INTERVISTA – al Cardinale Giovanni Battista Re

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    ARCHIVIO 25 agosto 2017

    Il Cardinale – Giovanni Battista Re

    “Paolo VI aveva pronte due lettere

    di dimissioni, me le mostrò Papa Wojtyla”

    di Piero Bonicelli

    Salven, appena fuori e sopra Borno. Una strada che penetra nell’altopiano tra pinete e colline dolci. Il Cardinale Giovanni Battista Re è in giardino, con lui la sorella e il fratello. Una casa grande nel bosco con ampio porticato. Lo studio è al piano superiore. “I miei nonni tenevano le mucche qui. La casa paterna è in paese, dove sono nato, però i miei nonni stavano in paese d’inverno ma l’estate stavano qui con le mucche, facevano il fieno che portavano giù. A 11 anni sono entrato in seminario, ci sono rimasto 12 anni, seminario di Brescia, a 23 anni sono stato ordinato prete, nel 1957. La mia classe è stata la più numerosa che Brescia abbia mai avuto.

    cardinale re

    Era la prima classe dopo la guerra, 36 novelli preti, il Vescovo era mons. Giacinto Tredici in quel 1957 ebbe un problema che oggi i Vescovi purtroppo non hanno più: 36 preti e non sapeva cosa farne, dove mandarli. Decise che 5 sarebbero andati a laurearsi così ‘avremo professori per il seminario’; tre andarono a Roma e io ero tra quei tre, e due a Milano, uno per laurearsi in Lettere e uno in Scienze naturali”.

    Il Cardinale Re sorride: “Io sono cardinale perché la mia classe era numerosa, altrimenti sarei parroco, come era il mio sogno”.

    Tre anni a Roma al Seminario Lombardo, frequentando l’Università Gregoriana. “Venivano anche da Bergamo, anche se quelli di Bergamo avevano 5 posti al Seminario Romano. Il Seminario lombardo era di proprietà dei vescovi della Lombardia, anche da lì sono passati tanti bergamaschi, Monsignor Renzo Frana era con me. Poi sono tornato in diocesi per un anno. Ma mi proposero il servizio diplomatico, il presidente dell’Accademia Vaticana era Monsignore Giacomo Testa, che chiamavano ‘Testino’ per distinguerlo da Gustavo Testa che era cardinale. E così mons. Testa chiese informazioni sugli allievi dell’Università Gregoriana e tra i nomi segnalati ci fu anche il mio. Io non volevo entrare in questo servizio, non mi sembrava adatto a me, quando è nata la mia vocazione ho sempre pensato di diventare come il curato o il parroco di Borno”.

     

    La Curia Romana e i “suoi” sei Papi: “Per aprire

    il Concilio ci voleva Giovanni XXIII che aveva fiducia

    in Dio e negli uomini”. “Paolo VI è stato il Papa

    che ha semplificato la Curia, voleva la semplicità

    e l’internazionalizzazione degli incarichi”. “Papa Luciani mi disse che il papato era un peso troppo grande sulle sue spalle”. “Giovanni Paolo II: controllavo la traduzione in italiano dei suoi discorsi. Un grande uomo e un grande santo. Venne a Borno e qui dove avevano la stalla

    i miei nonni”. “Benedetto XVI è un grande teologo,

    una persona mite, ha la fama di essere duro

    ma non è così, è buono e ha una testa straordinaria”.

    Papa Francesco: il Papa giusto al momento giusto”.

     

    Giovanni Battista Re quando ripensa alla sua vocazione si illumina: “Sì, al mio paese c’erano davvero due santi preti, la mia vocazione è nata anche per loro. Uno era il parroco don Domenico Moreschi, e il curato, santo davvero, era don Andrea Pinotti. E io vedevo loro e volevo essere come loro. La mia idea era quella di diventare curato in un paese, il mio ideale era il Curato d’Ars, avevo letto molto su di lui. Era un periodo in cui Don Bosco era citato spesso, il vice parroco qui per noi era come don Bosco, parlava sempre di don Bosco, manco sapevo allora che i salesiani erano una congregazione religiosa. Ecco la mia vocazione è nata così”.

    Torniamo a… Roma. “Ecco, mi proposero il servizio diplomatico a Roma dove andai a completare gli studi, 3 anni di diritto canonico. Ero contento, il vescovo mi disse: ‘Quando torni andrai a insegnare in seminario e aiuterai in una parrocchia’. Questo era il programma. Non ero molto dell’idea ma il Vescovo mi disse: se ti trovi male le porte della Diocesi restano sempre aperte”.

    Allora Papa era Giovanni XXIII, era il 1961. “Ero presente all’inaugurazione del Concilio, noi dell’Accademia siamo stati chiamati gli ‘assignator locorum’, quelli che accompagnavano i vescovi al loro posto, forse ricorderete la grande navata in S. Pietro con le tribune in cui c’erano Cardinali e Vescovi, ecco il nostro compito era accompagnarli nei posti loro riservati e distribuire poi i documenti che servivano per il dibattito”.

    Era la prima sezione del Concilio, a giugno del 1963 muore Giovanni XXIII e viene eletto Paolo VI, da un Papa bergamasco a uno bresciano. “Nell’agosto del 1963 sono stato destinato a Panama, alla nunziatura”. Era già Monsignore? “No, lo si diventa dopo un anno, adesso dopo 4 anni. Ma è un titolo che non conta nulla…”. Sorride: “Comunque venni assegnato alla nunziatura di Panama. Era un paese piccolo ma importante. Allora le nunziature erano una sessantina, ora sono il doppio. Panama era importante per la presenza del canale: da lì passavano le navi per andare nell’Oceano Pacifico, c’era molto più progresso rispetto alle altre zone dell’America Latina. Il nunzio era Antonino Pinci, nativo di Palestrina. A Panama ci sono rimasto 4 anni, stavo in Nunziatura e la domenica aiutavo nelle parrocchie. In America Latina un prete si trova bene, il popolo latino americano è naturalmente religioso”. Cosa fa un Nunzio apostolico? “Ha due incarichi, tenere il rapporto con il governo ed essere il rappresentante del Papa con la gente. Papa Roncalli diceva che il Nunzio è tre cose: la voce del Papa, perché parla per il Papa; l’orecchio del Papa, perché poi riferisce al Papa; ma soprattutto è il cuore del Papa”.

    Dopo 4 anni a Panama, Giovan Battista Re viene mandato a Teheran: “Iran, erano i tempi dello Scià. A Panama ci sono rimasto dal 1963 al 1967, a Teheran invece dal 1967 al 1970. Paese musulmano, pochi cattolici, divisi in tre riti, quello latino, di cui si occupa la nunziatura e sono pochissimi, poi il gruppo più numeroso, quello dei Caldei e poi gli armeni cattolici. La gran parte erano armeni ortodossi, i cattolici e i cristiani erano pochi, ma quando c’era lo Scià c’era la piena libertà per la Chiesa. Certo, io mi trovavo un po’ isolato e solo, era bello a Natale, perché i tecnici italiani dell’Agip mineraria venivano a prendermi coi loro elicotteri e mi portavano sui pozzi a celebrare la Messa, ma erano in 6 o 7, non di più. Io in Iran, così come a Panama, ero segretario del Nunzio che in Iran era Salvatore Asta, un siciliano”.

    Da lì Giovanni Battista Re viene chiamato in Segreteria di Stato, come segretario di Mons. Giovanni Benelli, allora arcivescovo. Era l’inizio del 1971: “Il Papa era Paolo VI, bresciano, ma la scelta la fece Benelli. Aveva preso informazioni dai Nunzi. Presi il posto di Renzo Frana che andò a Londra. Benelli disse al Papa che aveva un segretario bresciano, Paolo VI non si ricordava di me, volle sapere chi ero. Da giovane la famiglia Montini veniva in villeggiatura a Borno, io lo avevo visto varie volte ma non ci avevo mai parlato. Cominciò a mandarmi biglietti tramite monsignor Benelli, il Papa voleva sapere di Brescia, mi chiedeva informazioni, lui conosceva bene la Brescia del passato e i fili dei suoi pensieri restarono sempre legati a Brescia. Era nato a Concesio ma a 10 anni i suoi si trasferirono in città, vicino al Santuario della Madonna delle Grazie e sua madre gli disse ‘siamo vicini al Santuario così la nostra famiglia sarà protetta’. Con Paolo VI ho sempre avuto un buon rapporto”.

    cardinale re

     

    Paolo VI dunque veniva in vacanza a Borno: “Sì, fino al 1918, scelse Borno perché i suoi genitori conoscevano un sacerdote di Piamborno che gli propose di venire qui. Quando seppe che ero di Borno (dovevo partire per Panama) mi disse che portava con sé tanti ricordi, che non dimenticava i commenti dietro la chiesa di Borno di suo padre, del parroco e di altra gente circa la guerra che era in corso, era settembre e il confine della guerra era lì vicino, sull’Adamello, e loro dicevano che la guerra stava per finire, perché lì il fronte aveva tenuto e infatti il 4 novembre, poche settimane dopo, finì, e mi disse che erano stati profeti. E poi ricordava che la sua famiglia saliva da Brescia in treno fino a Piamborno, dormivano da questo sacerdote e poi il giorno dopo salivano a piedi dal sentiero… ‘de pirla’, chiamato così perché era un sentiero che girava su se stesso continuamente”. 

    Torniamo a Roma e alla Segreteria di Stato. Dall’esterno Mons. Benelli ha sempre dato l’idea di un uomo politicamente molto capace: “Era un uomo di Chiesa, era il braccio di Paolo VI che a sua volta era una grande mente, era ricco di fede e molto acuto, aveva una grande genialità nel trovare le soluzioni, Paolo VI ha saputo portare avanti le innovazioni di Papa Roncalli che aveva portato un vento nuovo nella Chiesa. Io ho conosciuto Papa Roncalli quando ha ricevuto noi del Seminario lombardo, dopo sette, otto mesi che ero lì, ci aveva salutati uno per uno, di lui ho solo questa immagine. Invece con Paolo VI ho avuto un grande rapporto, la cosa che mi ha colpito di più di lui è stato il modo in cui ha guidato il Concilio Vaticano II, perché se è stato merito di Papa Roncalli l’averlo aperto, è stato poi merito di Paolo VI averlo saputo guidare con saggezza. Ha rispettato la libertà dei padri, ma ha saputo intervenire come Papa quando ce n’era bisogno. Benedetto XVI una volta ha usato questa frase ‘E’ quasi sovrumano il modo in cui Paolo VI ha guidato il Concilio’. Paolo VI è stato inoltre un Papa che ha amato questo mondo moderno, ha curato il dialogo, ha cominciato a viaggiare per annunciare Cristo, ha compiuto gesti che nessun Papa prima di allora aveva compiuto. Si è tolto la tiara, ufficialmente, l’ha messa in vendita e il ricavato l’ha donato ai poveri, i soldi li ha portati in India personalmente, è stato il primo Papa a prendere l’aereo, è tornato in Palestina da dove era partito San Pietro. E’ stato il primo Papa ad avere un vero rapporto con il patriarca ortodosso, Atenagora, è stato il Papa che ha semplificato la Curia, voleva la semplicità e l’internazionalizzazione degli incarichi. Prima di allora in Curia il 90% del personale era composto da italiani. E’ stato lui il fautore dell’internazionalizzazione della Curia. Lo so che non è stato un Papa molto popolare, sembrava freddo, distaccato, ma non era così, aveva una grande visione, erano momenti storici difficilissimi e lui ha saputo guidare la Chiesa in mezzo a quella tempesta, gli anni ’60 e ’70, crisi internazionali, Brigate Rosse… Lì si è vista la sua grandezza, oltre a essere un uomo di grande fede, un intellettuale, era geniale nel trovare soluzioni. E’ stato il primo Papa ad andare all’Onu, si è presentato come un Papa che aveva da consegnare una lettera da 2000 anni, la lettera di Cristo e dell’amore fraterno. Mai più gli uni contro gli altri ma gli uni con gli altri”.

    Giovanni Battista Re era dunque in Segreteria di Stato, sempre con il cardinale Benelli: “Che poi andò a Firenze e io andai con lui per due mesi, poi tornai in Segreteria di Stato con Monsignor Caprio, che poi divenne Cardinale”.

    Sta per arrivare il tempo di Giovanni Paolo II che con Re ebbe un rapporto strettissimo: “Quando Giovanni Paolo II venne eletto Papa, nel 1978, io ero in segreteria di Stato e avevo il compito di coordinare il lavoro della segreteria”.

    Prima però venne eletto Giovanni Paolo I, Papa Luciani: “Di lui ricordo che portavamo ogni sera al Papa la borsa col lavoro da sbrigare. Volle incontrarmi, mi disse subito che lui considerava il papato come un peso troppo grande sulle sue spalle, era una persona schiacciata dal peso della responsabilità che aveva. Ricordo invece che quando Giovanni Paolo II uscì dal conclave accettò e incominciò subito il papato con grande serenità e tranquillità”.

    E lei gli fu vicino dall’inizio alla fine: “Ero allora un semplice monsignore della Segreteria di Stato. Poi mi nominò assessore alla segreteria, che corrisponde al sottosegretario. Allora in segreteria di Stato eravamo 120, dopo un anno siamo diventati 150, perché il lavoro era aumentato, noi eravamo nella prima sezione, c’era poi un’altra sezione dove erano circa una cinquantina. Entrai subito in simbiosi con lui perché ero addetto a rivedere i discorsi che lui scriveva in polacco e venivano tradotti in italiano e io controllavo che l’italiano fosse scorrevole. Ricordo il grande discorso dell’aprire le porte a Cristo, lo tradussero i polacchi che poi lo portarono a me che dovevo rivederlo in un italiano corretto. Il primo che rivedeva i discorsi, per la forma e lo stile italiano, ero io, il Papa lo sapeva e cominciò a chiamarmi, ed entrammo subito in grande sintonia. Li rileggeva, alcune volte mi diceva che magari un termine era troppo forte, altre volte che invece andava data più incisività, oppure che una frase era come un pugno in faccia e andava detta in altro modo, andava ammorbidita. Ho cominciato così ad avere un grande rapporto con lui. Lui voleva bene ai suoi collaboratori, c’era sempre grande serenità attorno a lui, non era mai agitato”.

    Facciamo un passo indietro, sulla morte di Giovanni Paolo I sono rimasti molti dubbi, voi cosa vi dicevate in Vaticano? “Sono state tutte illazioni senza fondamento, Giovanni Paolo I sentiva il peso del pontificato, era stato già in ospedale diverse volte prima di essere eletto Papa. Prima di diventare Papa prendeva pastiglie per favorire la circolazione del sangue, poi aveva smesso. Due o tre giorni prima di morire aveva ricominciato a prenderle perché le gambe si erano gonfiate, aveva telefonato al suo medico che gli aveva consigliato di ricominciare, le riprese, gli partì un embolo e morì. Lui era nel suo appartamento, le suore erano affezionate a lui, era circondato da gente che gli voleva bene, non successe nulla di strano, fu una morte naturale”.

    Giovanni Battista Re cita la Provvidenza che indirettamente sceglie gli uomini e i Papi adatti per ogni tempo: “Per aprire il Concilio ci voleva Papa Giovanni XXIII che aveva fiducia in Dio e negli uomini, per portarlo avanti ci voleva un uomo come Paolo VI che conosceva la Chiesa e il mondo, aveva una grande visione. C’era l’esigenza che la Chiesa di internazionalizzasse. La Provvidenza ha voluto Giovanni Paolo II e Giovanni Paolo I gli ha aperto la strada. Ricordo che un giornalista disse che era stato la testa di ponte perché potesse atterrare il Papa polacco”.

    Comincia l’era di Papa Giovanni Paolo II: “E’ stato grande come uomo, come Papa e come Santo”. Lei non era ancora Vescovo: “No, mi ha ordinato lui vescovo. Mi invitò a cena e disse a Stanislao (mons. Stanislao Dziwisz, adesso cardinale, allora segretario di Papa Wojtyla – n.d.r.)  di cercare sul calendario una data libera per consacrarmi Vescovo. Ricordo che c’era il 4 novembre che era San Carlo, subito dopo c’era la festa di Cristo Re, una festa solenne. Lui mi propose quella, ma io scelti il 7 novembre, un sabato pomeriggio. Scelsi quella data perché i miei genitori si erano sposati il 7 novembre, mia madre era già morta da un anno e non mi vide Vescovo, venni ordinato il 7 novembre del 1987”.

    Giovanni Battista Re viene nominato sostituto alla Segreteria di Stato. “Il sostituto – spiega  ha un rapporto diretto col Papa, perché se le questioni grandi il Papa le discute col segretario di Stato, le altre sono tutte in diretto contatto tra Papa e sostituto e la vita è fatta tutta di piccole cose, quindi tra me e lui c’era un rapporto strettissimo. Il sostituto organizza anche i viaggi, c’era padre Tucci (Roberto Tucci, poi cardinale, morto nel 2015 – n.d.r.) che con Alberto Gasbarri andava sul posto a vedere, prima analizzavamo le tante domande che arrivavano, si esaminavano e il Papa decideva”.

    E poi c’è stato il viaggio di Giovanni Paolo II qui a Borno: “Un regalo del Papa. Mi disse ‘dobbiamo decidere se andare in vacanza in Val d’Aosta o a Lorenzago, per venire a Borno una domenica cosa è meglio?’. Gli dissi che era uguale, Borno era in mezzo. Questione di 7 o 8 minuti di differenza di elicottero. Scelse Lorenzago e preparammo il viaggio a Borno. Venne di domenica, cominciava già ad avere problemi di Parkinson, era il 1998, recitò l’Angelus davanti alla chiesa, poi il pranzo in casa del parroco, voleva venire poi da me ma a casa mia a Borno ci sono alcune rampe di scale, così venimmo qui nella casa di montagna. L’elicottero atterrò nel prato appena qui sotto”.

    Il Cardinal Re viene nominato Prefetto per la Congregazione dei Vescovi e verso la fine dell’anno Santo del 2000 diventa Cardinale: “Il Papa mi disse che voleva che finisse l’anno Santo e che poi passassi alla Congregazione dei Vescovi, dove c’era stato per 4 anni il cardinale Neves (Lucas Moreira Neves, morto nel 2002 – n.d.r.), brasiliano, che aveva problemi di salute e non se la sentiva più di portare avanti quell’incarico”. Giovanni Battista Re diventa cardinale il 21 febbraio del 2001. Nessuna grande festa a Borno per un compaesano cardinale? “Non sono un tipo di feste, il paese era contento e un gruppo di Borno per l’occasione venne a Roma e poi venni io a Borno a fare una Messa ma fu una festa sobria, io sono così”.

    Brescia e Bergamo, unite da Vescovi in comune: “A Brescia c’era Morstabilini, bergamasco, (Luigi Morstabilini nativo di Gromo, 1907-1989, Vescovo a Brescia dal 1964 al 1983 – n.d.r.) uomo molto intelligente e timido, che per quel periodo era il Vescovo giusto e fece molto bene. Dopo di lui un altro bergamasco Foresti che è ancora vivo (Bruno Foresti nato a Tavernola nel 1923, arcivescovo di Brescia dal 1983 al 1998 – n.d.r.) ed ha un grande carisma e noi ai bergamaschi abbiamo dato Francesco Beschi, attuale Vescovo di Bergamo. Quando insegnavo in seminario e aiutavo la parrocchia di San Benedetto, il primo chierichetto era lui, aveva 8 anni, il parroco di lì era molto bravo, aveva un gran numero di chierichetti e uno di questi era Beschi. Poi lui a 16 anni è entrato in seminario. E’ un uomo di grande umanità, una ricchezza umana vastissima”.

    Lei non ha mai avuto rimpianti per non avere avuto incarichi pastorali? “Il mio sogno era diventare curato di una parrocchia, ma ho sempre fatto ministero pastorale nelle varie parrocchie in cui mi sono trovato. In questo periodo, qui a Borno sono a disposizione del parroco”.

    Ci descrive un Conclave? (ride) “Non posso, ho partecipato a due Conclavi, diciamo che ho sentito forte la responsabilità per collaborare a eleggere il Papa”. E’ vero che vi riunite in gruppi separati, ci sono correnti diverse e anche qualche scontro? “Beh, è normale che ci si confronti con chi si conosce di più ma poi l’importante è eleggere il Papa giusto al momento giusto. Papa Francesco ad esempio se fosse stato eletto 50 anni fa sarebbe stato un fallimento, un uomo così semplice, così vicino alla gente, che ha fatto togliere tutti i troni, alle sue udienze ha fatto togliere perfino i tre gradini e ha fatto mettere i tappeti. Paolo VI abolì la tiara, Giovanni Paolo II invece fece togliere la sedia gestatoria, disse che un uomo non deve essere portato da altri uomini, lui aveva il senso dei diritti umani, è stato uno dei temi a lui più cari”.

    Ma lei in Conclave ha preso qualche voto? “Posso dire solo qualcosa del Conclave a cui non ho partecipato, quello che ha portato all’elezione di Giovanni Paolo II. Era chiaro che i candidati erano due, Siri e Benelli, quelli che volevano Siri consideravano Benelli troppo liberale, di sinistra, quelli che volevano Benelli consideravano Siri troppo tradizionalista. La Provvidenza ha voluto Giovanni Paolo II, il Papa giusto al momento giusto. Il Papa giusto per passare da un millennio all’altro, per far sì che ci fosse la caduta del comunismo. La Provvidenza utilizza gli uomini, li guida nel realizzare i suoi progetti”.

    Quando parla di Papa Giovanni Paolo II il Cardinale si illumina, è stato il suo Papa: “Beh, ho sempre lavorato con lui. E’ stato un Papa che ha saputo vedere più lontano di tutti. La caduta del comunismo si deve a tre elementi: al Papa polacco, a Gorbaciov (nato col comunismo, ha fatto carriera col comunismo ma al vertice ha capito che c’era bisogno della Perestroika) e poi a Solidarnosc. E inoltre anche Reagan con la sua politica ha aiutato e così, pacificamente, tutto è crollato”.

    La Curia romana è sempre stata accusata di influire troppo sulla politica italiana, senza il vostro permesso non si riesce a cambiare nulla: “La Chiesa non entra più nella politica ma c’è bisogno di laici che si impegnino e mettano il bene comune al di sopra degli interessi personali”. Il potere della Chiesa è diminuito? “Ma la Chiesa non ha mai avuto tanto prestigio come oggi, la voce del Papa viene ascoltata nel mondo intero, il compito è l’evangelizzazione”.

    Lei ha conosciuto l’Islam… “I Papi hanno cercato di avere buoni rapporti con l’Islam, ma i buoni rapporti ci sono stati solo con i capi. Ricordo quando accompagnai Giovanni Paolo II al Cairo, doveva andare al Sinai, andammo all’università musulmana. I capi sono aperti, è l’Islam che è un po’ chiuso. Poi c’è la parte estrema, l’Isis, c’è bisogno che gli stessi musulmani combattano questa forma di Islam”.

    Papa Benedetto XVI e Papa Francesco: “Papa Benedetto XVI è un grande teologo, una persona mite, ha la fama di essere duro ma non è così, è buono e mite, ha una testa straordinaria. Adesso c’è Papa Francesco, latino americano, un Papa vicino alla gente, che piace, che corrisponde allo spirito di oggi, molto semplice e comunicativo. Un grande comunicatore. Diverso da Giovanni Paolo II che era più solenne nel suo modo di comunicare, due grandi comunicatori in epoche storiche diverse”.

    Non c’è un po’ di disagio sulle regole fissate da Paolo VI sui limiti di età? 75 anni per i Vescovi e 80 per entrare in Conclave? “E’ un’idea giusta, chi elegge il Papa deve essere completamente lucido e non influenzabile. Poi che oggi una persona di 80 anni sia molto più lucida rispetto a chi aveva 80 anni negli anni ’60 è vero, ma credo sia una regola buona che vada portata avanti. Io nell’ultimo Conclave sono entrato per 11 mesi mentre il Cardinale Kasper per 7 o 8 giorni, poi basta, ci vuole un termine. Poi se si sta bene si continua comunque a dare il proprio contributo. Io per esempio sono stato mandato a rappresentare il Papa in Argentina e ora per i 300 anni andrò a rappresentarlo al Santuario di Aparecida”.

    Eravate in 36 quando siete stati ordinati preti, oggi come va? “Un disastro, quest’anno a Brescia 4, l’anno prossimo ancora 4, fra due anni un numero discreto, 9, ma la media ai miei tempi era attorno ai 20-25. La mia classe è stata quella più numerosa, subito dopo viene quella dell’attuale Vescovo di Bergamo Beschi, loro erano in 33. E nella sua classe ci sono due Vescovi, oltre a lui, il Vescovo Angelo Zani, segretario della congregazione per l’educazione cattolica a Roma”.

    Lei dice che la Chiesa non è mai stato così autorevole e seguita come ora, ma perché allora c’è la crisi delle vocazioni? “Sulla crisi delle vocazioni penso che influiscano due elementi, il primo è che nascono in pochi, il secondo è che scegliere di diventare prete vuol dire affrontare una vita di sacrifici, anche se è una vita attraente, ma oggi la società è laicizzata e anche le famiglie fanno di tutto per dissuadere i propri figli nello scegliere di andare prete. Magari ne hanno solo uno e non vogliono che la famiglia finisca, si oppongono. Io in ogni caso sono ottimista, la Provvidenza provvederà, sono convinto che non mancheranno le persone che si consacrano al sacerdozio”.

    Non c’era sentore sulle dimissioni di Papa Benedetto XVI?  “Lui aveva già detto che fino a che sarebbe stato bene sarebbe andato avanti, poi comunque le dimissioni sono previste dal codice di diritto canonico”.

    E qui il Cardinale svela un retroscena: “Paolo VI aveva timore che gli potesse capitare qualcosa e così scrisse due lettere, me le ha mostrate Papa Giovanni Paolo II, le trovò nel suo cassetto, la prima lettera diceva che nel momento in cui non avrebbe più avuto sufficiente salute per guidare la Chiesa intendeva dare le dimissioni. Siccome pensava che tali dimissioni dovessero essere accettate, aveva scritto una seconda lettera nella quale pregava il Segretario di Stato pro tempore di convincere i cardinali ad accettare le sue dimissioni. Nel 1983 il nuovo codice di diritto canonico ha previsto espressamente che un Papa possa dare le dimissioni e precisa che non hanno bisogno di accettazione, sopra il Papa non c’è nessuno e quindi va bene così, l’importante è che le dia con chiarezza e che possano essere rese pubbliche”.

    Chiediamo dell’attentato a Papa Giovanni Paolo II. Il Cardinale non vuole rilasciare dichiarazioni. Chiediamo se è vero che lo stesso Papa fosse convinto che i mandanti fossero i servizi segreti dell’Unione Sovietica che si serviva di manovalanza di altri servizi di paesi amici e che quel Papa fosse nel mirino per aver contribuito in modo determinante a fare crollare l’impero dell’Unione Sovietica. “Di tutto questo preferisco non parlare”.

    Riemerge il fine diplomatico che qualcuno ha definito come l’uomo più potente della Chiesa degli ultimi decenni. Non gli riportiamo il giudizio. Borno è soleggiato, l’altopiano è uno spettacolo e laggiù, oltre Paline, si vede la Presolana.

    Giovanni Battista Re finisce qui, almeno l’intervista. Lui invece va avanti, nonostante i suoi 83 anni, con la spinta dei suoi Papi che si porta dentro.

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