Archivio – 22 Luglio 2005 © Vietata La riproduzione
UNA LETTERA DAL CHIAPAS PER MASSIMO MORATTI
Subcomandante Marcos nel suo ‘covo’ in mezzo alla Madonna di Guadalupe e Zapata ha appeso il gagliardetto dell’Inter – “Esteban dormidos o amandose”
Aristea Canini
Notte e giorno, luci e ombre che si mischiano sopra passamontagna sempre uguali che possono far sembrare uguali tutti ma che rendono diversa ogni persona, già, basta guardarli negli occhi per vedere che ogni sguardo è diverso, fiero e brillante, pronto a chissà cosa e chissà chi per arrivare, per cercare, per camminare, per continuare…
Nel Chiapas, pezzo di mondo in mezzo al sole, si sprecano i colori, si mischiano diventano eccessivi e a volte sfumano, la gente si carica di quei colori e prova, sì, prova a dipingersi una vita diversa.
Succede spesso che chi si ciba di sogni poi quei sogni arrivi a concretizzarli davvero.
Succede che mentre Bobo Vieri se ne va sotto un’altra casacca perché lui dei sogni non sa che farsene, da un’altra parte del mondo, in mezzo a un mucchio di colori, il ‘terribile’ subcomandante Marcos scrive una lettera a Massimo Moratti sfidando l’Inter a una partita di calcio.
Una storia che parte da lontano, comincia anni fa quando l’Inter si accorge di questo strano pezzo di mondo dove la gente non è libera di godersi i propri ‘colori’ e decide che sì, qualcosa bisogna fare.
C’è una leggenda antica che racconta quella parte di Messico. Di notte gli uomini e le donne “esteban dormidos o amandose, que es una forma bonita de cansarse para dormirse luego”. Di notte gli uomini e le donne dormivano o si amavano, un modo grazioso di stancarsi per poi riposare. Dopo il repentino alternarsi di giorni e di notte, di bianco e di nero, arrivarono gli dei e inventarono i colori. Questo è il Messico degli antichi, la storia dei colori raccontata dalle favole maya recitate di villaggio in villaggio.
Era un giorno di qualche anno fa. Un gruppo di giocatori dell’Inter legge su Internet il quotidiano La Jornada, che raccontava quanto accaduto ad una comunità dei territori de Los Altos ridotta senza acqua, senza tetto, aggredita. Comincia l’avventura, capitan Javier Zanetti e soci si ‘armano’ di carta e penna e cominciano a scrivere a quella gente. Poi si parte, si arriva in Chiapas, a fraternizzare con gli indigeni a viso coperto che alzano lo sguardo soltanto di fronte alla Madonna di Guadalupe e a Emiliano Zapata, i loro simboli.
Sono i popoli Chol, Tojolabal, Tzotzil, Tzeltal,
minacciati di scomparire da una realtà locale che inghiotte tutto. Gruppi sempre più numerosi decidono di resistere e lo fanno senza più armi e con tanta ironia, a volte con il compiacimento della propria temibile debolezza. Si chiamano zapatisti, in omaggio al generale Emiliano Zapata, comandante dell’esercito del sud durante la rivoluzione messicana. Senza chiasso, così come il pallone non fa chiasso, non fa rumore ma può rotolare dappertutto, chissà… e la gente del Chiapas non ‘dovrebbe’ pensare al calcio, proprio adesso che ha fame, proprio adesso che muore, e invece sì, certo che si può chè anche l’anima deve svuotarsi ogni tanto.
La lettera mica viene spedita, laggiù all’imbocco della jungla zapatista un gruppo di interisti si incontra con la squadra maschile e femminile zapatista, due grandi trofei consegnati all’Inter, un libro e una lettera nascosta nel libro per Massimo Moratti. Un invito che non nasce per caso, basta leggere la lettera per capire che da tempo Moratti & c. aiutano la causa degli zapatisti, perché i colori del mondo e della gente vanno salvaguardati. Quei colori che qualcuno ha tentato di sbiadire negli ultimi 10 anni. Già, perché c’è un prima e c’è un dopo nella storia degli indigeni del Chiapas. In mezzo, il primo gennaio 1994, il “levantamiento”, l’insurrezione.
Il prima è fatto di gente che, a San Cristobal, non poteva essere curata con gli altri, non poteva camminare sui marciapiedi ma in strada e, per acquistare una merce in un negozio, doveva restare fuori. E chiedere. Sono passati quasi dodici anni da quella brevissima ma intensa insurrezione. Gli indigeni si guardarono e decisero che era meglio morire in armi che di diarrea. A noi, in Europa, ci fanno paura le malattie curabili. In Chiapas agli indigeni facevano paura le malattie curabili, la fame, la sete, gli stenti. Si ribellarono, alla diarrea, la foresta a fargli da guscio e i colori a dargli fiducia.
La maggior parte degli indigeni è scesa dalle foreste e dalle montagne occupando i municipi, San Cristobal, Ocosingo, las Margaritas, Comitan, Altamirano fucile in spalla e la foto della Madonna di Guadalupe in tasca. La prima linea era ben fornita di fucili, la seconda pure. Tutti gli altri indietro avevano bastoni che da lontano potevano sembrare fucili. Per ingannare, per sorprendere, per comunicare. Per dire ‘Ya basta’. Dopo quell’insurrezione il mondo conobbe, il Messico capì, o fece finta di farlo. Zapatisti e governo firmarono gli accordi di san Andreas: prevedevano autonomia per i popoli indigeni, per la difesa della loro cultura. Firmò il governo, firmarono gli zapatisti.
Ma il governo e i governi che vennero dopo non ratificarono mai.
persino in Italia centinaia di deputati del centro-destra e del centro-sinistra sottoscrissero una petizione affinché la pace e i diritti dell’uomo in Messico, con la ratifica di quegli accordi, venissero rispettati. L’Inter intanto era sempre più… vicina a subcomandante Marcos. Ma niente da fare. Gli accordi di San Andreas erano lì solo sulla carta per impedire di vendere le foreste a due pesos, impedire la spoliazione di uno dei territori più ricchi del mondo i cui abitanti secolari sono tra i più poveri della terra. Ogni governo sta per ratificare, poi ci ripensa. Troppi interessi “illustri” da calpestare.
Meglio continuare a ingannare gli indigeni, mandargli alcool, concimi chimici, qualche soldo purchè lascino la terra o si lascino sterilizzare. Fuori dalle scatole subito con indennizzo o in futuro per estinzione. Qualcuno da fuori dice ‘no’, qualcuno da fuori è vicino a subcomandante Marcos, l’Inter mica scende solo in campo per giocare a pallone, macchè…
Gli zapatisti strizzano l’occhio a patron Moratti e non mollano: nessuno di loro beve alcool, nessuno di loro utilizza concimi chimici che moltiplicano la produzione per due anni e poi inaridiscono tutto, nessuno accetta i soldi del governo, lottano contro la droga. E resistono: alzano le immagini della Madonna di Guadalupe e di Emiliano Zapata, i loro simboli e Marcos nel suo ‘covo’ in mezzo alla Guadalupe e Zapata ha appeso il gagliardetto dell’Inter e fa una certa impressione vedere zapatisti coperti da passamontagna neri riunirsi davanti a questi tre simboli. Passano i mesi e Marcos & c. decidono. L’autonomia promessa dal governo (definito “el mal gobierno”) ce la facciamo per conto nostro, dicono. E così da due anni esistono cinque territori in Chiapas (Caracoles) circa il 40 per cento del territorio, con governo locali (la juntas del Buen Gobierno) che rispondono solo a chi li nomina: gli indigeni.
Un potere locale tanto forte che assiste gratis gli ammalati, vaccina centinaia e centinaia di bambini, crea scuole e centinaia di corsi, dai computer alle lingue maya. Persino il governo del Chiapas dopo due anni ha preferito adottare e inserire fra i propri programmi scolastici quelli autonomi zapatisti. Una prima vittoria, forte della scelta di oltre duecentomila indigeni che amano sentirsi messicani, ma che vogliono ripetere con orgoglio: siamo indigeni, indigeni ed… anche interisti perché dall’altra parte del mondo qualcuno osserva…
SCHEDA – Il Chiapas
Il Chiapas produce il 55% dell’energia elettrica del Messico. La popolazione del Chiapas privata di elettricità è il 34,09%. In Messico chi non ha energia elettrica è il 12,99%.
Il Chiapas produce il 21% di tutto il petrolio dell’intero Messico. Il 47% di tutto il gas nazionale. E’ il primo produttore di mais e caffè. E’ il secondo produttore di carne. Il 33,3% del territorio è dedicato all’allevamento, il 20,9% all’agricoltura.
Condizioni di vita da terzo mondo: il 65% delle case ha il pavimento in terra. Il 40% non ha acqua potabile. Il 50% non dispone di fognature. Solo il 20% della popolazione ha accesso alle istituzioni di sanità pubblica. Il 55% della popolazione è denutrita. Il 75% della popolazione maggiore di 12 anni non ha completato gli studi primari. Il 30% della popolazione è analfabeta (la media in Messico è del 12%). Il 59% della popolazione non supera la soglia del salario di 3 dollari Usa al giorno. Il 19% della popolazione non ha alcun reddito: in totale il 78%.
Superficie di 73.887 km cinque volte inferiore all’Italia ed è il 4% di tutto il Messico. Ha il 30% dell’acqua di tutto il Messico, il 40% delle specie vegetali, il 36% della varietà di mammiferi e il 34% di anfibi e rettili, il 66% della varietà di uccelli, il 20% dei pesci, l’80% della varietà di farfalle. La grande risorsa appetita è l’acqua. E’ attraversato dall’Usumacinta, bacino delle precipitazioni del Guatemala, fiume di maggior portata del paese. Importanza idrica che aumenterà con l’aumento della desertificazione. Grande risorsa è la biodiversità della Selva che ha scatenato case farmaceutiche e industrie agro-alimentari nord-americane.
Nell’ambito di un progetto di sfruttamento (Plan Puebla Panama) si pensa ad un sistema di infrastrutture per trasferire fuori le ricchezze del Chiapas. Come una grande autostrada che colleghi il sud del Messico alla California. Modernità ma anche vecchi sistemi, il centro dei diritti umani Fray Bartolomè De Las Casas, presieduto dal Vescovo Samuel Ruiz, ha segnalato che il 9 giugno 2005, decine di famiglie del Municipio di Sabanilla (Chiapas) sono state sfollate da un organizzazione paramilitare (Paz y Justicia) incaricata di sgomberi forzati in aree interessanti.
Questo può accadere in Chiapas. Clamorosa evacuazione degli amministratori zapatisti che comunque prima di ritirarsi in montagna “ringraziano le organizzazioni che hanno appoggiato la lotta civile e pacifica degli indigeni”.
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