“Qui si vedono le auto, là si vede la gente”. Suor Tecla (di cognome è Forchini, da Sovere, proprio sotto il santuario, ma sul web dovete cercare “le capre di Tecla” e le centinaia di siti che ne parlano) marca così la differenza tra il nostro mondo e il “suo”, quello del Bangladesh dove dirige il San Mary Hospital, l’Ospedale di Santa Maria a Khulna, quattro milioni e ottocento milioni di abitanti, è la seconda città del paese (“bello, ma povero. Abbiamo sette mesi di siccità e poi alluvioni che trasformano le città in grandi Venezie”). La capitale è Dhaka, 11 milioni di abitanti (“un formicaio”). Suora di frontiera, missionaria quasi per caso, non per vocazione. Le cose andarono così: Tecla ha 64 anni compiuti a gennaio. Il papà lavorava all’acciaieria Michetta, a Sovere. “Sette tra fratelli e sorelle, i genitori molto religiosi avevano la campagna dove anche noi lavoravamo, una decina di mucche. Ero la seconda, mio fratello maggiore Pier Battista, cappuccino, missionario in Costa d’Avorio, è morto di tumore nel 1985. Un altro fratello, Padre Antonio, anche lui cappuccino, è da 27 anni proprio in Costa d’Avorio”. Sette tra fratelli e sorelle e tre vocazioni religiose: cos’è che infuiva, il convento a due passi, il santuario appena sopra la casa? “Mio padre non era molto favorevole che mi facessi suora, avrebbe preferito che mi sposassi. Ero infermiera in radiologia all’Ospedale di Lovere. Mio papà si è ammalato, è stato a lungo in sanatorio. Ho detto al Signore, fai guarire il mio papà e io ti regalo la mia vita. Già da infermiera sentivo la mia vocazione nell’assistenza agli ammalati. Così sono entrata nelle Suore della Carità, dette anche di Maria Bambina”. Anche qui, il convento delle Suore a due passi, il Santuario delle Sante fondatrici lì accanto. “Non mi ha infuenzato più di tanto, ho sentito dentro la mia vocazione, anche quando papà era ammalato ho sempre ‘sentito’ la compassione e l’amore di Gesù. Ci voleva bene anche col papà ammalato. Ho fatto il noviziato a Milano nel 1968. Il clima? Anche noi, in convento, abbiamo avuto la nostra piccola rivoluzione culturale. La professione perpetua l’ho fatta nel 1973”. A proposito: ma il papà era guarito? (Suor Tecla fa una piccola pausa): “Sì, è guarito”. Sembra voler confessare il segreto di famiglia, il “miracolo privato” di una guarigione ma poi passa via, sono cose tra terra e cielo, che non devono fnire su un giornale. Suor Tecla viene mandata come infermiera nella clinica Capitanio a Milano, dove passa gli esami di caposala. Ci sta tre anni. Un giorno (1987) c’è il Capitolo generale a Roma, dove decidono di sostenere le Missioni, scarseggiano le vocazioni, il Capitolo decide di inviare le suore che sono disponibili. Tecla non sente una vocazione missionaria, ha già una certa età (ha 42 anni): ma quando le chiedono di andare in Bangladesh ne parla coi genitori che si dichiarano disponibili (nonostante fosse già morto il fratello maggiore missionario): “Ti abbiamo già dato al Signore, mi dissero. In Bangadesh c’era la prima Missione di suore missionarie della storia, fondata nel 1860. Arrivai e fui accolta dall’alluvione, per far sapere che ero arrivata dovetti telefonare in Thailandia da dove telefonarono a Milano. Prima di partire ero stata sei mesi in In ghilterra a imparare la lingua. Ma in Bangladesh si parla il Bangla, che ho imparato in otto mesi, favorita dalle… aspirate che abbiamo anche nel bergamasco. Avevamo 85 suore nella Provincia (come per le altre Congregazioni sono suddivisioni territoriali, paragonabili, non per estensione, alle Diocesi – n.d.r.) di cui 12 italiane, 10 indiane e il resto del posto. Avevo giusto imparato la lingua quando mi sono ammalata di cancro e sono dovuta tornare in Italia, operata alla Clinica Capitanio (dove era stata caposala – n.d.r.). Dopo un anno e mezzo sono guarita e sono ripartita, un piccolo miracolo. Ho fatto da segretaria alla nostra Provinciale (la suora che dirige tutte le Missioni della Provincia – n.d.r.), Suor Camilla, una suora di Bormio. Poi sono stata eletta Provinciale per 8 anni, dal 1992 al 2000, sono stata sei mesi in Thailandia in un orfanotrofo che ospita i fgli degli ammalati di Aids, abbiamo fondato tre nuove comunità e sono tornata in Bangladesh come responsabile dell’Ospedale S. Maria a Khulna, costruito dalla Croce Rossa e diventato Ospedale diocesano e gestito per alcuni mesi dai Padri Saveriani. E’ qui che sette mesi l’anno arrivano i medici italiani che operano gratuitamente per i poveri nell’ambito di ‘Sorriso nel mondo’: arrivano da ogni parte d’Italia, Roma, Parma, Milano, Bari, Napoli, Alessandria… e naturalmente Bergamo. Passano le loro ferie a operare gratis. Non solo ospedale, abbiamo anche una scuola con 500 bambini e una… scuola per ragazzi di strada, non hanno casa, in genere diventano delinquenti, stanno per strada tutto il giorno ma hanno una grande voglia di studiare”. Il Bangladesh è un focolaio di guerra. “Adesso, da gennaio, si sono tenute di nuovo le elezioni, dopo due anni in cui hanno governato i militari”. Il paese è a religione prevalentemente islamica (96% musulmani, 3% indù, 0,05% cristiani e il resto di varie religioni. Chiesa di frontiera che ha problemi come nel resto dell’Islam, proibite le conversioni, quindi i battesimi. Praticamente ci si converte di nascosto, si viene battezzati di nascosto e si tace sulla propria religione con i connazionali, perfno con gli amici. “Noi siamo testimoni muti di una religione che non può fare proseliti né conversioni. L’unica cosa che diciamo è questa frase: Quello che fate a uno di questi piccoli la fate a me. E funziona. Non possiamo parlare di Gesù, solo testimoniarlo”. Una presenza diffcile eppure l’Ospedale di Santa Maria non è mai stato toccato neppure dalle bande di briganti che a volte assalgono queste strutture, neppure dagli attentati, dalle bombe. Perché? “Non so il perché. Accanto al nostro Ospedale c’è una baraccopoli con mille persone, miseria estrema. Interveniamo con i soldi delle adozioni a distanza. Quando arrivano i soldi è una festa. Il 70% della popolazione non ha da mangiare, non ha assistenza sanitaria, non c’è sistema pensionistico. L’età media tuttavia è salita da 50 a 60 anni in soli vent’anni. E paradossalmente adesso abbiamo il problema dei… vecchi. La mortalità infantile è ancora alta. Attualmente siamo 5 suore nell’Ospedale e 2 nella scuola, Ogni mese organizziamo la ‘Giornata del latte’, distribuiamo scatole di latte per sei, sette mesi consecutivi, ogni 3 mesi organizziamo la ‘Giornata della capra’…”. Un’iniziativa che ha fatto il giro del mondo sotto la sigla di “Le capre di Tecla”. In pratica alle famiglie, selezionate sui bisogni più estremi, si regalano capre. “In genere una la mangiano, le altre le allevano per il latte da dare ai bambini e ai vecchietti”. Sulle strade del Bangladesh ci si muove a proprio rischio, “nei villaggi si è un po’ più liberi, noi giriamo col bus, ma bisogna farsi il segno della croce, lì tutti si muovono velocissimi, in città coi rischa, un triciclo simile ai rischiò di Calcutta, solo che hanno la bicicletta invece dell’uomo che trascina e chi trasporta si chiama rischaola”. E c’è l’immagine di Suor Tecla (ride raccontandola) col bastione rosso. “Succede quando arrivano i medici: E’ tutto organizzato ma la notizia si diffonde in pochissimo tempo e già nella notte si ammassano migliaia di persone che al mattino ci troviamo a inquadrare secondo le necessità, selezioniamo i più gravi che devono essere operati subito. Ma immaginate la ressa di tremila persone al cancello. Allora mi muovo come loro capiscono, con un bastone rosso e li inquadro in tre gruppi, ‘guardate che vi bastono’ grido e così con fatica riusciamo a fare un po’ di ordine. Se mandassi degli uomini sarebbe un disastro, si accenderebbero delle liti. Invece vedono me con quel bastone rosso e non osano e alla fine riusciamo a inquadrarli”. Suor Tecla è diventata una fne diplomatica, con i governi bisogna saper trattare. Torna in Bangadesh il 9 giugno prossimo. Non vedrà suo fratello missionario in Costa d’Avorio che torna a Sovere in agosto. Una va e l’altro viene. Sui prati la sorella sta rastrellando il fieno. “Sono stata sul prato anch’io fino a poco fa”. Sopra il Santuario, a poche centinaia di metri il Convento dove i Cappuccini non ci sono più. La valle e la frazione Piazza in faccia. Suor Tecla si gode la solitudine e la pace. Prima di tornare a impugnare il suo bastione rosso e a distribuire le sue capre ai poveri, là sulla frontiera dove la gente si converte al cristianesimo soltanto perché vede che vivi da cristiano.
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