INTERVISTA A LUIGI ACCATTOLI Luigi Accattoli professore vaticanista: “Nelle nomine c’è l’astuzia della Provvidenza” La Chiesa contenta della caduta di Prodi? “Immagino di sì, ma non lo dice naturalmente”

    0
    573

    “L’astuzia della Provvidenza”. Luigi Accattoli definisce così la nomina del cardinal Bertone a Segretario di Stato. Luigi Accattoli fa il vaticanista da 30 anni, scrive e segue il Papa dentro e fuori i suoi viaggi, voce bassa, modi pacati, trent’anni a cavallo dei due quotidiani più importanti d’Italia: “Sei anni alla Repubblica e gli altri ventiquattro al Corriere della Sera. Ho incontrato gente importante dentro i giornali e per conto dei giornali. Mi sono tenuto aggiornato, ho viaggiato e ho mantenuto i fi gli e con questi vantaggi credo di aver pareggiato le amarezze di un mestiere veloce fi no a risultare spietato. Ma ci sono stati vantaggi indiretti, che portano il risultato oltre il pareggio. Ho appreso l’arte di cercare e narrare storie di vita, che è un modo di amare l’uomo. Ho conosciuto un’etica severa del lavoro e della cittadinanza, che viene onorata anche quando non è seguita. Ho imparato l’umiltà”. Questa è la definizione che Luigi Accattoli dà di sé: “E che ho messo nel mio blog”. Luigi Accattoli arriva a Clusone per un incontro, si siede in redazione con la sua voce bassa e pacata, un giornalista atipico, di quelli che non sgomitano: “Per raccontare fatti non occorre esagerare”. Forse perché Luigi Accattoli prima che giornalista si definisce vaticanista: “Io sono nato come vaticanista, ho cominciato ovviamente facendo giornalismo puro al ‘Regno’ (la rivista dei dehoniani, ndr) sono nato a Recanati, poi gli studi nella FUCI e il passaggio al Regno di Bologna”. Perché la scelta di seguire la Chiesa come giornalista? “Non è stata una scelta vera e propria, era il primo lavoro che cercavo, il primo lavoro lo prendi al volo, con il primo contratto della mia vita mi sono sposato, ero assunto come grafico, Il Regno non aveva i soldi per assumermi come giornalista”. Poi qualche mese a Il Foglio, non quello di Ferrara: “Era Il Foglio di Pedrazzi, durato cinque mesi, un quotidiano di Bologna e Modena, ma dopo pochi mesi ha chiuso e sono rimasto senza lavoro, in quel periodo stava nascendo Repubblica, cercavano qualcuno che potesse fare il vaticanista e mi hanno chiamato, d’altronde in quel periodo mi ero specializzato nel mondo cattolico”. Repubblica, nel senso del quotidiano, non era ufficialmente ancora nata: “Facevamo numeri zero, stavamo per partire. Sono entrato a Repubblica il 1° dicembre del 1975. Ero stato assunto perché ‘costavo poco’, essendo risultati ‘troppo cari’ i vaticanisti che avevano provato a ingaggiare: Raniero La Valle, Ettore Masina, Giancarlo Zizola. Io costavo pochissimo perché ero disoccupato, dopo il rapido fallimento del quotidiano ‘Il Foglio’ di Ermanno Gorrieri e Luigi Pedrazzi, al quale ero passato nella primavera precedente, lasciando la redazione del Regno. Avevo ascoltato Eugenio Scalfari a Bologna, venuto a presentare il progetto del nuovo quotidiano. Gli fui presentato in via Po, a Roma, nei locali dell’Espresso, da Pino Ricci, che veniva da Avvenire e mi aveva conosciuto al Foglio. Decisivo fu Sandro Magister, con il quale avevo collaborato quand’era vaticanista di Settegiorni: ‘Noi non ti conosciamo – disse Scalfari – ma abbiamo chiesto a Magister, che ci ha detto che sei la persona giusta’. Potrei ripetere a memoria alcuni passaggi delle istruzioni che Scalfari dava ai suoi giovani collaboratori nel salone centrale della Repubblica. Ironizzava sui nostri pruriti sessantottini: ‘Prima dell’assemblea si riunisce la direzione, onde meglio manipolare il dibattito, perché il metodo democratico ci è poco caro’”. Eugenio Scalfari e Repubblica, un giornale laico che le fa fare il vaticanista, non le hanno mai detto come doveva trattare i temi della Chiesa o la lasciavano libero? “Scalfari non mi ha dato indicazioni, non eravamo ancora in edicola ma si sapeva che sarebbe stato un quotidiano laico, eravamo nella sede de L’Espresso”. Scalfari era notoriamente di sinistra, lei faceva il vaticanista in un giornale di sinistra, cosa è, un cattocomunista? “Non proprio. Non mi piace la definizione. Diciamo che ero di una sinistra pallida, non di più”. Lei è dentro i segreti della Chiesa, dentro le notizie che si dicono e non dicono, conosce a menadito il mondo del Vaticano, come è tollerata dalla Chiesa la sinistra? “E’ vista male, però si accetta il fatto che vi siano anche… una parte di cattolici nelle forze di sinistra”. Perché si ha l’impressione che i cattolici di base siano più di centro sinistra che di centro destra? “Penso sia un’impressione sbagliata, la maggioranza dei praticanti della messa domenicale è di centro destra, non lo dico io, ma le indagini ufficiali, indagini fatte dall’Istituto Cattaneo, attendibile e serio, le cifre si aggirano addirittura sul 70% di praticanti di centro destra e del 30% di centro sinistra”. Correggiamo il tiro: perché si ha invece l’impressione che i preti, i parroci di paese, siano invece di centro sinistra mentre le gerarchie cosiddette alte siano di centro destra? “Questo è vero, l’impressione c’è e molti la sostengono, non c’è però un’indagine ufficiale perché nessuno di loro si sbilancerebbe a dire da che parte stanno però lo si afferma un po’ dappertutto, i parroci sono soliti assumere posizioni progressiste anticonformiste che generalmente coincidono con il centro sinistra. E’ quello che succede di solito con gli intellettuali. Mentre i vescovi sono autorità vere e proprie e le autorità cercano di mantenersi sulla posizione della base, quindi sul centro destra ma non il contrario. Intendo dire che comunque la posizione politica dei praticanti cattolici non è influenzata dalla gerarchia”. Ma quella che lei chiama ‘gerarchia’ è contenta che sia caduto il governo Prodi? “Immagino di sì”. Accattoli ci pensa su: “Però non lo dice naturalmente, è una nostra elaborazione”. Vicenda La Sapienza, lei che l’ha vissuta dal dentro, come è andata? “Per molti ci sono state due ricostruzioni diverse, quella di Amato-Prodi e quella di Bagnasco-Ruini e molti hanno messo il centro sinistra contro la Chiesa ma non è andata così. Bagnasco e Ruini non hanno accusato il governo, anzi, hanno detto che il governo aveva sugge rito di non andare perché si poteva incorrere in rischi, non che non avrebbero garantito la sicurezza. Addirittura si può anche vedere il riconoscimento del Papa di non essere andato proprio perché ha capito grazie al governo il rischio a cui poteva andare incontro. Io non vedo le due versioni diverse, qualcuno le vede perché ha voluto farle vedere”. Accattoli si scalda: “Qualcuno dice: ‘si poteva andare benissimo se non ci fosse stato questo coglione di governo. In realtà per fortuna questo governo ha detto che ci potevano essere gruppi che avrebbero fatto casino e se fosse andato che ci sarebbe scappato il morto? Cosa sarebbe successo?”. Lei quanti Papi ha seguito? “Quattro Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI”. E’ cambiata la Chiesa da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI? “Non è cambiata. Benedetto XVI ha lo stesso programma pontificale, sta dando continuità al predecessore nonostante quello che alcuni dicono, l’intenzione di continuità è dichiarata e non fa nulla per nasconderla”. Perché si ha l’impressione che prima con Giovanni Paolo II la Chiesa entrasse meno nelle questioni della politica italiana? “Non direi. Il momento di maggiore intervento della Chiesa è stato il referendum sulla fecondazione assistita quando c’era Giovanni Paolo II, certo, lui alla fi ne era stanco, gli ultimi periodi era malato ma prima ha sempre seguito tutto in prima persona, non sfuggiva niente a Giovanni Paolo II della politica italiana. Penso al referendum sull’aborto in Italia, è stato fatto in Italia nel 1981 quando era pieno di energie. Quando hanno votato era in ospedale per l’attentato ma prima si ricordano tutti il suo grido a Bergamo, in Città Alta, urlò che l’aborto era un delitto, che non si poteva uccidere la vita, lo urlò a tutti a Bergamo e all’Italia”. Ma un conto è un’idea su una questione così, un conto è fare ingerenze adesso sulla 194 che è una legge dello Stato italiano: “Ma allora il referendum era sul fatto che si abrogasse la legge, quindi anche quella era una legge”. Giovanni Paolo II però sembrava un Papa impegnato più sul missionariato, girava il mondo, Benedetto XVI sembra invece un Papa che fa ingerenze su ogni argomento: “Io ho la mia idea maturata in tutti questi anni, dalla seconda parte del pontificato di Paolo VI c’è stata continuità di posizione, Ratzinger non è diverso, applica alla lettera i documenti e i pronunciamenti già fatti sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Certo, ogni persona è diversa dalle altre, Giovanni Paolo II sarebbe andato alla Sapienza, sono sicuro, lui era sprezzante del pericolo, la contraddizione lo rivitalizzava, era missionario sempre e comunque, Ratzinger è più politico ma soprattutto più timido”. Accattoli si lascia andare e qualche diversità la butta fuori: “Giovanni Paolo II il discorso di Ratisbona su Maometto non l’avrebbe fatto, ma Ratzinger è capace di ammettere di sbagliare e rimediare, è andato in Turchia, quando ha visto che il mondo protestava, che l’Islam era arrabbiato, ha cercato di spiegare le sue ragioni con il suo viaggio in un momento particolare. Giovanni Paolo II non l’avrebbe fatto, non avrebbe ceduto di un millimetro”. Certo, non avendo fatto l’errore, non avrebbe avuto bisogno di rimediare. Alcuni dicono che Ratzinger frena un po’ con le altre chiese: “Dico solo una cosa, Benedetto XVI è andato al Meeting della Pace che organizzano nel sud Italia ogni anno, Giovanni Paolo II nonostante gli innumerevoli inviti non ci è mai andato e mai ci sarebbe andato”. In compenso era andato ad Assisi a pregare con tutti. Voi vaticanisti siete una categoria a parte rispetto agli altri giornalisti, come vi comportate fra di voi? Vi incontrate? “Sì, si viaggia assieme e ci si conosce, poi ognuno risponde ai propri direttori ed editori ed è chiaro che ogni giornale ha una sua linea”. Poi le linee di quei giornali vengono valutate e giudicate. Una volta un vaticanista fu fatto scendere da un aereo perché non gradito al Vaticano, cosa era successo? “Successe a Domenico Del Rio di Repubblica, aveva scritto cose molto critiche sul Vaticano che all’ultimo momento lo depennò dall’elenco dei giornalisti che avrebbero viaggiato in aereo col Papa, era un viaggio in America Latina”. Quindi siete condizionati dal Vaticano? E se vi capita un retroscena da scoop come vi comportate? “Siamo molto più condizionati dalle proprietà dei giornali che dal Vaticano, che resta comunque un interlocutore esterno, anche se chiaramente il settore è delicatissimo, ci vuole diplomazia e qualche pressione dalla gerarchia ecclesiastica ogni tanto l’abbiamo anche noi. Se vogliamo avere dei buoni rapporti con il Vaticano e quindi anche le notizie dobbiamo usare diplomazia, non è come al Quirinale o a Montecitorio dove ci si può permettere qualche battuta”. Nessuna possibilità quindi di fare domande sgradite a un Cardinale come si fa invece con gli onorevoli? “L’ambiente vaticano è ovattato e cerimonioso comunque noi giornalisti siamo abbastanza liberi di porre questioni”. Notate la sottigliezza della risposta (le “domande” diventano “questioni”). C’è più condizionamento a Repubblica o al Corriere? “Sono sostanzialmente la stessa cosa. I giornali oggi sono frenetici più che condizionati. Non c’è pazienza, non c’è calma, hanno sempre fretta e bisogno di tenere alto il tono, titolazioni a caratteri cubitali e per noi vaticanisti è un problema, perché avremmo bisogno di calma, spazio e di numerosi distinguo, la materia è molto sottile ma i giornali di oggi non hanno tempo per queste cose”. Accattoli torna sulle differenze tra Papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: “Il Papa attuale tiene molto alla specificità del suo linguaggio, alla sua originalità, è un intellettuale e quello che vuole dire lo dice, scrive da solo i suoi discorsi e si assume pienamente la responsabilità di eventuali frasi che possono apparire gaffe, come quella del discorso di Ratisbona, non si preoccupa della ricaduta. E’ un intellettuale che ama stare con se stesso e dice quello che sente, ama le citazioni, magari anche provocatorie ma sono tipiche degli intellettuali che godono di esserlo. Faccio un esempio, su 10 discorsi che pronuncia Benedetto XVI ne scrive 8, mentre Giovanni Paolo II su 10 discorsi ne scriveva 2”. Però fa anche alcune gaffes a differenza di Giovanni Paolo II che non avrebbe mai citato la frase su Galileo isolata dal contesto, frase che ha scatenato gli studenti della Sapienza: “Diciamo che Benedetto XVI deve ancora completare l’apprendistato da Papa”. Lei come vede la questione della messa in latino? “Alcuni hanno cavalcato la vicenda, alcuni piangono perché si ostinano a essere progressisti a ogni costo, a me personalmente non dà nessun fastidio, io non cerco nulla ma se dovessi capitare in una chiesa dove si sta celebrando secondo il rito latino non avrei nessun problema, a me sta bene come fa la mia parrocchia ma non mi pongo questi problemi. Quello che conta per me è la messa non il vestito”. Un non credente può essere un buon vaticanista? “Sì e ce ne sono. Benni Lai, il decano dei vaticanisti non era credente. Marco Politi, l’attuale vaticanista di Repubblica è un altro non credente ma ce ne sono molti di più di quelli che si pensa”. E sono tollerati dal Vaticano? “Diciamo che sono accreditati dai giornali e quindi il Vaticano li deve accettare”. Il Concilio Vaticano I è stato dimenticato, ignorato, tradito? “L’interpretazione di Benedetto XVI è coerente con la seconda parte del papato di Paolo VI e con il pontificato di Giovanni Paolo II. Tutto procede come prima, anche l’idea del Concilio è la stessa, Benedetto XVI era stato chiamato a Roma da Giovanni Paolo II che lo vedeva di buon occhio come nuovo Papa e lo stesso Benedetto XVI era stato fatto vescovo da Paolo VI, una linea continua”. Se il Corriere ogni tanto la scavalca e fa commentare quello che succede in Vaticano a Messori, lei si arrabbia? “Non patisco di gelosia, se lavorano gli altri sono contento perché riposo…”. Ma subito si toglie qualche sassolino dalle scarpe: “Comunque Messori non è un giornalista, è un opinionista, un ospite, come Melloni, il vaticanista sono io, quindi non siamo in alternanza”. Ma i gossip e i retroscena che succedono dietro le quinte del Vaticano li raccontate? “Qualcuno sì, non tutti naturalmente”. Già, non tutti. “naturalmente”.

    SCHEDA

    Luigi Accattoli è giornalista del Corriere della Sera dal 1981, scrittore e conferenziere. Nato a Recanati (Macerata) nel 1943, vive a Roma con cinque fi gli (Valentino, Agnese, Beniamino, Matilde, Miriam) e la sposa Maria Luisa Cozzi. Dal 1975 al 1981 aveva lavorato alla Repubblica. Collabora alla rivista Il Regno dal 1973. Negli anni dell’Università (Lettere moderne a Roma), fece parte della Presidenza nazionale della Fuci, cooptato dai presidenti Giovanni Benzoni e Mirella Gallinaro (1968-1970) come redattore della rivista Ricerca. E’ autore del volume Giovanni Paolo. La prima biografi a completa, San Paolo 2006 (una prima edizione di questo lavoro, Karol Wojtyla. L’uomo di fi ne millennio, San Paolo 1998, era stata tradotta in nove lingue). Altre pubblicazioni: Cerco fatti di Vangelo. Inchiesta di fi ne millennio sui cristiani d’Italia, SEI 1995; Quando il Papa chiede perdono. Tutti i mea culpa di Giovanni Paolo II, Leonardo 1997 (tradotto in otto lingue e ripubblicato negli Oscar Mondadori); Vaticano. Vita quotidiana nella città del Papa, Arsenale Editrice 1998 (tradotto in quattro lingue); Islam. Storie italiane di buona convivenza, EDB 2004. I mass media, la famiglia, la vita cristiana nella città secolare sono gli argomenti dell’attività di conferenziere. Di questi temi tratta nei volumi Io non mi vergogno del Vangelo. Dieci provocazioni per la vita quotidiana del cristiano comune (EDB 1999, otto ristampe); Dimmi la tua regola di vita. Cinque tracce dell’avventura cristiana nella città mondiale (EDB 2002); Il Padre nostro e il desiderio di essere fi gli. Vademecum di un giornalista per abitare a lungo nella preghiera di Gesù (EDB 2005).