(Dal numero del 24 maggio del 2013) Piove come Dio la manda. Pomeriggio del 16 maggio, Via Taramelli è deserta, la strada che si infila giusto tra quello che era il Park Hotel e un centro sportivo, un budello tra alberi e fango, l’ultima casa in fondo al civico 15 è quella di Antonio Negroni, collega di lavoro e amico di Giuseppe Guerinoni. Antonio sta riposando, un cortile e la campagna attorno, suoniamo un paio di volte, sul campanello la scritta ‘siamo cattolici, niente Testimoni di Geova’, Antonio si affaccia alla finestra, ci apre: “Sedetevi, siete qui per Yara?”. Siamo qui per Yara. “Certo che lo conoscevo Giuseppe, per me era un uomo con la U maiuscola, scrivilo. Ci ho lavorato assieme per tanti anni ed eravamo amici. L’ho anche detto ai carabinieri e alla Questura che mi hanno interrogato”.
Antonio ha conosciuto Giuseppe Guerinoni nel giugno del 1969 quando cominciò a lavorare per i Mottalini, la famiglia che gestiva il ‘tramino’ che faceva la spola tra Ponte Selva e Rovetta: “Ho lavorato sino al 2 settembre del 1991 – racconta Antonio – ho smesso perché un’auto mi ha ‘seccato fuori’ contro un muro e ho dovuto smettere”.
E Giuseppe? “Per quello che l’ho conosciuto io era una brava persona, un poer Cristo, che lavorava per tirare avanti la famiglia, tre figli e mettere a posto la sua casa, a me non sembrava proprio avesse grilli per la testa”.
Allora erano due le linee del ‘tramino’ e su una di quelle due linee potrebbe essere successo
il misfatto, magari al capolinea, quando la corriera si fermava per un po’: “Allora le linee della corriera erano due, Ponte Selva – Clusone, ai Trentì, la zona del bivio verso Lovere –
San Lorenzo e Rovetta capolinea. Un altro invece partiva da Ponte Selva, Fiorine, Rovetta e
San Lorenzo e ritorno. La domenica ogni mezz’ora passava e comunque ogni giorno era sempre pieno”.
A che ora era l’ultima corsa? “Alle 22,15 e arrivava alle 22.50 a San Lorenzo e Rovetta, allora era pieno di ragazze che lavoravano alla Cantoni, alla Pozzi, agli stabilimenti tessili, prendevano tutte la corriera”.
E quando terminava l’ultima corsa si fermava per un po’? “Si fermava e poi rientrava vuoto, prima quando era dei Mottalini rientravamo a Ponte Selva, poi quando era della Sab tornavamo a Clusone. E ricordo il periodo dell’austerità, cominciavano gli anni ’70, il carburante era alle stelle e nessuno usava l’auto, i ragazzi giocavano a pallone lungo la strada provinciale, senza pericolo, e ci si muoveva tutti con la corriera. Alla domenica facevamo servizio anche alla Bussola, che era discoteca e c’era una convenzione per passare anche di lì”.
Antonio fa un tuffo indietro con la memoria: “Ricordo una ragazza, si chiamava A., lavorava alla Pozzi a Ponte Selva, scendeva a Rovetta e poi col motorino tornava a casa, come lei ce ne erano centinaia, ma lei me la ricordo, ogni giorno sulla corriera per andare al lavoro, una brava ragazza”.
Allora la corriera era piena, strapiena: “Ed erano quasi tutte donne, qui c’erano tanti stabilimenti tessili e ci lavoravano quasi esclusivamente donne”.
E voi autisti attaccavate bottone? “Una battuta ci poteva scappare, ma non di più, si lavorava sempre, avanti e indietro, non c’era mica tanto tempo”.
E Guerinoni non le ha mai detto niente di qualche sua fiamma? “No, niente, almeno io
non so niente, faceva i turni come me e ogni tanto ci si vedeva magari a mangiare qualcosa, ma non si faceva niente di particolare. Era venuto anche alla mia cascina qualche volta a cena con gli altri autisti, qualche grigliata, tutto qui. E io ero stato a casa sua ad aiutarlo a fare i lavori con il mio trattorino, a trasportare roba, te l’ho detto, per me è sempre stato un uomo con la U maiuscola”.
E Vincenzo Bigoni invece che tipo era? (Bigoni è l’uomo di Parre che ha rivelato che Guerinoni gli confessò di avere avuto un figlio segreto): “Guarda, se lo incontro il Censo glielo dico chiaro ‘perché se sapevi quelle cose non le hai dette prima e hai aspettato due anni?’, io il Censo lo conosco e a me non ha mai detto niente”.
E la famiglia del Guerinoni la conosce? “Certo che la conosco, anche bene, la moglie era sempre in chiesa, poi ha cominciato ad avvicinarsi ai Testimoni di Geova e il Giuseppe ha sofferto tanto per quello, suo figlio l’ha tirata in quella setta. Lui non voleva, è stato male per quello. Comunque poi si è ammalato e non c’è stato più niente da fare”.
Non le ha mai fatto nessuna confidenza? “No, mai, me lo hanno chiesto anche in questura,
mi hanno interrogato tre volte e se incrociano i tre interrogatori si accorgeranno che non ho mai cambiato versione di una virgola, perché io quello che dico non lo cambio.
E Giuseppe non mi ha mai detto niente. Per me era tutto casa e lavoro, ricordo quanto amore ci ha messo nel mettere apposto la sua casa che poi dopo la sua morte hanno venduta, la casa stava giù sopra lo stabilimento Pozzi, in quella zona”.
Ha parlato con i suoi ex colleghi di quello che sta succedendo con Guerinoni? “Sì, sono tutti meravigliati perché per come lo abbiamo conosciuto non ci sembrava possibile una
cosa così”. Dalla casa di Antonio basta allungare l’occhio e si vede il Park Hotel, un tiro di schioppo fra alberi e verde, attorno nient’altro: “Quando lo hanno aperto, nel 1958 – continua Antonio – era l’albergo più lussuoso della Lombardia, poi un po’ alla volta è diventato un night, un giorno rientro a casa e mi trovo qui il proprietario, Sandro Bassanelli, che stava parlando con mia moglie, mi disse che mi dava i biglietti gratis per mia figlia per entrare al Park Hotel ma in cambio se la musica era troppo alta prima di chiamare i carabinieri avrei dovuto chiamare lui che avrebbe provveduto a farla abbassare.
Gli dissi che io i biglietti per mia figlia non li volevo, perché mia figlia al Park Hotel non sarebbe andata e di non preoccuparsi perché non avrei chiamato i carabinieri”.
Allora i locali non era insonorizzati e c’era un rumore altissimo: “Alcune volte tremavano
i vetri”.
Antonio racconta quegli anni come fossero ancora lì, davanti a lui: “E poi quel giorno, era il 21 luglio del 1989, ti dico anche l’ora, l’1,37 di notte, uno scoppio fortissimo, era saltato in
aria il Park Hotel. Lo avevano fatto saltare, qualche giorno prima c’era stato il processo per la questione della Val di Stava, era ceduta la diga e Bassanelli, il proprietario del Park Hotel era fra gli indagati ma venne assolto con formula piena, qualche giorno dopo la sua assoluzione hanno fatto saltare il Park Hotel, volevano fargliela pagare, pensavano di trovarlo dentro e invece non c’era. Pensa che qualche giorno dopo ho incontrato due carabinieri con una specie di ceppo di ardesia in mano, una grande pezzo, gli ho chiesto cosa era e mi hanno detto che era una scheggia dell’esplosione, l’avevano recuperata a Ponte Nossa e pesava un chilo e sei etti”.
Perché ha cominciato a fare l’autista? “Facevo il contadino, e non mi vergogno a dirlo, poi un giorno Mottalini mi ha detto che gli serviva un operaio, mi ha dato 8 giorni di tempo per pensarci, gli ho detto di sì”.
Stiamo per andarcene, appena fuori casa Antonio indica una cascina: “Là sopra ci viene spesso Padre Arturo, quello della casa dell’Orfano, beh, veramente qualcos’altro da dirvi ce l’ho. Parecchi anni fa sulla corriera saliva sempre un ragazzino (Antonio dice il nome che qui
omettiamo) di Onore che però era stato lasciato dalla madre alla Casa dell’Orfano, aveva una situazione famigliare davvero difficile e non aveva soldi.
Così quando era sulla corriera ogni tanto gli dicevo di non fare due biglietti, tanto c’ero io, di usare sempre quello, volevo aiutarlo, un giorno a fine corsa mi accorgo che mancano 7 mila lire, allora erano tante, cinque pezzi da mille e quattro da cinquecento, penso e ripenso ma i conti non tornano, ne parlo con il mio capo che mi dice di pensare bene a chi poteva averli presi, così mi viene in mente (fa il nome del ragazzo di allora) il giorno dopo vado alla Casa dell’Orfano e incontro Padre Arturo, gli spiego cosa è successo, pensavo che lui avesse parole adatte per un ragazzino.
Mi ascolta e poi chiama il ragazzo e gli dice ‘prendi la tua roba che vai via con questo signore’, lui risponde ‘ma cosa ho fatto?’ e Padre Arturo insiste ‘prendi la tua roba che vai via’ e lui ancora ‘ma cosa ho fatto?’.
A quel punto Padre Arturo gli dice ‘dove hai messo i suoi soldi?’. Il ragazzo abbassa la testa e dice ‘di sopra’ e va a prenderli”.
Cosa c’entra? “Padre Arturo poche settimane fa mi ha confidato che quando è successa tutto il clamore su Yara gli è venuto in mente che forse poteva centrare quel ragazzo che è di Onore, non ha la patente e gira ancora in zona, una persona che ha avuto sempre problemi, una volta aveva fatto sparire 30.000 lire di caramelle da un supermercato, non cose gravi, ma espedienti, cose così. Ecco, questo è quello che so”.
La mamma l’aveva lasciato alla Casa dell’Orfano, utilizzava il “tramino” e frequentava anche il Park Hotel. Ce ne andiamo. L’acqua continua a cadere, Antonio rientra in casa: “Comunque ricordati, Giuseppe era un uomo con U maiuscola, scrivetelo”.
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