Caro Piero, non pochi dei miei pochi amici mi prendono spesso in giro per la mia abitudine di citare alcune battute (sempre di attualità sia chiaro, nonostante il passare dei secoli…) del cardinale Prospero Lambertini, arcivescovo di Bologna, che divenne un grandissimo papa, con il nome di Benedetto XIV, nella seconda metà del Settecento. Ma era anche un appassionato studioso e, soprattutto, un innamorato di Orazio, che voleva sempre con sé, specie quando si metteva in viaggio. Così, anch’io, approfittando di un periodo di riposo, mi sono ripreso in mano le satire di Orazio e, come era prevedibile, non è mancata la… scoperta, nella sesta del primo libro, di qualcosa che può andare bene anche in questi periodi di campagna elettorale. Il poeta si rivolge all’amico Mecenate, ringraziandolo perché lo ha voluto nella sua cerchia, anche se non è di nobili origini e suo padre era un liberto. E da par suo traccia un formidabile quadretto del… comiziante di turno. Me ne guarderò bene (ho respinto con… fermezza la tentazione) dal darti una mia traduzione: l’anima dell’indimenticato mio professor Bartolomeo Calzaferri avrebbe ancora motivo di rivoltarsi nella tomba. Ti darò, allora, quella dell’umorista Giovanni Mosca, certamente più brillante, più piacevole, più libera, con lievi ritocchi. Ciascuno veda come sostituire e Levino e Decio e Tillio e Nevio e Paolo e Messalla e vedrà come… non cambia il mondo. Mario Sigismondi Così traduce Giovanni Mosca alcuni versi, che precedono la citazione: “Però, siccome è il popolo che giudica, quel popolo che tu conosci bene, sempre pronto a tributare onori e riverenze a chi non ne è degno, bovinamente schiavo della risonanza dei nomi, continuamente in estasi e a bocca aperta davanti ai busti ed alle epigrafi , che dobbiamo fare noi, poveri plebei senza titoli e con nometti piccolissimi? Perché è così, purtroppo: gli onori e le riverenze il popolo preferisce tributarli a Levino piuttosto che a Decio, nobile non di nascita ma d’animo… Ma il desiderio di gloria trascina, legati al suo meraviglioso carro tirato da cigni e cavalli bianchi, tanto il nobile che il plebeo…. Ecco ora la citazione: Se uno, con discorsi e programmoni, promette che penserà ai cittadini, all’arte, all’Impero, all’Italia, ai templi degli Dei, agli alti destini, eccetera, tutti, cominciano ad indagare sulle sue origini, su suo padre, se sua madre andava o no, da giovane, con marinai. – Come, gli dicono, Tu, figlio d’un pover’uomo qualunque, ardiresti amministrar la giustizia, rappresentare il popolo, condannare i cittadini romani, buttarli giù dalla Rupe Tarpea? – Ma il mio collega e avversario Nevio è ancor meno di me: è appena quello che era mio padre… E ti pare per questo d’essere un grand’uomo, un Paolo, un Messalla? Ma almeno Nevio ha una voce tale che, anche se nel Foro passano contemporaneamente centinaia di carri, di funerali e di cortei, con un grido supera agevolmente lo strepito delle ruote, dei canti, delle trombe e dei tamburi. Tu no, invece. Tu non superi agevolmente lo strepito dei tamburi. Eh, sì. Queste, bisogna ammetterlo, sono cose che fanno effetto sulle popolazioni…”.
Campagna elettorale: e la scuola?
Caro Direttore, la cosa che più mi rattristato, della campagna elettorale in corso, è che nessuno degli schieramenti in lizza dice una parola che è una sul problema per eccellenza del nostro Paese, quello della scuola. Possibile che nessuno dei candidati al governo ne abbia a cuore la qualità culturale? Possibile che, tra i tanti discorsi sul futuro della nazione, l’importanza della scuola proprio per il futuro delle giovani generazioni non trovi alcuna considerazione? In mancanza di idee proprie in proposito, i nostri candidati potrebbero prendere buon esempio dai Francesi: già nel 2006 sia Nicolas Sarkozy che la sua avversaria Segolène Royal avevano messo la scuola al centro della loro campagna elettorale, mentre due mesi fa, durante una visita alla cittadina di Perigueux, il presidente Sarkozy ha enunciato una serie di principi cui adeguare i programmi del prossimo anno scolastico. Il Presidente ha anche annunciato di voler passare subito ai fatti, perché “già dai primi anni di scuola ci si gioca il futuro dei bambini e dell’intera nazione”. Partendo proprio dalla scuola materna in cui si dovrà apprendere la lingua parlata, perché i bambini in età prescolare non sono troppo piccoli per cominciare a “parlare correttamente”. Per la scuola primaria, Sarkozy indica “l’apprendimento del francese basato sulla sua ricchezza lessicale, che è strumento di libertà; dell’ortografi a che tiene in piedi la lingua e della grammatica che è l’inizio di ogni pensiero, cominciando da soggetto, verbo e complemento”. Anche l’abbandono dell’insegnamento morale non trova il favore del Presidente: si dovrà dunque tornare “all’apprendimento delle regole del buon comportamento, alla conoscenza ed al rispetto dei valori e degli emblemi della Repubblica, alla conoscenza delle regole elementari della vita pubblica, evitando anche qualsiasi forma gergale nella formulazione dei programmi e nel linguaggio dei docenti”. Se si pensa che ancora al Liceo i nostri ragazzi compiono vistosi errori ortografi ci e non sanno formulare un periodo che stia in piedi, la “cura” francese potrebbe valere anche per noi: ricchezza lessicale, ortografi a e grammatica dovrebbero essere acquisite fi n dalle elementari, e non solo tramite le spiegazioni dei maestri, ma anche con esercizi ripetuti. La mancanza delle strutture linguistiche e le carenze di logica si riflettono poi inevitabilmente sull’apprendimento della matematica, disciplina per la quale, com’è noto, gli studenti italiani sono tra i peggiori del mondo. L’altro punto di forza della riforma francese riguarda la valutazione dei docenti: la loro capacità verrà d’ora in poi valutata ogni due anni sulla base dei progressi fatti dagli scolari e dagli studenti loro affidati. Certo, lo so bene che parlare di valutazione dei docenti, in un Paese in cui la scuola è per tanti versi un serbatoio contro la disoccupazione e quindi il regno dei sindacati, è una specie di bestemmia. Ma credo che, di fronte ad adolescenti “normali” che non sanno formulare decentemente un pensiero che è uno, dovremmo sentirci in colpa un po’ tutti. Ma i politici un po’ di più.
Non toccate la nostra scuola media
Egregio Direttore, Anna Carissoni ha insegnato ed educato per diversi anni nella scuola. Adesso, attraverso i suoi interventi nei vari mass-media, riesce a far sentire il peso delle sue competenze nel campo della formazione scolastica delle nuove generazioni: dispiace che proprio lei sia caduta in una generalizzazione spinta e forzata, parlando della situazione della già bistrattata attuale scuola italiana. Infatti l’ex insegnante comincia subito dal titolo della sua ultima lettera ad Araberara (perché non come sua valida collaboratrice, non l’ho capito) denunciando la scuola media come un “buco nero didattico e pedagogico” che rovinerebbe la formazione degli alunni tanto che, poi, nel primo anno della scuola superiore, secondo le statistiche internazionali, risulterebbero tra i peggiori d’Europa. Tutto questo, citando numeri e dati che non sono discutibili, perché sono quelli di un organismo prestigioso europeo, l’Ocse. Ma è la collocazione, nonché il commento delle statistiche all’interno della sua lettera che suscitano perplessità, disappunto e senso di ingiustizia. L’aspetto qualificante e, comunque, positivo dei dati riguardanti proprio la scuola del nostro territorio viene quasi nascosto, accennato di sfuggita per non contraddire la portata catastrofi ca annunciata nel titolo del suo intervento, come se fosse un intralcio all’intenzione dell’autrice della lettera che le impedisse di lanciare liberamente le sue accuse pesanti nello scoramento totale per la situazione generale della scuola media nazionale. Perché non partire mettendo in risalto il dato completamente diverso e qualificante che riguarda la scuola media del Norditalia che si colloca tra le prime dei paesi più avanzati? No, la titolare delle critiche in questione deve rispettare l’effetto clamoroso evocato dal titolo che fa di tutte le erbe un fascio e infatti scarica una serie di giudizi negativi su questo tipo di scuola, generalizzando. Gli insegnanti che operano nelle scuole del Norditalia ringraziano sentitamente l’ex maestra elementare, prestata al giornalismo. Personalmente, poi, me la prendo non solo perché opero da oltre 35 anni nelle istituzioni scolastiche, ma perché, guarda caso, io nella scuola media ho insegnato almeno per un ventennio, credendovi ed apprezzando con soddisfazione questo ordine di scuola che ancora produce importanti risultati istruttivi e formativi, andando incontro alle aspettative delle famiglie e degli alunni stessi. Questi, proprio qui, in quel particolare periodo della loro vita, rinascono e rifioriscono o con nuovo entusiasmo, grazie anche al retroterra scolastico che ben li prepara a spiccare il volo verso la preadolescenza e le sue problematiche per cui la scuola media riesce a far superare le diverse crisi di crescenza e a far acquisire quella caratteristica d’istruzione che serve per lo sviluppo futuro della crescita culturale. Proprio “L’eco di Bergamo” del 7 Febbraio scorso, con il titolo “Scuola: l’Ocse promuove la Lombardia” e sottotitolo “I quindicenni della nostra Regione battono gli altri italiani e gli americani” , afferma che gli studenti lombardi della fascia di età scandalisticamente citati da Carissoni risultano essere migliori dei loro coetanei dei paesi più avanzati: tutto questo anche se le riforme, come, questa volta, giustamente dice la nostra ex insegnante, non siano mai state ben realizzate e una certa scuola, se presa in senso nazionale non dia grande senso di efficienza ed efficacia. Questo è quanto succede qui da noi, nel nostro territorio, per cui la signora Carissoni è pregata di rivolgersi altrove con i suoi scandalismi e allarmismi, lo vada a scrivere su qualche Gazzetta del Mezzogiorno. Giuseppe Belingheri Dirigente scolastico.