Una notte alla stazione di Bergamo nel mondo degli invisibili

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    Una notte alla stazione di Bergamo tra gli invisibili.

    (Dal numero del 5 gennaio 2024)

    di Walter Tenio

    Bergamo di notte è una porta che si apre su mondi paralleli, invisibili di giorno. Un fiume umano silenzioso scorre ai margini della città, e al mattino si disperde nella folla.
    Ho conosciuto Boubacar a giugno mentre mi trovavo in stazione di notte per motivi di lavoro. Qui c’è un intero universo popolato di desaparecidos. Un universo di pianeti invisibili. Ognuno col suo mondo, con la sua storia da raccontare. Boubacar dorme nei pressi della ferrovia in alloggi di fortuna fatti di cartoni, coperte, ombrelli. Vestiti sparsi ovunque. Qualche pacchetto di sigarette, un accendino. Aveva anche un telefono, ma glielo hanno rubato. Qui il concetto di proprietà non esiste. Allontanarsi dal proprio angolo di marciapiede significa veder sparire i propri oggetti.
    Rubano tutto, caramelle, documenti, carte di credito scadute. È la legge della giungla una giungla d’asfalto che non conosce regole o ha regole del tutto indipendenti dal mondo circostante. Forse per questo Boubacar porta uno zaino sempre con sé. Dentro ci conserva alcuni libri, un paio di Ken Follett, una copia del Corano in arabo, ricordo dei suoi anni in Libia, e un diario senza date in cui annota vorticosamente pensieri sparsi, aforismi, poesie. Una parte del diario è scritta in francese, un’altra in italiano.
    “Un tossico mi ha svegliato di notte, mi ha dato dei soldi che non mi aspettavo”, si legge in una delle sue pagine. “Mi ha parlato con gentilezza”.
    “Donna bianca, donna chiara, donna vestita dalla luce del giorno”, si legge in un’altra.
    “Ho perso la gioia di vivere la vita come attore, diventando spettatore colpevole e innocente.
    Oggi celebro un anniversario, signori. Salvato da un funerale mancato, bevo alla vostra salute”.
    Ho chiesto a Boubacar di raccontarmi la sua storia e lui ha accettato, in cambio di denaro per comprare cibo per sé e per i suoi compagni di strada, con la promessa di usarlo solo per quello.
    * * *
    «Sono nato l’8 luglio 1980 a Casamance, nel sud del Senegal, al confine col Gambia. Mi sono sposato a 21 anni, dopo la morte di mio padre, e dopo il matrimonio sono andato in Gambia, per regalare un futuro migliore a mio figlio. Sette anni fa sono venuto in Italia.
    Ho attraversato il deserto, molti paesi africani. Ghana, Mali, Niger, Libia. Sono stato due anni in Libia, il primo in carcere. In Libia vai in prigione da innocente in quanto clandestino. La libertà si compra col denaro. Inizialmente chiesero un riscatto alla mia famiglia, ma i soldi non bastavano e rimasi in carcere. I libici sono violenti, in carcere ti picchiano, ti rubano il denaro, i tuoi oggetti di valore.

    Quelli erano anni turbolenti, la primavera araba era alle porte, Gheddafi gridava in televisione che presto la nazione sarebbe stata liberata “dai topi di fogna” e il suo regime stava per crollare. Una mattina, in carcere, fummo svegliati dagli spari per le strade: erano i rivoluzionari. Molti scapparono in preda al panico nascondendosi, ma un mio compagno di stanza, spinto dalla curiosità, si affacciò alla finestra per vedere cosa stesse succedendo. Fu raggiunto da una pallottola vagante alla testa. Morì così sul colpo, davanti ai nostri occhi, mentre il suo sangue riempiva la stanza.
    Fu un signore, che aveva bisogno di manodopera, a pagare il prezzo del riscatto. Per un anno ho lavorato come muratore, mettendo da parte i risparmi per comprarmi la libertà. E il viaggio in Italia. Ho messo da parte la cifra necessaria: 3500 euro, 1500 per il viaggio a Tripoli, 2000 per l’imbarco. Eravamo stretti come sardine su un barcone di fortuna. Arachidi e biscotti secchi, la nostra unica razione. Dopo una settimana al largo, la barca cominciò a imbarcare acqua. Per alleggerire il peso, buttammo le scorte rimanenti di cibo in mare, ma non fu sufficiente.
    Donne e bambini cadevano in mare, gridavano. Tutti avevano paura, i cristiani, gli islamici ognuno pregava il suo Dio. Gente da ogni parte dell’Africa, ognuno col suo dialetto particolare. Ti chiedevano aiuto in lingue che neanche eri in grado di comprendere. Annegavano guardandoti negli occhi, implorando soccorso. La notte vedo ancora i fantasmi. Sento ancora le grida. Noi sopravvissuti siamo stati soccorsi e portati a Lampedusa. Da Lampedusa a Messina. L’Europa è diversa dall’Africa. Non era questo il paradiso promesso. Non era questa l’Europa che sognavamo. Devi imparare un’altra lingua, devi fare i documenti. Io sono laureato, parlo 5 lingue, ma l’italiano non lo conoscevo. A Messina sono rimasto 8 mesi, stavo bene. I siciliani sono solari e ospitali. In Sicilia lavoravo nei campi, senza contratto, senza niente. Fino a quando mi hanno chiamato per un’udienza al tribunale di Brescia. L’avvocato si è impegnato molto per farmi avere un permesso di soggiorno. Poi sono andato a Brindisi e ci sono rimasto 3 anni, fino al 2021. In Puglia raccoglievo pomodori, cipolle, melanzane.
    Tutto quello che finisce nei vostri mercati, lo raccogliamo noi. Un giorno d’estate uno dei nostri compagni ebbe un malore sotto il sole. Il nostro caporale, però, ebbe paura delle conseguenze e si rifiutò di portarlo in ospedale. Lo caricò in macchina, una vecchia panda, e lo portò via, abbandonandolo in un casolare, solo, agonizzante. Nessuno di noi sapeva dove si trovasse, fino a quando suo fratello, nel cuore della notte, non organizzò una spedizione per ritrovarlo. Quando il cadavere fu rinvenuto venne aperta una inchiesta, e quando arrivarono le telecamere di Telenorba decisi di non rimanere in silenzio. Denunciai
    tutto, e il nostro capo fu arrestato. La Puglia, ormai, era diventata pericolosa per me. Decisi di tornare in Lombardia. Andai a vivere a Ponteranica. Facevo aiuto compiti all’oratorio di Santa Caterina. Insegnavo ai ragazzi inglese e francese. I miei allievi erano tutti italiani, tranne due, di origine cinese. Una decina di ragazzi in tutto. Poi le cose sono andate male. Ho perso il lavoro, la casa, e sono venuto qui. Oggi dormo nei paraggi della stazione. D’estate è più facile vivere e dormire per strada, ma d’inverno è diverso. Il freddo mi sta uccidendo».