TAVERNOLA
Ca’ Bianca “concausa” della frana
“Chiudete fino al consolidamento del monte”
Italcementi senza materia prima chiuderà?
Piero Bonicelli
Non solo il deputato trevigliese Devis Dori che, al netto degli impegni nei giorni scorsi per eleggere il Presidente della Repubblica, sembra aver fatto una ragione di vita (politica) della battaglia per far chiudere il cementificio di Tavernola, con allarmi che sfiorano i toni apocalittici. Non solo Legambiente (Basso Sebino) che con Dario Balotta incalza da mesi per la chiusura dello stabilimento. Adesso arriva la botta del documento firmato dai 16 Sindaci dei Comuni rivieraschi che chiede alla Regione di “valutare l’opportunità di dismettere un impianto obsoleto e…”. L’arma che ha Regione Lombardia per intervenire su un’azienda privata gliela fornisce lo studio delle Università interpellate. “A oggi comunque non c’è nessun provvedimento della Regione”, commenta il sindaco Ioris Pezzotti. “L’azienda dovrebbe presentare un progetto di coltivazione diversa da quella delle ‘volate’ con esplosivo”. Ma il sindaco vuole anche precisare che non è vero che l’alternativa possa essere quella di bruciare combustibili alternativi dei rifiuti, come avrebbe lasciato intendere un articolo del Corriere. “Assolutamente no, non se ne parla nemmeno”.
Adesso Regione Lombardia comunque ha preso atto del documento redatto dal Politecnico di Milano, dal Dipartimento di Scienze dell’Ambiente dell’Università della Bicocca sempre di Milano, del Centro della Protezione Civile dell’Università di Firenze, del CNR (Istituto di Geologia Ambientale) che per la cava di Ca’ Bianca, su nel Comune di Parzanica, praticamente l’unica attività estrattiva che “alimenta” il cementificio tavernolese, scrive: “A parere degli scriventi l’attività di coltivazione presso la miniera di Cà Bianca può comportare dei risentimenti significativi entro il corpo di frana qualora le cariche di esplosivo superino il limite dei 250 Kg circa per singola volata”. I dati sono stati raccolti il 26 agosto, il 27 ottobre (dai 415 ai 560 Kg impiegati), il 26 novembre e 17 dicembre (dai 250 ai 350 Kg di esplosivo): hanno prodotto una “chiara amplificazione del segnale sismico e con rilevante durata dello stesso”. E più sotto “si consiglia di adottare un approccio prudenziale per le attività di volata sospendendole almeno fino all’esecuzione dei lavori di stabilizzazione già discussi (…) L’eventuale adozione di altre tecniche di coltivazione andrà valutata in termini di sollecitazioni che potrebbero essere indotte”. Altre tecniche? Verrebbe da farci sopra una battuta, tornare a “pic e pala”. Impensabile. Le opere di stabilizzazione sono sollecitate anche nel documento ma richiedono tempi lunghi, lunghissimi, mentre si invita anche al monitoraggio “con report a cadenza regolare circa lo stato di attività del fenomeno”. Li hanno chiamati “interventi di mitigazione”, non so che vocabolario usino, mai che utilizzino parole comprensibili a tutti.
Gli amministratori di Tavernola hanno fatto presente che ricevere i dati una volta l’anno era davvero una beffa. L’Arpa ha promesso di inviarli ogni due mesi. “Ma sotto la minaccia della frana ci siamo noi, non quelli di Milano”. Questo per far intendere che anche sapere ogni due mesi se la frana si è mossa non è rassicurante. “Eppur si muove”, di pochissimo, 0,2 millimetri al giorno rispetto ai 2 centimetri al giorno di un anno fa. Ma si muove.
Quindi è stato stabilito che l’attività di Ca’ Bianca è concausa del movimento in essere sul Monte Saresano.
A questo punto la palla è passata alla Regione che impone di ridurre drasticamente il quantitativo di esplosivo impiegato per estrarre il materiale che poi alimenta l’attività del cementificio. Ma seguendo il “consiglio” degli studiosi, deve sospendere tutto fino a quando sono stati eseguiti i lavori di consolidamento. Quanto tempo ci vuole? Un anno per progettarli, poi gli appalti (altri mesi) poi i lavori difficilmente quantificabili.
Insomma l’attività del cementificio, aldilà dello smaltimento di quanto si ha in magazzino, dovrebbe fermarsi per due o tre anni. O presentare al più presto un progetto alternativo di escavazione.
Attualmente l’attività della cava è ferma. Fino a quando è stata in attività gli “spari” in cava erano di due “volate” con l’impiego di 350 Kg di esplosivo per “volata”. Ridurre “drasticamente” l’impiego di esplosivo comporterebbe una riduzione altrettanto drastica di materiale estratto. Figurarsi la chiusura di Ca’ Bianca, perché anche cercare “altre tecniche” di escavazione richiederebbe tempo (e investimenti). A questo punto Italcementi valuterebbe se vale la pena tenere aperto uno stabilimento che ha una produzione ridotta o addirittura nulla oppure chiudere baracca e trasferire l’attività nei centri di produzione di Rezzato e Calusco d’Adda, sempre di Italcementi.
“Nella nostra lettera firmata da tre sindaci (Tavernola, Vigolo e Parzanica – ndr) avevamo chiesto che se veniva stabilito che Ca’ Bianca risultasse concausa per il pericolo della frana, la Regione la chiudesse. Le concause sono diverse, ma l’unica su cui si può intervenire sarebbe appunto Ca’ Bianca. Le altre sono la rimozione del ‘piede’ sotto la frana con l’escavazione in località Ognoli. Qui non possiamo più farci niente, è un’escavazione storica. Le altre concause sono terremoti e forti precipitazioni e anche qui non possiamo farci niente. Ma sulle esplosioni si può intervenire, è la Regione che decide”, chiarisce il sindaco Ioris Pezzotti.
Che il cementificio abbia “gli anni contati” lo scriviamo appunto da anni. Ma invece delle motivazioni ambientali o dei referendum del 2007 e del 2018, a dare il colpo di grazia al secolare stabilimento tavernolese potrebbe essere dunque la mancanza di materia prima.
A proposito di referendum, proprio quello del 2018 aveva dato un segnale preciso della volontà popolare alla “riconversione” del cementificio: erano stati 985 a votare (52,34% degli aventi diritto) e 880 (89,34% – 98 avevano detto no, 7 voti nulli) aveva espresso parere positivo appunto a quella riconversione, anche se naturalmente non indicava in che cosa dovesse consistere. Il tema potrebbe tornare quindi di attualità, chiedersi cioè in che cosa potrebbe consistere questa invocata “riconversione”. I dirigenti di Italcementi (Italsacci) avrebbero comunicato agli operai che l’intenzione è di proseguire “al 100%” l’attività. Come, se non c’è ancora un progetto alternativo di escavazione e se l’azienda per ora non può proseguire a “scavare” a Ca’ Bianca?
E in che cosa potrebbe consistere eventualmente quella “riconversione”? C’è un’enormità di immobili, se Italcementi fosse un’immobiliare potrebbe farci un pensierino. Ma volendo “al 100%” proseguire nell’attività, il rebus resta irrisolto.
A questo proposito resta aperta anche un’altra questione: la Regione aveva imposto nel 2017, per questioni ambientali, una riduzione di 1/3 dell’attuale superficie destinata alla produzione, trasferendo al Comune la proprietà della superficie dismessa. In realtà quel 30% circa di immobili sono inutilizzati ma Italcementi non si vuole assumere il carico della demolizione degli stabili in quanto l’imposizione era stata fatta alla precedente proprietà e non a Italcementi che quel comparto non ha mai utilizzato: “non è di nostra competenza in quanto subentranti”. Gli incontri tra Comune, Regione e proprietà si sono poi interrotti per lo tsunami del Covid.
Adesso la Regione può decidere il futuro dello stabilimento. Con il risvolto, non di poco conto comunque, del futuro occupazionale degli attuali (una settantina) dipendenti.
E il G16 (allargato) chiede alla Regione
di “valutare l’opportunità di dismettere un impianto obsoleto ad elevato impatto ambientale e paesaggistico”
(p.b.) Il documento del G16 (i 16 Comuni rivieraschi: Castro, Costa Volpino, Iseo, Marone, Monte Isola, Paratico, Parzanica, Pisogne, Predore, Riva di Solto, Sarnico, Sale Marasino, Solto Collina, Sulzano, Tavernola Bergamasca) allargato ad altri 5 Comuni: Fonteno, Gianico, Pianico, Sovere e Zone che avevano sottoscritto documenti del G16 in passato. Il nuovo documentopone l’accento in particolare su due temi.
«1) l’effettiva realizzazione dell’intervento di mitigazione del rischio, per il quale ci rincuora il fatto che la progettazione sia già iniziata;
2) le decisioni conseguenti alla valutazione delle fonti di rischio derivanti dalle attività di escavazione e i rischi per l’eventuale dispersione nell’ambiente di sostanze inquinanti da parte del cementificio che insiste sotto l’area di frana. Su questo tema si chiede che si applichino i suggerimenti emersi dallo studio delle Università di Firenze, Politecnico di Milano, Bicocca e IGAG-CNR di Milano, del 23/12/2021, con particolare riferimento all’adozione di un “approccio prudenziale per le attività di volata sospendendole almeno fino all’esecuzione dei lavori di stabilizzazione già discussi nella relazione preliminare. L’eventuale adozione di altre tecniche di coltivazione andrà valutata in termini di sollecitazioni che potrebbero essere indotte”. Ed inoltre, “assumendo che sia in atto un processo di rottura progressiva, si ritiene probabile che esso sia influenzato dagli effetti cumulati delle volate. Per tale motivo si suggerisce di applicare principi precauzionali nello svolgimento di qualunque attività nel cementificio e nella cava di Ca’ Bianca”».
Poi si ricordano le prese di posizione dello stesso G16 sui problemi della viabilità (la Vigolo-Parzanica interrotta chissà fino a quando) e sulle polemiche sulla richiesta del cementificio di utilizzare “combustibili alternativi”, avendo più volte espresso contrarietà in proposito.
Cosa chiedono i 16 Sindaci a Regione Lombardia?
«– quale Ente con competenze sull’area interessata e sull’intero territorio sebino, di sollecitare lo Stato Centrale affinché, una volta approvato il progetto di messa in sicurezza definitiva del Monte Saresano, siano stanziate le risorse necessarie per la sua piena esecuzione;