Notti prima degli esami

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    Il sapore agrodolce dell’abbandono

    Inizia giugno, e con lui il nevrotico countdown dei giorni che mancano al giorno X dell’inizio degli scritti, 25 giugno 2009. Ragazzi presi dai disperati recuperi dell’ultimo minuto sperando nella magnanimità dei docenti, corsa alla ricerca degli appunti perduti abbandonati chissà dove nel caos della camera e accordi sottobanco in previsione della temibile terza prova; nemmeno i professori sono da meno, agitati come api in un alveare tra programmi da firmare e ripassi per salvare il salvabile. I pochi stoici gonfiano il petto dissimulando sicurezza, ma il bello degli esami è che alla fine davanti alla commissione tutti indistintamente diventano agnellini al macello, in generale la tensione è palpabile e il desiderio collettivo è di saltare a piè pari questi due mesi per arrivare subito a luglio, vada come vada. Samantha Donini, 19 anni, frequenta l’indirizzo ERICA, esprime le sue speranze per questa maturità 2009: “Il bilancio di questi anni è stato positivo soprattutto per quanto riguarda la vastità delle materie trattate, alcune più piacevoli, altre meno, e per l’aiuto dei compagni e dei professori. Agli esami spero di poter dare il massimo delle mie capacità e riuscire ad iniziare gli studi di architettura seguendo le mie aspirazioni, se così non fosse credo di andare subito a lavorare, sperando che il lavoro possa soddisfare le mie ambizioni e garantirmi una stabilità economica”. Di tutt’altro avviso è Luca Picinali, indirizzo IGEA: “Me ne vado dal Romero con un sapore agrodolce in bocca, sono triste perché lascio compagni e amici, ma dall’altro lato sono felice perché, se devo essere sincero, non ne posso più di studiare!! Resto comunque contento della scelta fatta, ho trovato un bell’ambiente e mi sono divertito! Prospettive future? Al primo posto il lavoro, qualunque sia, senza pretese perché siamo in un periodo di crisi… la strada dell’università non è al momento contemplata”. Certo, non sono tutte rose e fori, come dice Chiara Reveranti dell’indirizzo ERICA, 19 anni: “Ovviamente mi sono trovata bene questi anni, malgrado le incomprensioni e le antipatie che nutro per certe persone, sono stati belli e sicuramente mi hanno permesso di confrontarmi con gli altri, perciò mi dispiace che fnisca, ma dall’altra parte non mi farei altri 5 anni!! Riguardo agli esami, li devo passare per forza dunque tanto vale impegnarsi ancora un mese, dopo le superiori probabilmente tenterò qualche test d’ingresso e si vedrà se sarò ammessa o no, altrimenti non saprei proprio che pesci pigliare!”. Per ora pochi sembrano realizzare che con il diploma si chiude un lustro fatto di risate, studio, ansia (…e una buona dose di cazzeggio quando l’insegnante spiega e la testa è a viole, già proiettata verso le vacanze), la scuola forma sia a livello di istruzione che caratterialmente, detto brutalmente “si impara a stare al mondo”, le superiori non sono che l’anticamera di ciò che il futuro ci riserverà, tra soddisfazioni, fatiche e delusioni; è questo il nostro punto di incontro, dove ci scontriamo e confrontiamo traendone sempre qualche lezione, comunque li viviamo, gli anni del liceo sono i più spensierati, e guardando dietro i nostri passi, nel futuro, tutti li rimpiangeremo un po’.

     

    “A Lovere si era una grande famiglia A Milano sarò solo una matricola”

    Paolo Andreini se ne sta seduto sulla terrazza del suo balcone a Riva di Solto, sera di inizio giugno, appena rientrato da una partita di pallone fra amici, pochi giorni alla maturità, 5 A liceo scientifco Decio Celeri a Lovere. Paolo accende una sigaretta, sorride davanti allo sguardo… minaccioso di mamma Anita e attacca: “Come la sto vivendo? Bene. E’ solo un test, niente di più, la pressione ce la stanno mettendo addosso gli insegnanti ma io non sono particolarmente agitato, almeno finora”. Cinque anni con le stesse facce, emozioni da dividere e amicizie da crescere, e adesso? “Adesso cambia tutto. La cosa che più mi dispiace lasciare non sono i singoli amici che comunque vedrò ancora, le amicizie non si perdono perché non ci si ritrova più nella stessa stanza ma è la provincia, l’ambiente. Lovere è stata una sorta di grande famiglia, ci si conosce tutti, ci si sente in un certo senso sempre a casa. 800 studenti suddivisi in tre poli liceali ma bene o male anche solo di vista sappiamo tutti chi appartiene a una compagnia o a un’altra. Milano dove andrò all’università sarà un’altra cosa. Città e università molto più grandi, migliaia di persone che diventano numeri di matricola, sarà un’altra storia, che mi affascina e mi stimola ma è chiaro che l’ambiente della Lovere-famiglia mancherà”. Paolo che si iscrive a Ingegneria Meccanica al Politecnico di Milano. Chiusura di un ciclo, cinque anni e un mucchio di materie che finiscono in soffitta: “Alcune materie nel mio indirizzo scientifico secondo me erano abbastanza inutili e quindi sono contento di abbandonarle”. Nomi? “Latino e flosofia. Avevo ottimi insegnanti e le due materie sono comunque belle ma per un liceo scientifico trovo che sarebbe stato meglio insegnare informatica piuttosto che filosofa. Ci sono alcuni che al termine dei cinque anni non sanno nemmeno accendere il computer. Filosofa mi ha affascinato ma me la posso sempre leggere per conto mio. E poi nel programma di studi è insegnata male, non per colpa dei professori ma ci fanno studiare poco di tutto, sarebbe meglio un paio di autori e scavarli dentro, capire davvero la logica dei pensieri”. Paure? “La commissione rimane sempre l’incognita più grande però avendo rappresentanti interni siamo più tranquilli, ci conoscono da cinque anni e sanno chi è più emotivo e chi meno, sanno cosa abbiamo dato e cosa valiamo”. Un giudizio sui tuoi professori? “Sono stati 5 anni positivi, sono soddisfatto, abbiamo avuto validi insegnanti”. Ingegneria meccanica, perché? “Mi piace pensare di poter progettare o contribuire a migliorare qualcosa di esistente, poi non mi pongo il problema di come quello che realizzo verrà utilizzato e da chi, mi piace pensare a creare il singolo pezzo, che ne so di un treno, un’auto, una moto. Ecco, se proprio ho un sogno è quello di lavorare come tecnico nel mondo della Formula 1 o della Moto Gp ma non mi faccio troppe illusioni, diventare un buon ingegnere mi basta e avanza”. Generazione da facebook: “Sì, nella mia classe il 90% è su facebook, anch’io ma non c’è un motivo particolare. Io lo uso per passarci ogni tanto qualche mezz’ora sul pc a fare test inventati da altri, tutto qui, un passatempo, niente più”. Ultima gita a Parigi, tutti assieme e dopo la maturità un altro viaggio fra amici: “Ce ne andiamo 3 giorni a Londra, siamo in 7 della mia classe, un viaggio di saluto e poi ognuno per la sua strada ma ci si rivedrà, certo che ci si rivedrà”. Ragazze? “L’ho avuta fino a poche settimane fa ma adesso preferisco rimanere solo, vivermi la mia età così, poi quando arriva l’amore arriva. Non guardo solo la bellezza, o meglio la guardo all’inizio ma poi c’è altro, in giro troverai sempre una ragazza più bella della tua quindi è importante trovarci dentro qualcosa di diverso. Che ne so, complicità, testa, amicizia”. E Dio, ci credi? “Credere che ci sia qualcosa dopo la morte mi rasserena e quindi ci credo. La vedo un po’ come Pascal, una scommessa che mi porta avanti, mi fa star bene se poi perdo la scommessa, va beh, almeno mi sono vissuto la vita bene, però magari la vinco. Mi capita di andare a messa, di pregare, di pensare a qualcosa, mi fa star bene e quindi va bene così”.

     

    “Non mi sentirò mai più così in bilico, tra le illusioni e quello che ci aspetta”

     

    Okay, ci siamo quasi, ce l’abbiamo quasi fatta. Siamo in terza, o per meglio dire quinta, e ancora pochi (ma colossali) sforzi e riusciremo ad uscire da questo inferno di scuola. L’idea è allettante, contando che è circa da metà settembre che desidero ardentemente (e con me altri parecchi studenti) che finisca la scuola. Solo che quest’anno è diverso. Non è come al solito, tanti baci, tanti saluti, ci rivediamo a settembre. Adesso sta davvero per finire. Ognuno di noi prenderà la sua strada, e chi si è visto, si è visto. Alcuni di noi si terranno in contatto. Probabilmente tra pochi mesi non ci ricorderemo nemmeno la faccia o la voce dei compagni di classe meno simpatici. E avanti così. E pensare che proprio ieri entravo per la prima volta in questa scuola, cercavo la mia classe e scrutavo tutte queste facce nuove, alla ricerca di qualcuno che potesse venirmi simpatico al primo colpo. Eh no, a dire il vero non era esattamente ieri, sono già passati la bellezza di cinque anni, cinque pesanti e lunghi anni, in cui tutto sommato ci siamo divertiti. Io e i miei compagni di classe abbiamo condiviso molte cose: professori infami e incapaci, voti belli e brutti (troppi..), gioie e dolori personali e scolastici, gite di classi folli. Ah sì, sarà anche scontato ma gli attimi migliori che porto dentro di me sono le gite scolastiche. E sarà ancora più scontato, ma soprattutto le serate durante le gite, passate in albergo a bere e a raccontarci le palle più grandiose di questo mondo. A mangiare in camera la nutella con le dita. Ad analizzare i rapporti interclasse alle tre di notte sul balcone, in mutande, ai primi di marzo. A fumare di nascosto fuori dalla finestra. A vagare tra i corridoi degli alberghi, quasi a non respirare per non farsi beccare dai professori. Ma anche le semplici mattinate a scuola, tra una lezione e l’altra. Tenersi per mano mentre il professore sceglie le vittime sacrificali per l’interrogazione, tremanti di paura. Scendere nel prato durante l’intervallo, a prendere il sole. Fare le gare di corsa nei corridoi, uno in spalla all’altro. Alla fine saranno queste le cose di cui mi ricorderò, non interrogazioni, verifiche, esami. Saranno queste le cose che mi faranno ricordare il liceo come qualcosa di felice e divertente. Le nozioni, tutte le cose noiose e poco interessanti, probabilmente le dimenticherò una settimana dopo gli esami. Gli esami, quelli poi. Tutte le persone che conosco e che li hanno già fatti, assicurano che sono facilissimi, una passeggiata. Già, dopo magari. Sono spaventata, lo ammetto, e i nostri insegnanti non ci hanno rilassato molto, piuttosto hanno fatto del terrorismo psicologico per tutto l’anno. Non voglio immaginare come passerò e cosa farò la mia notte prima degli esami, non so se la passerò a piangere, in bagno a vomitare o sarò tranquillissima (cosa assai improbabile). So solo che sarà unica, e se gli dèi superni vorranno, sarà l’unica. Emozioni del genere passano solamente una volta nella vita. Non mi sentirò mai più così in bilico, al limite tra quello che mi rimane delle mie illusioni e fantasie, che alla fine appartengono ancora alla mia infanzia, e quello che mi aspetta, un mondo di adulti, complicazioni e maturità (almeno ufficialmente). Ma basta guardare fuori dalla finestra per rendersi conto che ‘Esame di Maturità’ non vuol dire necessariamente diventare maturi. E’ un esame, nulla di più. Un compito in classe colossale che deciderà del nostro futuro. O forse no?

    “Non è un giudizio di… maturità, ma solo scolastico”

    Ma chi esaminerà gli esaminatori? Andiamo dall’altra parte del tavolo. Parliamo degli insegnanti, dei “giudici” che decidono del grado di “maturità” di un giovane, quantificandola in un numero. Antonio Savoldelli è dirigente scolastico di due Istituti, il “Fantoni” (Liceo Scientifco, Ragioneria IGEA, Geometri, Turistico) e il “Pacati” (ITIS informatica, IPSIA moda, elettronica, elettrotecnica e meccanica). Ambedue a Clusone. Insegnanti in carico 160, alunni alla maturità oltre 200. Il Prof. Savoldelli mi spiega il meccanismo, le prove d’esame, la composizione delle Commissioni (3 interni, 3 esterni più il Presidente di Commissione esterno). Le due novità di quest’anno: “1) Nell’ammissione il voto in condotta fa media con gli altri voti. 2) Il credito scolastico passa da 20 a 25 punti”. Altro che inglese, questo è arabo… “Il credito scolastico deriva dal triplice punteggio, uno per anno, della media dei voti. Se uno ha la media tra 8 e 10 (il terzo anno ha un’incidenza maggiore) può partire da 25 punti. Deve comunque arrivare a un minimo di 60. Il minimo, media del 6, dà un credito di 10 punti. L’altra novità è che il punteggio massimo del colloquio scende da 35 a 30. Le prove scritte danno un punteggio massimo di 45 (15 per ognuna)”. Quindi se uno parte da un credito di 25 e somma 45 delle prove scritte, potrebbe tralasciare il colloquio… “E’ comunque obbligatorio”. E sono novità positive? “La diminuzione del peso del colloquio sì, dando più importanza al curriculum scolastico, concependo l’esame come una conclusione di un percorso e non come prova a se stante. Purtroppo però c’è un’involuzione, il colloquio sta perdendo il senso interdisciplinare per tornare a una serie di interrogazioni per materia”. Sembra una constatazione marginale ma mi sembra invece importante: significa che avete rinunciato a formare un uomo e ripiegate su giudizi settoriali: “La scuola non ha la pretesa con l’esame di maturità di esprimere un giudizio globale, si limita alle sue competenze”. Vi chiudete in un’isola. “Guardi, oggi il problema vero è gestire la molteplicità. Non abbiamo la chiave di volta per gestirla e questo ci angoscia”. Traduzione: mentre fino a qualche decennio fa la scuola faceva parte della trasmissione di una concezione di uomo sostanzialmente condivisa (tutti remavano nella stessa direzione), oggi non sapete che uomo “voglia” la società. “Io ho molta fiducia in questi ragazzi e non lo dico per dire, ogni generazione del resto ha i suoi punti di forza e di debolezza. Ma vedo concretamente una maturazione progressiva dei ragazzi. Il problema è il rapporto con la scuola che sentono lontana dal loro mondo”. O lontana da tutto il resto del mondo? “Nell’ultimo collegio docenti sono emerse due concezioni diverse tra gli insegnanti, una tradizionalista e una più moderna che cerca di rendere appetibile e soprattutto utile la scuola. Ma quest’ultima è minoritaria”. Ma un dirigente scolastico ha potere per creare un indirizzo e una concezione condivisa almeno nella sua scuola? Non ha alcun potere sugli insegnanti: guardi, la stragrande maggioranza degli insegnanti è in grado di preparare e dare un giudizio, che non può essere un giudizio generale, assoluto sulla personalità del ragazzo, ma solo sul percorso che ha fatto”. E torniamo quindi alla difficoltà di “giudicare” un ragazzo nel suo complesso. Le famiglie aiutano? “Seguono molto il percorso, sono attente… ma, in pura ipotesi, ci fosse un insegnante non all’altezza né io né le famiglie potrebbero farci nulla”. Lei che riforma vorrebbe? “La possibilità per un dirigente scolastico di scegliere il personale, gli insegnanti, andrebbe a cercare i migliori. Così mi ritrovo a gestire quello che ho, tra punte di qualità e… Anche per questo il giudizio di maturità è un semplice giudizio scolastico, uno può avere altre qualità importanti ed essere bocciato in quelle scolastiche. Ma non è una bocciatura di vita”. Come i primari negli ospedali, anche voi ex presidi siete stati omologati a dei manager. “In effetti noi siamo gli unici che in base agli obiettivi mancati possiamo essere licenziati”. Quindi badate più all’economia che agli obiettivi pedagogici. “E’ comunque difficile intervenire sugli aspetti pedagogici, ogni insegnante tende a fare da sé, quello che dicevo, sta venendo meno l’interdisciplinarietà, una visione complessiva”. La scuola un’isola e nella scuola tante isolette personalizzate. “Non è proprio e soprattutto sempre così, ma vedo una tendenza in tal senso, ed è negativa. Quindi il giudizio, che già deve fare i conti con la molteplicità (che cosa voglia la società oggi, che tipo di cittadino), è ulteriormente frantumato dai giudizi disciplinari e individuali. Ma vorrei completare le possibili riforme che auspico: alla scelta del personale aggiungerei anche la riforma degli organi collegiali, caratterizzati da una concezione assembleare che oggi non risponde più all’esigenza per cui era nata”. Ma lei fa volentieri questo mestiere? “Sì, volentieri, ma è pesante. Sto sempre cercando quella chiave di volta della gestione della molteplicità”.