«I temi degli affitti non pagati, quindi degli sfratti, il tema dei mutui non pagati e relativa confisca delle case che sono state magari pagate per larga parte, coperti da sacrifici col rischio che sfuggano di mano proprio all’ultimo momento, rischio di conflittualità sociale ad esempio per le spese condominiali… tutti questi aspetti ci hanno fatti attenti a questo tipo di bisogni»
E’ appena tornato dal Belgio dove è andato a visitare i preti bergamaschi che lavorano là con gli emigranti. Sta girando per i Vicariati della Diocesi, incontrando parroci e curati, ascoltando i suoi preti che stanno al “fronte”. Poi le celebrazioni, le omelie, le lettere pastorali, gli incontri uffciali, le benedizioni, gli inviti, le lamentazioni del clero e dei laici. Il Colle sembra stare largo a questo Vescovo di origini bresciane. Così come il ruolo che Bergamo (anche la parte laica) ha sempre voluto per il suo Vescovo, per sottolineare che si tratta pur sempre, da Papa Giovanni in avanti, di una Diocesi fglia prediletta del Vaticano. Siamo alla vigilia della canonizzazione di Papa Roncalli (domenica 27 aprile), il Papa protagonista dei “Cinque anni che sconvolsero la Chiesa” (facendo il verso a un libro famoso, scritto da un americano, John Reed, sulla rivoluzione russa. Di quello “sconvolgimento” sembrava si fosse perso perfno il ricordo, sembrava in corso un certo “revisionismo” anche ecclesiastico sul Concilio. Poi arriva questo Papa chiamato Francesco. * * * E’ passato solo un anno dalla nostra ultima conversazione, pubblicata l’8 marzo 2013. Ma sembra passato mezzo secolo. Come la devo chiamare? Eccellenza? La Chiesa ha dei titoli un po’ datati, lo spagnolesco Monsignore, poi appunto Eccellenza, Eminenza, Santità… Va beh, che se ancora chiamiamo Onorevoli i nostri Deputati, i titoli ecclesiastici possono sopravvivere ancora per secoli… “Mi chiami Vescovo Francesco”. Che riecheggiando Papa Francesco è già un titolo di merito e forse di programma. Lei un anno fa, alla vigilia del Conclave, mi aveva detto una frase (che era diventata il titolo dell’intervista) che adesso suona profetica: “Abbiamo bisogno di un Papa che miri al cuore”. “Me lo ricordo molto bene e me lo sono ricordato quando è stato eletto Papa Francesco. Non ho particolari pretese di fare profezie ma devo dire che sono stato felice di vedere in lui quello che desideravo”. Papa Francesco non solo ha mirato al cuore, ma direi che l’ha centrato. “Come dice giustamente lei, non solo lo mira ma lo centra e questo sta risvegliando una speranza diffusa che avvertivamo certamente nella Chiesa ma anche a livello universale”. La cosa curiosa è che questo cambiamento che si sentiva come necessario è avvenuto dall’alto. Di solito le rivoluzioni e i cambiamenti profondi partono dal basso e proprio per questo forse a livello periferico trova un po’ impreparati. “Sì, è vero, il cambiamento viene dall’alto nel senso che innanzi tutto viene da Dio. Credo che Papa Francesco sia un dono di Dio al mondo e alla Chiesa in particolare in questo tempo e il Papa che, guidando la Chiesa sta anche lui in alto, interpreta questo soffo di Dio introducendo delle possibilità e delle provocazioni di cambiamento che ci stanno sorprendendo, che ci stanno mobilitando, che ci stanno interrogando. Nello stesso tempo penso che il cambiamento venga anche dal basso. Nel momento in cui Papa Francesco dice ‘vengo dai confni del mondo’, vuol dire che il mondo, la chiesa, il vangelo, li si capisce meglio dalle periferie. Lui oggi è in alto,è il capo della chiesa, e nello stesso tempo è espressione di una chiesa fortemente radicata in basso, nella terra dove vivono tutti: da qui la sua predilezione per i poveri, dimenticati, piccoli, scartati. Attenzione, lo sguardo del Papa è a partire dalla realtà della vita, dalla sua concretezza e intensità”. Viene così comunque ad essere scalfta, se non distrutta, una certa… ieraticità, perfno il concetto di gerarchia. Se il capo, il re, si mette alla pari dei suoi sudditi, i sudditi potrebbero essere anche tentati di farne a meno, di ribaltare tutto, sentirsi a loro volta re… “E’ un’osservazione di buon senso ma nello stesso tempo va riportata a una verità che è quella della originalità della chiesa, dove il primo deve essere l’ultimo, il più grande dev’essere servo, dove la grandezza si manifesta proprio nella carità del servizio. Io credo che non dobbiamo aver paura di percorrere queste strade che possono sconvolgere alcune consolidate forme della vita della chiesa, ma non per gettare nel disorientamento. Sono occasioni preziosissime per riscoprire la freschezza del vangelo, quella freschezza che sulle montagne delle nostre valli quando si raggiunge una sorgente,si può riconoscere e assaporare”scovo
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La rivoluzione in atto sembra quella di far corrispondere i fatti alle parole, Esigenza diffusa tra i cittadini anche nella politica, nell’amministrazione, Il Papa in questi giorni ha detto ‘guardate che io sono uno di voi, mangio, bevo, piango, ho amici’ sembra voler concretizzare le parole negli atteggiamenti, nelle scelte, vive nella Casa Santa Marta invece che nei Palazzi Vaticani. Anche lei per la Quaresima ha chiesto di passare ai fatti… “Sottolineerei molto questo aspetto, il Papa lo indica in un passaggio della lettera sulla gioia del vangelo quando dice: la realtà è più importante dell’idea, non che le idee non siano importanti, ma è importante che si confrontino e si trasformino nella realtà. E mentre respiriamo questa atmosfera, questo vento gagliardo che il Papa sta proponendoci, non possiamo non andare alla verità del vangelo, verità come incarnazione. La parola di Dio, per i credenti la più alta, è diventata un uomo, si è fatta carne umana, si è fatta storia umana. Per un cristiano la corrispondenza tra la parola e i fatti quindi è un’esigenza insopprimibile. I fatti grandi ma anche il fatto più minuscolo: la grandezza del vangelo è capace di trasformarsi anche nel gesto più nascosto, più minuscolo, che a volte noi sottovalutiamo e che invece alla luce del vangelo viene riconosciuto. Ben venga anche per la chiesa, anche per i pastori, anche per ogni cristiano e come accennava lei, anche per il mondo sociale e politico questa provocazione a incarnare le parole che proclamiamo”. Il richiamo che lei fa in Quaresima alla penitenza (o forse ci accontenteremmo della sobrietà) è che debba essere perpetuata oltre la quaresima. Non un “evento eccezionale” ma un modo di vivere proposto per 365 giorni all’anno, nella realtà di un mondo che per 365 sembra voler perpetuare solo il… carnevale. “La sua immagine è molto effcace,ma io penso a una quaresima gioiosa, un cambiamento di stili di vita, di mentalità, dove ad esempio la relazione con le persone, i gesti, gli incontri, l’autenticità con la quale ci si incontra, sono più importanti delle cose. Le cose, che pure sono necessarie, penso al bene della salute, della casa, e a un bene determinante, che condiziona addirittura la dignità dell’uomo, che è il lavoro. Però queste cose, pure importanti, rivelano un’attesa, dei bisogni più profondi che ogni persona umana porta con sé. E la quaresima sboccia in una Pasqua di resurrezione che non è una specie di lieto fne della favola ma è l’esito di un’adesione al vangelo che produce questo tipo di frutto, che non disdegna, non sottovaluta i beni necessari a una vita dignitosa, ma considera dei beni ancor più necessari perché profondamente collocati nel cuore di ogni persona umana”.
“Sono convinto che con la carità, ci sarà una riscoperta del fascino della fede”
‘ “Il Papa scrive che si deve diffidare dell’elemosina che non costa e non duole… il distacco è qualcosa che costa, che duole. Spesso abbiamo fatto gesti di generosità che ci costavano relativamente. Il Papa invita al coraggio di scelte che ci portano alla rinuncia di cose che ci sembrano irrinunciabili”
lei l’ha riassunto in tre punti: preghiera, digiuno ed elemosina, Ma dov’è la gioia di cui parlava prima? “Sono tre parole profondamente collegate. Certamente c’è uno spirito penitenziale che si trasforma in distacco, in rinuncia a piccole cose che lasciano comunque il segno. Ma penso che la nostra vita debba consistere non nelle cose che possediamo ma in qualcosa di più grande. Il digiuno, l’astinenza, il distacco, la rinuncia, non sono fni a se stessi ma mirano al superamento della tirannia delle cose che a volte si impone alla nostra coscienza, La rinuncia, per non essere fne a se stessa, deve diventare gesto generoso, vicinanza ai più poveri. Il Papa evoca questa visione di Dio che si è fatto povero per arricchirci. La nostra rinuncia è fatta per arricchire chi non dispone nemmeno dei beni più necessari, quindi uno slancio interiore che non fnirà con la quaresima: un impegno di maggiore attenzione all’altro, ai bisogni essenziali ma soprattutto ai bisogni profondi che ogni persona porta con sé. E poi la preghiera per il cristiano non è un’evasione. E’ come sorgente di acqua fresca di cui parlavo prima, che alimenta la sua relazione con Dio e di conseguenza anche i suoi comportamenti. In tutto questo ravviso la gioia della quaresima”. Lei ha citato nella sua lettera sulla Quaresima la frase del Papa: “diffdo dell’elemosina che non costa e non duole”. “Sì, il Papa nel suo messaggio scrive questo, ed è vero, c’è qualche cosa che dobbiamo fare, staccarci… il distacco è qualcosa che costa, che duole, noi spesso abbiamo fatto anche dei gesti di generosità ma come un di più, quindi tutto sommato ci costava relativamente. Il Papa invita quindi al coraggio di alcune scelte che ci portano alla rinuncia di alcune cose che ci sembrano irrinunciabili, in vista di un’attenzione maggiore agli altri”. Relazione tra fede e carità, sa che l’accentuazione di una o dell’altra virtù teologale ha prodotto comportamenti diversi degli uomini di Chiesa. Insomma la coniugazione di queste due virtù teologali non è sempre stata pacifca. Penso alle accuse a Papa Giovanni per le due encicliche sociali di “comunismo”. E poi alla Fides et Ratio un’enciclica incomprensibile alla maggior parte dei credenti. “E’ vero, questa unità è continuamente da ritrovare, da scoprire a tutti i livelli, non basta solo ritrovarla nel Papa, nei Vescovi, nei preti, bisogna che ogni cristiano, che ogni persona che crede nel vangelo possa perseguire giorno per giorno l’unità tra fede e carità, unità che ci fa dire che non ci può essere fede in Cristo senza la carità, che si rappresenta in mille modi nel vangelo e che noi siamo chiamati a tradurre nella nostra vita quotidiana. D’altra parte non ci può essere carità senza fede: questo potrebbe essere un po’ più problematico, perché ci sono tante persone che non dichiarano la propria fede ma fanno veramente tanto ma tanto bene, ma non lo esibiscono: il bene della giustizia, il bene della generosità, il bene del volontariato, dell’attenzione ai più poveri. E allora perché non ci può essere carità senza fede? Nel senso che in ultima analisi anche per chi non ne è consapevole la verità profonda dell’amore è Dio stesso e i cristiani dovrebbero esserne sempre più consapevoli: il Dio in cui loro credono è un Dio che è amore”. Diocesi. Passando dalle parole ai fatti lei ha detto delle cose anche eclatanti. Lei ha detto, noi abbiamo già un fondo (corposo) per la famiglia e il lavoro, adesso ne creiamo uno per la famiglia e la casa, annunciando la vendita di una proprietà, un immobile, un palazzo per mettere a disposizione soldi per chi è in diffcoltà. “Sì, è un immobile di proprietà della Curia che stiamo individuando tra alcuni di cui disponiamo e verrà messo in vendita per alimentare il fondo di aiuto per la casa. Alla luce di quello che diceva il Papa,, vorrei che non fosse un gesto che si aggiunge ai tanti, ma fosse il frutto di una nostra rinuncia. Quindi la diocesi si priva di un bene per essere vicina alle persone in diffcoltà, soprattutto sul tema della casa che sta diventando un tema altrettanto rilevante come quello del lavoro. I temi degli afftti non pagati, quindi degli sfratti, il tema dei mutui non pagati e relativa confsca delle case che sono state magari pagate per larga parte, con grandi sacrifci e rischiano di sfuggire di mano, il tema della micro confittualità sociale per le spese condominiali… ci hanno fatti attenti a questo tipo di bisogni. Ma tutto questo impegno non voglio che fnisca in se stesso; io desidero che questo segno sia anche un segno di speranza, che faccia crescere in tutti la consapevolezza che dobbiamo aiutarci vicendevolmente: basta egoismi! Moriamo dei nostri egoismi, mentre invece la possibilità di essere attenti gli uni agli altri, anche rinunciando a qualcosa, non può far altro che far crescere la speranza e la certezza di una vita migliore”. Il che rende più diffcile anche per certi movimenti politici che vi accusano spesso di predicare bene e di razzolare male… “Guardi, questa la raccolgo costantemente come una provocazione nel senso che dobbiamo predicare ma anche praticare. E questo anche relativamente al grande insegnamento di Papa Francesco. Non basta ammirarlo, applaudirlo, essere felici, gioiosi, bisogna anche ascoltare e mettere in pratica quello che insegna con grande effcacia”. Più diffcile sarà avere il consenso unanime dei parroci sul suo invito ad offrire una loro mensilità per chi è nel bisogno… “L’invito lo proporrò il giovedì santo. L’avevo fatto anche quando ero arrivato a Bergamo e, pur non avendo avuto una risposta unanime, era stata comunque molto superiore alle mie attese. Vorrei che la consapevolezza dei bisogni di cui parlavamo, veda protagonisti proprio i miei sacerdoti”. Siamo solo all’inizio di questa rivoluzione, di questo cambiamento di stile o dobbiamo aspettarci altro? “Dobbiamo imparare ancora tante cose, il cammino è lungo; il Papa ci invita a percorrerlo con passo abbastanza veloce. E’ chiaro che si tratta di un cambiamento di mentalità: passare da uno spirito che privilegiava la quantità a uno stile, la qualità all’importanza delle relazioni con le persone, alla traduzione della proclamazione dei vangeli in gesti quotidiani che diventino stile e cultura a un modo nuovo di essere chiesa, soprattutto missionaria; tutto questo richiede anche il tempo necessario”. E non avrà resistenze? “Penso che delle resistenze le incontrerò: non voglio fare lo spiritualista, ma per prima cosa devo riconoscere le resistenze che si alzano in me e poi nel cuore delle persone in forma di egoismi, di pigrizie, di indisponibilità a mettersi in gioco. Sarò ottimista o ingenuo, ma sono profondamente convinto che il movimento che è stato messo in moto sarà capace di vincere tante resistenze”. Se l’Avvento preparava alla venuta, la Quaresima prepara all’evento, alla resurrezione. Ed è il fondamento della fede, “se Cristo non fosse risorto, la nostra fede sarebbe vana” dice S. Paolo. “Sono due grandi misteri della fede cristiana, un Dio che prende sul serio gli uomini al punto tale di farsi uomo e di percorrere tutte le strade dell’uomo, fno al più piccolo, al più dimenticato, al più scartato per poi riscattarli e introdurli, attraverso la porta della resurrezione, alla possibilità di una vita nuova e vera: questa non è soltanto una speranza, è la certezza del cristiano”. Mi sembra perfno più facile (ed è tutto dire) la seguano sul messaggio della carità, che su quello della fede, c’è un sentore diffuso di credenze (più che fedi) in cose anche poco credibili che una fede vera nella resurrezione… “Io credo che la strada della carità che come cristiani siamo chiamati a percorrere aiuti a far intuire anche al più disincantato questa profondità, questa sorgente vitale rappresentata dalla resurrezione. Sono convinto che su questa strada una riscoperta del fascino della fede possa avvenire per tante persone”. Debbo darle atto che lo Spirito Santo ha davvero cambiato le cose, lo scorso anno. Può suggerire di dirottare il suo soffo anche su Montecitorio? Comunque grazie. “Preghiamo ogni giorno per i nostri governanti… Grazie a lei, davvero, grazie e auguri”.