(Dal numero del 6 gennaio 2023)
Lisa Martignetti, Funeral Planner, la ragazza dei cimiteri
È una domenica mattina di sole a Bergamo, Lisa, la ragazza dei cimiteri, come si chiama sui social, sorride dall’altra parte del telefono, è stata una settimana impegnativa, il cellulare in tasca che continua a squillare, tanti progetti per la testa, non c’è tempo per fermarsi, “perché la Signora non va in vacanza”. Lisa di cognome fa Martignetti, mamma di Rebecca, 10 anni, lei invece ne ha quasi 41, di professione (ma soprattutto di passione) Funeral Planner, organizzatrice di funerali dal 2019. Un mestiere quasi… sconosciuto in Italia che significa “prendersi cura di chi sta per partire verso il grande viaggio e occuparsi anche e soprattutto di chi rimane”. Lisa con la vita e con la morte ha un rapporto quotidiano, speciale oserei dire, la ‘Signora’ la guarda negli occhi, la affronta con quel fare dolce che accompagna ogni suo passo, ogni sua pianificazione ed entra in punta di piedi nelle famiglie che diventano le sue famiglie. Così come si organizza un matrimonio, così un funerale, e “quel giorno le persone sono lì per te e per nessun altro, tu sei la protagonista. È come realizzare una lista dei desideri”.
Mentre mescolo queste parole e ascolto la voce di Lisa, mi passa per la mente il romanzo di Valérie Perrin, ‘Cambiare l’acqua ai fiori’. In Lisa ci rivedo Violette. “Parlo da sola. Parlo ai morti, ai gatti, alle lucertole, ai fiori, a Dio (non sempre gentilmente). Parlo a me stessa, m’interrogo, mi chiamo, mi faccio coraggio. Non rientro negli schemi. Non sono mai rientrata negli schemi”, un po’ come Lisa, che ha… dato vita a una professione ‘originale’ in un Paese in cui la morte è ancora un argomento difficile da affrontare. E Lisa qui non ci è arrivata di certo per caso, perché la scintilla si è accesa nello sguardo curioso di una bambina che vede il cimitero come un luogo da scoprire, un luogo dove si respira vita a pieni polmoni. Che a qualcuno può sembrare strano, impossibile. E allora partiamo proprio
da qui, da quell’istante in cui la sua mano ha lasciato quella della nonna per andare a raccogliere un vaso che era caduto a terra. “Ho avuto la grandissima fortuna di avere una famiglia che mi ha educato alla ‘Signora’, la morte, fin da piccolina. Avevo quattro anni quando mia nonna mi ha portato per la prima volta al cimitero dove era sepolta la sua bimba, la sorella gemella di mio papà. Mio nonno mi ha raccontato spesso come ho reagito, ero stupita, ho chiesto dove mi trovavo e poi, quando ho visto quel vaso di fiori sono subito corsa a raccoglierlo per rimetterlo al suo posto… e continuo a farlo ancora oggi. E quello è stato anche il primo gesto di mia figlia quando l’ho portata al cimitero… mi viene la pelle d’oca solo a raccontarlo”.
Non è un caso nemmeno che Lisa sui social si faccia chiamare ‘La ragazza dei cimiteri’: “Con il tempo ho coltivato questo grande amore per il cimitero, perché è un luogo di riparo, di sicurezza, di studio, di post produzione delle mie fotografie, di amore e di lettura. È un luogo che per molti è un luogo di morte, ma al suo interno regna la vita. Qui trovi tutto, la vita e la morte, trovi la gioia, che vedo per esempio in mia figlia quando saltella tra i vialetti, perché per i bambini diventa un luogo da scoprire, e poi certo, c’è il dolore, ovviamente. Regnano anche la natura, gli animali, ci sono i gatti che si aggirano tra le tombe, gli uccellini… Io ho la mia panchina, dove mi siedo e osservo cosa succede attorno a me. Ho coltivato anche l’amore per la fotografia e ho iniziato ad immortalare quelle che io chiamo le mie ‘creature’, i monumenti… mi piace l’idea di dare vita a qualcosa che per molti
è associato alla morte. Quando entro nel cimitero metto le cuffie nelle orecchie e ascolto la musica… è come entrare in un regno che ti porta lontano da qualsiasi altra cosa”.
Che musica ascolti? “Per me è un rituale fin da quando ero piccola e infatti sono passata dal walkman, al lettore cd, all’ipod e poi al cellulare con Spotify. Io sono follemente innamorata di Nick Cave e quindi è la sua musica ad accompagnarmi costantemente. Ascolto una musica molto dolce, melodica, mi piace molto anche la musica classica”.
Poi succede che ‘la ragazza dei cimiteri’ chiede a se stessa qualcosa di più: “Tra il 2018 e il 2019 ho iniziato a documentarmi su quello che riguarda il settore funebre, ne parlo con mio papà, che lavorava in questo mondo. Ci tengo però a sottolineare che non ho seguito le sue orme, perché questo è un lavoro che sin da bambina ha sempre suscitato in me un grande interesse tanto che aprivo il giornale per andare a cercare i necrologi; per molti è la fotografia di una vita finita, mentre per me era leggere i nomi delle persone che ringraziavano e ricordavano il papà, la mamma, il fratello, il nonno e tutte le persone care e ci costruivo una storia, un po’ come quando passeggi al cimitero e vedi le fotografie sulle tombe e fai volare la fantasia. Volevo fare la hostess, così come mio papà voleva fare il pilota (sorride, ndr), e invece alla fine ho lavorato in uno studio dentistico e poi in uno studio medico fino al 2019. Sempre di dolore mi occupavo (sorride, ndr), ma ho capito che non era la mia strada”.
Il 2019 è infatti l’anno che segna un nuovo inizio: “Ho detto a mio padre che volevo inserirmi nel settore funebre, gli ho chiesto di aprire una nostra impresa ma lui mi ha
risposto senza nemmeno pensarci troppo: ‘Io voglio morire felice’. Nel 2017 mio padre si
è ammalato. Tumore. Viene operato e sembra andare tutto bene, ma nel 2018 si presenta un altro tumore, stavolta al polmone. Trovavo riparo nel cimitero e nelle mie creature, ho iniziato a pubblicare su Instagram tutte le fotografie che rappresentavano quei momenti di dolore che stavo provando. Nel 2019 ho detto a mio papà che avrei voluto mollare tutto, ero pronta a lasciare ciò che di certo avevo, un lavoro a tempo indeterminato, per iniziare a formarmi in questo settore, e mio padre mi disse: ‘Non ti posso dire nulla, perché so che sei una testa dura, e quello che vuoi lo devi ottenere però devi capire che ogni defunto che ti troverai di fronte è una persona diversa’ e per me questo è stato un grande insegnamento. Prima di lasciare tutto mi ha consigliato di provare e vedere quale sarebbe stato il mio impatto con la salma e quindi con il capo di mio padre ho fatto qualche vestizione e ho capito subito che questo era il mio lavoro”.
Come l’hai capito? “Mi sono presa cura della salma ed è stato come l’istinto materno di volersi prendere cura di qualcosa di prezioso, perché per me quello non è un corpo
morto, ma è una vita che mi viene affidata, sono dei ricordi, delle storie, quindi mi devo prendere cura di qualcosa di molto importante sia per chi deve affrontare l’ultimo viaggio, ma soprattutto per chi rimane”.
E il primo ‘ultimo saluto’ è stato quello che Lisa ha organizzato per il papà: “Un giorno mi ha detto che era arrivato il momento di parlare del suo funerale. Fino a quel giorno ho sempre voluto negare la sua malattia, perché non volevo accettarlo, non volevo ammetterlo a me stessa. Ci siamo seduti e insieme a me ha immaginato il suo funerale con delle richieste specifiche, poi è andato in camera da letto ed è tornato con l’abito che aveva già scelto”.
Come hai affrontato quel momento? “Uno dei miei più grandi amori mi stava dando un compito importante affidandomi le sue ultime volontà. Poi è arrivato il giorno in cui mio padre ci ha lasciato e lì è iniziato il mio percorso… il primo funerale che ho organizzato era proprio quello di mio padre. Mi ha chiesto specificatamente che fossi io a prendermi cura di lui, l’ho vestito io e in quel momento ho riso, pianto, sorriso, ero arrabbiata, insomma tutte le emozioni sono passate da lì. C’è stato un particolare che mi ha colpito tantissimo, perché mio padre aveva lasciato ben detto a me cosa voleva, ma anche ai suoi colleghi, che sono arrivati con la cassa e le imbottiture che lui aveva scelto. In quell’istante ho capito che le famiglie hanno bisogno di una persona che le accompagni e che le aiuti già in vita a pianificare il proprio funerale. Mio padre così facendo ha fatto un gesto d’amore verso se stesso ma soprattutto verso chi amava. Da qui ho iniziato a formarmi, a studiare e a fare
tutto quello che mi ha portato a crescere la mia figura professionale; volevo aiutare le persone in vita, anche in piena salute, a pianificare il proprio funerale”.
E così è iniziato un viaggio sui social, dove Lisa affronta la morte con le lacrime ma anche con leggerezza: “Non è stato capito da tutti, qualcuno pensa che io abbia voluto spettacolarizzare la morte di mio padre, invece in questo modo aiuto a guardare la morte con occhi diversi.
Ho dato importanza alle persone che vivono tutti i giorni ciò che ho vissuto io e che vivo ancora adesso, perché il lutto te lo porti dietro, la mancanza di una persona che ami c’è e ci
sarà sempre. Ecco perchè pian piano ho iniziato a crescere e a divulgare la parola ‘morte’, perché nel nostro paese non siamo pronti”.
E quindi non tutti condividono il tuo mestiere… “Ho ricevuto un po’ di commenti negativi, di critiche e non solo, c’è ancora chi fa le corna quando mi vede. Una volta una persona mi ha stretto la mano e poi se l’è pulita. La morte fa paura, è un tabù, ma perché continuare a mantenerlo tale? Il primo grande passo è parlarne, parlarne anche in maniera leggera. Molti mi dicono che quando parlo di morte sorrido e cosa dovrei fare, piangere? Perché bisogna necessariamente associare la parola morte con il pianto, il macabro, il brutto? Molti si spaventano all’idea di pianificare il proprio funerale e rispondono che c’è tempo e invece no, il mio lavoro mi insegna che non c’è mai tempo, non ce n’è mai abbastanza.
Quando è morto mio padre è stato un sollievo sapere che sono riuscita a rendere onore alle sue volontà ed è quello che faccio ogni giorno per aiutare chi si affida a me. Mi capita
spesso di arrivare in casa di famiglie che non sanno cosa fare. La prima cosa che chiedo sono gli abiti e mi rispondono che non sanno, aprono gli armadi e lasciano che sia io a scegliere… una responsabilità grandissima. È come se io dovessi morire, aprono l’armadio e mi fanno indossare l’unico abito a fiori che ho, mentre io voglio il vestito nero. Una persona quando muore continua a vivere nei ricordi di chi rimane e quindi pianificare il funerale in vita aiuta ad essere consapevoli di ciò che il defunto voleva… un po’ come fosse la lista dei desideri di come si vuole essere ricordati”.
Ma c’è molto di più: “Ci metto sempre del mio quindi indirizzo le persone a crearsi una propria playlist, ripercorrendo i brani che hanno fatto parte della loro vita e c’è anche una black list, perché ci sono anche persone che non si vogliono al proprio funerale. Dicono che bisognerebbe essere distaccati, freddi, ma io non sono così, non mi prendo cura di un corpo ma di una vita”.
Tu sei credente? “Sono spirituale, credo che esista un’energia che ascolta ed accoglie i nostri pensieri”.
Chi si rivolge a te? “Non per forza deve essere la famiglia che pianifica il funerale di
una persona cara, ad esempio una ragazza ha voluto preparare i bigliettini di partecipazione e di ringraziamento del suo funerale; farlo in vita aiuta a vedere come vorresti fosse il tuo ultimo saluto. Ho fatto anche pianificazioni con persone in piena salute, è un atto d’amore verso se stessi e verso la propria famiglia. Non bisogna essere anziani per pensare alla propria morte, bisogna farlo da subito e non è di certo un caso se ci sono
Paesi che educano alla morte fin da bambini perché la morte fa parte della vita. Tendenzialmente sono più le donne a rivolgersi a me e solitamente la fascia d’età è compresa tra i 30 e i 50 anni, forse perché subentra il senso di responsabilità materno nel non voler lasciare incombenze ai propri figli. Mi è capitato anche di pianificare l’ultimo saluto ai genitori di una ragazza, lei ha voluto fare loro questo regalo perché voleva essere pronta quando sarebbe successo.
È stato un pomeriggio divertente, ci siamo seduti al tavolo di casa loro e abbiamo fatto una lunga chiacchierata, hanno esorcizzato quello che temiamo di più”.
Chi ti chiama ha paura della morte? “Il 70% delle persone che mi chiama la teme follemente poi invece mi ringrazia perché riesce a guardarla in modo completamente diverso. Non è necessario che il funerale si pianifichi insieme a me, ci sono persone che lo fanno anche a casa con i propri parenti, poi è chiaro che io ho degli strumenti in più per guidare sulla scelta di determinate cose.
Quando ricevo il grazie su Instagram per averli aiutati ad intraprendere un percorso o a guardare la morte in maniera differente, per me è una soddisfazione”.
Quando pianifichi un funerale, si crea un legame con le persone che hai di fronte?
“Mi è capitato con un ragazzo che era malato e quel passaggio per me è di grandissima responsabilità, di una cura immensa. Quando accade che una persona muore è come se perdessi anche io un mio caro. Spesso succede che chi mi contatta è chi teme molto la morte e quindi lo fa un po’ anche per gioco. Le richieste arrivano da tutta Italia, perché capita che ci sia chi lo vuole pianificare con una persona totalmente estranea. Chi
viene da me non è circondato da bare e urne, i primi simboli che si collegano alla morte,
non vedrà nulla di tutto questo e la nostra è una semplice chiacchierata. Non chiedo mai
che tipo di bara vuole una persona, anzi chiedo il nome, il cognome e la data di nascita…
mi guardano incuriositi, cosa me ne faccio di questi dati? Rispondo che mi serviranno
per la lapide, è per sciogliere il ghiaccio e… funziona (sorride, ndr).
Non parlo mai della bara, ti assicuro che durante la chiacchierata questo arriva dalla persona stessa, che probabilmente si sta chiedendo fin dall’inizio il motivo per cui io non gliene abbia ancora parlato. Il vantaggio di essere una funeral planner e un’operatrice funebre è che posso pensare a tutto. La vestizione per me è un rituale importante per me, per l’anima del defunto e per la famiglia e quanto ti senti dire che ‘è proprio lei’, perché
magari hai tolto i segni della malattia, quella è la migliore ricompensa. Mi dicono “Chissà quanti soldi fai”, no, non è così e il guadagno più grande è il grazie delle famiglie”.
Come si gestiscono le richieste da tutta Italia? “Insieme a me pianificano il funerale e poi mi appoggio alle onoranze funebri del luogo, anche per una questione di tempo non sarebbe sempre fattibile. Quando invece sono a Bergamo è diverso, è come se fossero le mie famiglie e non finisce tutto il giorno del funerale. Mi occupo anche del dopo, di quella che può essere la gestione dei ricordi. Quando perdiamo qualcuno, il lutto è soggettivo, c’è chi tende a voler eliminare dalla vista qualsiasi cosa ricordi la persona e chi invece vuole selezionare. Quando perdi qualcuno che ha pianificato il funerale con te, il senso di responsabilità è ancora maggiore, perché tutto deve essere come lo voleva”.
Cos’è per te questo lavoro? “Amo quello che faccio e per prima cosa è una vocazione. Quando squilla il mio telefono significa che il defunto ha bisogno di me, perché è lui che mi ha scelta, lo so può essere una cosa un po’ strana, però io sento che è così. Io credo che quando arriva la chiamata è perché la persona che poi ho di fronte in quel momento ha bisogno di me e quindi la mia diventa una coccola. Quando vesto un defunto mi prendo cura di tutto il corpo, lo lavo, lo massaggio e ci parlo. I miei colleghi all’inizio rimanevano scioccati, pensavano fossi pazza, anche se poi capiscono che la mia è una coccola nei
loro confronti. E quando metti amore e passione in quello che fai, il risultato poi lo ottieni”.
Quali sono i lutti più tosti da affrontare? “Quando mi ritrovo a prendermi cura di una famiglia che ha perso un figlio, è un dolore immenso e mi viene il magone solo a parlarne, perché da mamma è innaturale piangere il proprio figlio”.
Tra le richieste più strane? “Quella più strana è quella di una mia amica che durante la veglia vuole che vengano appese al soffitto tantissime mongolfiere e quindi le sto cercando insieme a lei, mentre ha deciso di crearle all’uncinetto o con la stoffa. Ci sono anche delle richieste bizzarre, come il funerale vichingo che non è fattibile, chi vorrebbe il cantante preferito oppure lo sparo dei cannoni, o ancora che venga suonata la batteria in chiesa
e chi durante la veglia funebre vuole che venga disposto un monitor in cui passano le fotografie. La pianificazione funebre ti aiuta a lavorare tanto con la fantasia”.
E Lisa, che guida la regia di molti funerali, ha già pensato al suo… “Ho iniziato a pensarci subito dopo la morte di mio papà; ho preparato il bigliettino di partecipazione, perchè voglio che il mio funerale sia una festa. Si piangerà, sì, ma voglio che le persone si ricordino di me anche in modo felice. Ho anche indicato il dress code, come devono venire vestite le persone, voglio tutti vestiti di nero con un solo accessorio colorato, perché credo che anche visibilmente il funerale deve essere molto bello. Ho preparato anche il biglietto di ringraziamento ma non solo, ho lasciato scritto che a fine cerimonia, quando tutti saranno arrivati a casa, voglio che dal mio telefono venga inviato un messaggio con scritto ‘Grazie per aver brindato alla mia vita’. E tu hai pensato al tuo funerale?”.