OMICIDIO YARA GAMBIRASIO – “Qui c’era il… ‘capolinea’ del tramino”

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    OMICIDIO YARA GAMBIRASIO - “Qui c’era il... ‘capolinea’ del tramino”

    (Dal numero del 10 maggio 2013)

    «Qui salivano e scendevano le ragazze di San Lorenzo, Songavazzo e nelle frazioni. Lì c’era il tempo per consumare l’amore…»

    Capolinea. Si riparte dalla fine. Almeno a sentire la gente del paese di Rovetta, che sulla questione di Yara Gambirasio continua a interrogarsi e non molla la presa, perché geneticamente sembra non ci siano dubbi sul fatto che l’assassino di Yara abbia un dna compatibile con Giuseppe Guerinoni. E quel capolinea era l’arrivo della fermata del tramino (così era chiamata allora la corriera) che faceva la tratta Ponte Selva, Clusone, Rovetta, San Lorenzo che era capolinea. “E per capolinea – racconta un anziano del paese – si intende che la corriera si fermava per un bel po’ e c’era tempo per un po’… d’intimità”. L’anziano sorride: “Beh, insomma, non era mica come adesso che si correva di qua e di là, quando la corriera si fermava al capolinea mica c’era più fretta. Non è che c’era solo il
    tempo di prendere il caffè. C’era tutto il tempo necessario anche per fare altro, si fermava molto”. E il capolinea era San Lorenzo che non era come adesso: “C’erano case sparse e non c’era tutto come adesso, non c’era traffico, e quindi non è detto che la donna fosse di San Lorenzo, continuano tutti a dire che era di qui ma può essere che l’ha messa incinta qui ma non era di qui”. Cioè? “Cioè la corriera la prendeva anche chi era di Songavazzo che era poi raggiungibile a piedi. Si scendeva dal capolinea e si andava sul vecchio ponte che portava a Songavazzo che adesso non c’è più, il cosiddetto ponte Fedrighini, che adesso è crollato, lì c’era la chiesina di San Rocco, e quindi poteva anche essere una ragazza di Songavazzo ma anche di Novezio, la frazione alta di Cerete. Qui scendevano in tanti”.
    E il cerchio si allarga alle zone limitrofe che una volta erano agglomerati di case, piccoli villaggi che facevano capo alle poche fermate della corriera, soprattutto al ‘capolinea’: “Lì scendevano anche quelli che abitavano alle case sparse di Clusone, le cosiddette zone, Piderì, Colombera, San Francesco, Campagnola, insomma, ogni località di confine aveva il suo nome. Poche case di campagna dove abitavano i vari nuclei famigliari. Qui era tutto diverso, non come adesso, e la corriera era l’unica cosa che teneva unite le zone”. E quel tratto di Corriera era quello che percorreva ogni giorno Guerinoni: “E quella linea poteva averla presa anche una villeggiante, perché allora la villeggiatura durava tre mesi, mica come adesso, si stava qui tre mesi e le villeggianti tornavano ogni anno”. Anche se Vittorio Bigoni, il collega di Guerinoni, nella sua testimonianza ha parlato di una ‘ragazza della zona’, almeno così gli avrebbe confidato proprio Guerinoni. E la zona si allargherebbe quindi tra San Lorenzo, Songavazzo, Cerete e la periferia di Clusone, insomma, i posti dove il ‘tramino’ fermava ma soprattutto l’indiziato numero uno, secondo gli anziani del paese è il
    ‘capolinea’. “Poteva saperne qualcosa di più Don Ercole Ferri – taglia corto un anziano – che allora era parroco di San Lorenzo, è rimasto lì 25 anni, ed era di Cerete, se era una della zona probabilmente il segreto è finito nel suo confessionale ma Don Ercole è morto”.
    Allora la linea che partiva da Ponte Selva e arrivava a San Lorenzo era di proprietà della famiglia Mottalini di Ponte Selva, a un tiro di schioppo da Ponte Nossa, successivamente i Mottalini la vendettero alla Sab, e Guerinoni era un dipendente dei Mottalini passato poi alla
    Sab. Ma nel periodo degli anni ‘incriminati’ la linea era ancora ‘targata’ Mottalini. “Qui continuano a parlare di San Lorenzo – continua l’anziano – e può anche essere che sia una della nostra frazione, che a quell’epoca contava circa 500 abitanti di cui la metà erano emigrati in Svizzera, ma dal capolinea del tramino scendevano ragazze di Cerete, Clusone e Songavazzo. Insomma, più che al Park Hotel dove era comunque difficile avere un rapporto sessuale senza essere notati, forse sarebbe meglio analizzare il capolinea, lì si che c’era tutto il tempo per starsene tranquilli sulla corriera, e anche belli comodi…”. Insomma, adesso è il ‘capolinea’ l’ ‘ultimo domicilio conosciuto’. 

    I Mottalini, “chi di coriere” e il tramino che da Ponte Selva andava a S. Lorenzo: “Se mio fratello avesse saputo quella storia del Guerinoni, capace che lo licenziava…”

    I Mottalini, che la gente qui ricorda ancora come “chi di coriere”, approdarono a Ponte Selva nel 1921, quando il capostipite, Lorenzo cominciò coi suoi due autocarri il servizio di autotrasporto del cemento che arrivava col treno-merci alla stazioncina di Ponte Selva per prendere la strada dell’Alta Valle, dove si stava costruendo la diga del Barbellino. Lorenzo, valchiavennasco d’origine, aveva sposato una signorina di Branzi, in Val Brembana, e dalle loro nozze sarebbero nati cinque figli: Bianca, Aldo, Olga, Luciano e Gemma. Ed è proprio
    quest’ultima, classe 1935, che ci riassume la storia della ditta, dal momento che Aldo, quello che raccolse dal padre le redini della ditta, è scomparso da alcuni anni.
    I Mottalini non erano i soli ad occuparsi del trasporto del cemento per la costruzione
    della diga: altri autocarri appartenevano alla ditta milanese Devizzi mentre, più tardi, ai Mottalini si unirono anche gli zii di parte materna, Albino e Attilio Pedretti.
    L’attività continuò per tutto il periodo della guerra: “Con tutti gli imprevisti e i pericoli del caso – ricorda la signora Gemma – perché bisognava barcamenarsi tra i servizi per i fascisti, come per esempio il trasporto della farina ai negozi di alimentari, dove si comprava con la tessera, e i partigiani, che pure avevano spesso bisogno di camion… Io ero piccola, ma mi ricordo di certe spedizioni notturne delle quali non si doveva parlare…
    In quegli stessi anni alcuni nostri camion trasportavano cemento anche dalla Toscana in Val Formazza, per la costruzione di una diga sul fiume Toce”.
    Finita la guerra, i Mottalini smettono gli autocarri ed acquistano dei pullman, le mitiche “corriere”: “Trasportavamo le comitive un po’ dovunque: a Milano per la Fiera, alle gite ed ai pellegrinaggi organizzati dagli Oratori e dalle Parrocchie, andavano spesso anche all’estero per le prime forme di turismo internazionale, in Svizzera, in Francia, in Germania… Era un’attività molto intensa, ricordo che anch’io davo una mano agli autisti perché, appena tornati da un viaggio, dovevano pulire i pullman in fretta per poi ripartire… Ci fu anche un periodo in cui mio fratello Aldo si occupò del servizio di trasporto allo stabilimento dell’ILVA degli operai che abitavano nei paesi intorno al lago di Lovere. Questo durò fino agli anni ’55, facevamo anche il servizio per i malati ospiti del sanatorio di Groppino, io facevo la bigliettaia, e anche l’altro mio fratello Luciano era entrato a
    far parte dei titolari”.
    In seguito arrivò il momento dei “tramini”, che operavano su due tratte: la Ponte Selva Clusone e la Clusone–San Lorenzo: “Anche con questo cambiamento l’attività rimase molto intensa: avevamo cinque automezzi e una dozzina di dipendenti, tra autisti e bigliettai, e le corse erano numerose, quasi una ad ogni ora. Sa, nessuno o quasi aveva l’automobile, allora, e i tramini erano sempre pieni di gente, non come adesso che li vedi in giro quasi vuoti….”.
    Tra gli autisti c’era anche Giuseppe Guerinoni: “Lo conoscevo, certo, come conoscevo Vincenzo Bigoni e gli altri.
    Ma non credo che con mio fratello Aldo, che come capo era anche un po’ brusco e severo, i dipendenti parlassero della loro vita privata, non c’era una gran confidenza tra loro…
    Sicuramente non sapeva della storia che poi è venuta fuori: capace che, conoscendola, lo avrebbe licenziato, sa, sarebbe stata anche una questione di buon nome della ditta…”.
    Dopo gli anni ’60 i Mottalini vendono tutto e lasciano il posto alla SAB. I fratelli si dividono e si dedicano ad altre attività – tra cui, per Luciano, la gestione dell’albergo-ristorante “La Pesa” – e i dipendenti vengono presi in carico dalla nuova società di trasporto pubblico.