si arrivò a 350 lire. Questo edifcio (il municipio) era già stato progettato, ma noi l’abbiamo modifcato, abbiamo realizzato il Parco, ricostruito l’asilo comunale”. E siete stati riconfermati. “Sì, nel 1995 siamo stati rieletti con quasi l’80%”. Infatti, nel 1995 i risultati furono: 1.917 voti alla Lega di Franco Bortolotti (79,96%) a fronte di 574 voti (23,04%) di “Obiettivo Cene” con candidato Luciano Pisani, area DC. Cene ha poi confermato la Lega per altre tre volte, due con Giorgio Valoti e l’ultima con Cesare Maffeis. E adesso? “Adesso, se mi chiedessero, come nel ’94, di candidarmi al Parlamento, accetterei…”. Lo dice con tranquillità, non aspettandosi davvero che lo chiamino. Anche se a Natale gli arrivano puntuali gli auguri di Bossi. “Quando ho incontrato Bossi a novembre, mi ha chiesto: ‘Allora, non vuoi più davvero fare politica?’. Io ho risposto di no. Ma lui ha aggiunto: ‘Quando decidi, me lo fai sapere’. Adesso avrei tempo”. Ma come giudica la politica attuale? “Parlano di tutto tranne che degli interessi del Paese”. E sul Federalismo? “Prima di tutto vorrei che si togliesse la facoltà di cambiare schieramento, chi è eletto in un partito, se vuol lasciarlo, si dimette da deputato. Sul Federalismo speriamo passi”. La Lega ottiene il federalismo e poi? Ha fnito la sua battaglia? “Poi è da vedersi”. Franco Bortolotti non sembra il prototipo del leghista della prima ora, quelli che devono imparare, partire da zero, che alzano la voce ecc. Non lo è mai stato. E’ stato un amministratore coi focchi e la sua gente lo ha premiato. Trovate uno che al secondo mandato ottiene nel suo paese l’80% dei voti. Uno che non ama farsi vedere. “Ho incontrato e parlato con Gianfranco Miglio, con Speroni… sono andato qualche volta a Pontida”. Sempre schivo, sempre deflato. Alla Berghem Fest non l’hanno invitata? “Può darsi lo abbiano fatto, non ricordo. Ricordo una delle prime edizioni, con Bossi, Funari, il presentatore che all’epoca si era avvicinato alla Lega…”. Sembra una domanda banale, ma non si sa mai. Vota Lega? “Certo, voto Lega”. Senza alzare i toni, con la sua idea che ognuno deve fare quello che è chiamato a fare, deve fare la sua parte, vivere la sua stagione. Ma ad ogni stagione ne succede un’altra. Chissà.
Scheda
A Bergamo la Lega Lombarda nacque 25 anni fa. Era stata fondata quattro anni prima a Varese, anno 1982 da Umberto Bossi e Giuseppe Leoni. Nel 1987 a Bergamo viene inaugurata la prima sede. Bossi è senatore e su di lui comincia il tam tam, lo chiamano “senatur”. Due anni dopo, nel 1989, ecco il primo bergamasco eletto dalla Lega in parlamento, si tratta di Luigi Moretti, che poi sarà sindaco di Nembro ed europarlamentare. La Lega ha già sfondato, elettoralmente, in bergamasca. Nel 1990 elegge ben 9 consiglieri provinciali in Via Tasso e ha il primo sindaco d’Italia, a Cene. E nel 1995 un funzionario della Provincia, nemmeno bergamasco, diventa Presidente leghista dell’ente di Via Tasso. E’ il 6 dicembre del 1985 quando al centro “Serughetti-La Porta”, in città, Umberto Bossi parla al pubblico: è il primo incontro, di cui oggi si ha traccia, del leader del Carroccio in Bergamasca. A parte le tracce vistose sui muri di tutta la provincia, dove in quegli anni comparve appunto la scritta “Lega Lombarda”. SCHEDA Quello che è accaduto dopo è, invece, storia ben più nota: di lì a poco, infatti, la Lega guadagna enormi consensi in Bergamasca tanto da diventare la prima provincia per il Movimento. Ed è proprio negli uffci di un notaio del capoluogo orobico, nel 1989, che risulta depositato l’atto costitutivo della federazione dei movimenti autonomisti padani, con tanto di statuto, che darà vita alla Lega Nord. Sono gli esordi in terra orobica di quello che ormai da anni si è affermato come primo partito in provincia. La segreteria provinciale della Lega Nord ha festeggiato con un gran galà i 25 anni sabato 5 marzo, serata alla quale hanno partecipato, oltre a parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali, sindaci e semplici simpatizzanti, anche il segretario federale Umberto Bossi, i ministri Roberto Calderoli, Roberto Maroni, il viceministro Roberto Castelli, il segretario nazionale Giancarlo Giorgetti, il presidente del Piemonte Roberto Cota, il vicepresidente della Lombardia Andrea Gibelli, il presidente del Consiglio della Lombardia Davide Boni e il presidente della Provincia di Bergamo Ettore Pirovano
Festa nazionale, regionale… A quando quella provinciale?
Ormai siamo a chi ce l’ha più lungo, l’Unità d’Italia può portare anche a questo. E così il siparietto che in questi giorni si sta tenendo in Regione assume contorni tragico-ridicoli. Il 17 marzo è la festa dell’Unità d’Italia? Bene, allora entro 90 giorni, il 29 maggio, ci sarà anche la festa della Lombardia con tanto di bandiera e tutti in vacanza, proposta Lega. E vuoi che l’IDV stia zitto? Giammai, rilancia, e cala l’asso, per tutto il 2011 ogni seduta del consiglio regionale sarà aperta con l’Inno di Mameli. Per ora ci si ferma qui ma si prevedono altri rilanci. Che ne so? Festa provinciale il 1 aprile per il compleanno di Cristiano Doni, che ha ‘liberato’ Bergamo dal giogo bresciano. Cominciamo dalla nuova festa lombarda, è stato approvato nei giorni scorsi dal Consiglio regionale l’ordine del giorno della Lega Nord che impegna la Giunta ad istituire la Festa e una Bandiera della Lombardia. “Con l’ordine del giorno approvato – spiega Stefano Galli, capogruppo della Lega Nord al Pirellone – si è raggiunto un risultato importante: la Lombardia avrà fnalmente, entro 90 giorni, la propria festa e la propria bandiera. Si tratta della realizzazione del dettato statutario, che all’art.1 prevede già l’utilizzo di questi due forti simboli di identità. Per quanto riguarda la festa, una delle ipotesi prevede che si svolga il 29 maggio, in ricordo della storica battaglia di Legnano svoltasi nel 1176. L’importanza di questo evento nella nostra storia è cruciale: fu la prima occasione in cui i liberi cittadini dei nostri Comuni medioevali si unirono nell’alleanza della Lega lombarda e vinsero il nemico comune, l’imperatore germanico Federico ‘Barbarossa’, che voleva togliere l’autonomia e la libertà di cui le Città lombarde avevano goduto fno a quel momento. Questa data si rivela particolarmente adatta e dal grande valore simbolico perché costituisce la dimostrazione storica della forza che possono avere le autonomie locali che si ribellano alle angherie di un potere centralizzato. La bandiera lombarda invece non potrà fare a meno della presenza della Croce di San Giorgio: la croce rossa in campo bianco – spiega Galli – che la tradizione vuole si quando quella provinciale? trovasse sul pennone del Carroccio durante la battaglia di Legnano. Come Lega Nord – conclude Galli – siamo soddisfatti di questo riconoscimento che riteniamo necessario alla piena valorizzazione della nostra cultura lombarda, non certamente secondaria rispetto a quella nazionale, ma che anzi costituisce la vera essenza del nostro modo quotidiano di affrontare la vita di tutti i giorni.” Lega docet. A controbattere ci pensa subito l’Italia dei Valori con l’emendamento del consigliere regionale Gabriele Sola che viene approvato dal consiglio: “Approvazione a larga maggioranza della legge regionale sulle celebrazioni per l’Unità d’Italia e del mio emendamento che prevede l’inno nazionale all’apertura di ogni seduta consiliare. Sono queste le due buone notizie dal Consiglio regionale, non certo la futura istituzione di una festa della Lombardia, spacciata dai leghisti per evento epocale”. Gabriele Sola, consigliere regionale IDV, non le manda a dire alla Lega: “I consiglieri padani sanno benissimo che bandiera e festa regionale erano già contemplati dallo Statuto lombardo. Oggi si è soltanto stabilita la futura costituzione di un comitato che dovrà discutere su come dare seguito a queste iniziative. Ecco perché garantire sin d’ora che il giorno della festa della Lombardia non si lavorerà è, quantomeno, prematuro. Prematuro ed incoerente. Ma come – prosegue Sola – rendere festiva la giornata del 17 marzo da celebrarsi una volta ogni cinquant’anni, a sentir loro, porterebbe il paese al fallimento; e invece non lavorare per la futura, annuale festa della Lombardia sarebbe tutta salute per la nostra economia? Non sta in piedi! Il Lombardia-day potrà benissimo celebrarsi in un giorno feriale: sono certo che la pensi così anche la presidente di Confndustria, Emma Marcegaglia. In ogni caso, meglio evitare ogni fuga in avanti. Si lasci lavorare, quando ci sarà, l’apposito comitato. E, nel frattempo – conclude Sola – si celebri l’ampia intesa odierna sulla legge per le celebrazioni regionali del 150esimo, con l’approvazione dell’emendamento che prevede l’inno nazionale all’apertura di ciascuna seduta del 2011”.