(dal numero del 26 aprile 2013) Le donne “sospettate” sono più d’una. E tra pettegolezzi rispolverati con il retrogusto di scandali riscoperti e ipotesi del terzo tipo (che non è riferimento agli extraterrestri ma
alla sintassi latina) torna la pista della “pastora” che noi sul numero scorso avevamo volutamente “mescolato” con l’indizio che aveva portato a una donna con quel soprannome riferito ai capelli, pista che è stata seguita dagli inquirenti ma ha poi dato esito negativo con l’analisi del Dna. La storia della “pastora” porta lontano e non è ancora, a quel che ci risulta, stata percorsa. Si tratterebbe di una ragazza (allora era tale) poi emigrata in Svizzera dove avrebbe partorito un figlio di cui era rimasta incinta però sull’altopiano. Nella mormorazione di un paese (S. Lorenzo di Rovetta) tra l’infastidito e il curioso è la preferita o almeno la più gettonata. La donna avrebbe un fratello ancora in valle. Non è ovviamente detto che sia quella giusta. Ma poi le chiacchiere raccontano di altre donne che in quegli anni ebbero un figlio. E qui si sono innestate storie di contorno. Resta aperta quella della Casa dell’Orfano, ma è sempre meno accreditata. Don Arturo Spelgatti ha chiarito molti punti, non venivano ospitato neonati né donne partorienti, semmai un bambino poteva essere ospitato dai cinque anni in su.
L’ipotesi di un “trasferimento in alpeggio”, come ironicamente hanno sintetizzato la versione data da un intervistato di S. Lorenzo, vale a dire che la donna potrebbe essere andata a partorire in Val di Scalve, ha perso credibilità da subito. Prima di tutto perché l’alpeggio invece di mimetizzare la protagonista l’avrebbe addirittura additata al pubblico ludibrio. Uno, se deve nascondersi, non va in una piccola comunità dove l’arrivo di una “forestiera” diventava la chiacchiera del lavatoio, piuttosto va in città dove è più facile passare inosservati, specie in istituti di suore o affini di Milano.
E allora? Se le donne “indiziate” dal paese sono salite addirittura di numero, poi ridottosi per i “tamponi” prelevati, la “soluzione” quale potrebbe essere?
1) Prima soluzione proposta: quella di uno screening su tutti i maschi di S. Lorenzo nati tra il 1958 (per sicurezza ma si potrebbe partire anche dal 1960) e il 1965. Obiezione: ma questo presupporrebbe che “Ignoto 1” come viene chiamato il presunto assassino, sia ancora in paese. Altamente improbabile.
2) Seconda soluzione, magari abbinata alla prima: sempre screening sul tutte le donne di S. Lorenzo da una certa età in su (diciamo tra i 65 e i 75 anni). Obiezione: e se la donna nel frattempo, come nell’ipotesi della “pastora” se ne fosse andata dal paese? Due ipotesi anche “costose” visto che ogni prelievo costa parecchio. Del resto se ne sono già fatti più di 18 mila, qualche centinaio in più avrebbe anche solo il risultato di mettere in pace gli abitanti di S. Lorenzo, perché in effetti a nessuno fa piacere anche solo sospettare che la mamma, se non addirittura l’assassinio, sia “tra di noi”. E tra le varie chiacchiere ce n’è una che sarebbe una sorta di pietra tombale sull’intera inchiesta: e se la donna che ha avuto un figlio dal Guerinoni fosse stata una villeggiante? In quegli anni la villeggiatura anche a S. Lorenzo, era in pieno rigoglio. E in paese non se ne sarebbe più saputo nulla, dopo l’estate la donna sarebbe tornata di dove era venuta e avrebbe partorito nella sua città di provenienza. Gli inquirenti sembrano decisi a non mollare anche se il quadro, che sembrava
restringere il campo a un solo paese, adesso si va allargando e trovare la mamma del probabile (quasi) certo assassino diventa la classica ricerca di un ago nel pagliaio.
Perché si aspetta comunque il risultato definito dell’autopsia del corpo di Giuseppe Guerinoni (ci vorrebbe ancora un mese) che darà la conferma al 100% (adesso si è oltre il 98% di certezza) che quella “traccia” trovata sul corpo di Yara è la “firma” (involontaria) dell’assassino.
L’ultima ipotesi: potrebbe essere il nipote di quel figlio avuto dalla donna dal Guerinoni? Ci sono in proposito due versioni degli esperti, una che lo esclude e un’altra, più recente, più aperta a questa ipotesi, avvalorata da un’inchiesta televisiva che avrebbe cercato di dimostrare che Yara quella sera del 26 novembre 2010 uscendo dalla palestra, fosse già in compagnia dell’assassino, quindi con probabilità elevata un coetaneo, perché altrimenti in palestra si sarebbe notata la presenza anomala di un adulto.
Ma questo ci porta lontano dall’altopiano. Di certo c’è (tra noi o chissà dove) una donna che sa di avere avuto un figlio dal Guerinoni e sa che quel figlio (o il nipote) è fortemente sospettato di avere ucciso Yara. E che protegge il figlio (o il nipote).
S.LORENZO – Gli anziani: “Di positivo c’è che almeno tornano ad ascoltarci”
Si continua. Si cerca. Si gira per il paese. La gente racconta, frammenti di storie che si compongono come puzzle a cui però manca sempre il pezzo più importante. Il pezzo finale. Guardarsi in faccia e scoprire fra lo sguardo che forse sì, qualcosa qualcuno c’entra. Il sospetto si è infilato in paese ma più che il sospetto sono i ricordi che in fondo qui ci si diverte a farli riaffiorare, a rispolverare le vecchie teste di casa, quelle ormai canute e magari lasciate in disparte per parlare di cose attuali: “E in fondo mi sento utile ancora anch’io – chiosa un anziano che sta uscendo dal panettiere e decide di non scacciare chi chiede come me – qui in questi giorni voi giornalisti siete messi male ma a noi anziani ci avete anche fatto un piacere. La gente torna ad ascoltarci, a casa mia mi fanno domande dopo che per anni non mi si chiedeva più niente. I miei ricordi di allora? Lasciamo perdere certo che anche qui come in tutti i paesi l’amore faceva danni, che poi non so se i figli sono danni ma le malelingue quelle sì, mica era come adesso sai, allora c’era l’onore, o qualcosa di simile”.
E adesso? “Adesso non c’è più l’onore ma mi sembra che ci sia anche meno amore…”.
L’anziano si infila in un portone e sorride. L’amore e l’onore. Quel binomio che ha spogliato Rovetta, che l’ha messa lì nuda in piazza, per farsi vedere da tutti, che le ha rivoltato l’anima e spostato i segreti che non esistono più. Quel morboso senso di ripercorrere gravidanze e storie d’amore con la calcolatrice in mano, per vedere se quell’esplosione di sensi di una notte collima con date e giorni ma anche con i colori dei capelli che forse non sono né quelli di un padre, né di una madre ufficiali, e ci si riscopre con quella maledetta voglia di pettegolezzo che in fondo è il sale di un paese, il sale fresco della curiosità, da non confondere con le indagini di un omicidio, che qui davanti a tutto c’è altro, che qui sembra passare in secondo piano. Qui adesso interessa sapere di chi è figlio questo o quello, è il
meccanismo perverso dei paesi, dove tutti ci si conosce e all’improvviso si scopre che forse di quella persona non sapevo la cosa più importante, come se una notte d’amore fosse da condividere. Ma questa è un’altra storia.
SCHEDA – Chi è Yara Gambirasio
Yara Gambirasio il 26 novembre 2010 esce di casa alle 17,30 per recarsi in palestra. Non ha allenamenti da fare, deve semplicemente portare alle maestre il brano con la musica per il saggio di danza artistica che avrebbe dovuto sostenere dopo qualche giorno.
La tragedia inizia alle ore 18:44 un orario sul quale non vi sono dubbi perché Yara risponde al messaggio inviatale da un’amica, Martina, alla quale confermava, per le ore 08:00, l’appuntamento di domenica. Da allora non darà più segnali nemmeno quando la madre, alle 19:00, le chiederà dove fosse. Sembra che Yara sia uscita da una porta secondaria, che si affaccia sul retro della palestra e questo viene confermato dai cani molecolari chiamati dalla Svizzera, il Bloodhound, detto anche cane di Sant’Umberto o cane da sangue. È un perfetto segugio da pista per le sue qualità olfattive, che sono molto sviluppate rispetto ad altre razze ed è perfetto per la caccia su terreni accidentati, poiché è molto resistente.
Non ha problemi di clima, e si adatta bene a qualunque luogo. Questi conducono gli investigatori presso un cantiere in costruzione, situato a pochi chilometri dalla palestra. Questo luogo, oggetto inizialmente delle attenzioni degli inquirenti, viene poi abbandonato poiché non vengono scoperte tracce utili. Da questo momento iniziano ad essere formulate le prime domande le quali sono ancora prive di risposta quando, nel pomeriggio di sabato
26 febbraio 2011 viene ritrovato il corpo senza vita di Yara Gambirasio.
Il corpo viene rinvenuto ad appena 300 metri dal centro di coordinamento ricerche istituito presso il Comando della Polizia dell’Isola bergamasca di via Carso, su un terreno che era stato già perlustrato tre volte, metro per metro. I dati emersi dalle analisi condotte dai medici dell’Istituto di Medicina legale di Milano, coordinati dalla Dr.ssa Cristina Cattaneo, fanno emergere alcuni aspetti sugli ultimi minuti di vita della giovane ginnasta. Sono stati sei i colpi inferti a Yara ma, dopo una prima ipotesi, è stata subito esclusa la violenza sessuale. La giovane ginnasta è stata ritrovata con indosso gli stessi abiti che indossava il giorno della sua scomparsa e le analisi entomologiche svolte hanno dimostrato che il corpo è iniziato a decomporsi nel luogo del ritrovamento.