VIAGGIO NEL GUSTO – Il mio nome è Zù. Come gustare (a tavola) in riva al lago colori e sapori di primavera

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    (Dal 22 marzo 2024) La prima volta che l’ho sentito nominare, ho pensato che fosse un ristorante giapponese. Non di quelli “all you can eat” o, genericamente, “sushi”, sia chiaro! Pensavo a quella autentica di cucina nipponica che trovi nel paese del sol levante o dove ci sono grandi comunità giapponesi. Come a Sao Paulo in Brasile o a S. Francisco o a Lima. Dove la cucina d’origine si arricchisce di sapori e tradizioni locali. “Ma che c’entra col Ristorante Zù? Lo vedi? Sei incapace di star sul pezzo, diamine!”. C’è una ragione per cui parto dal Giappone, per parlare di Angelo Bonfitto, più che promettente, già affermato Chef del ristorante Zu, rilevato da lui e dalla famiglia, e riaperto con il suo fidato Team, appena un anno fa (1° aprile ‘23). È una ragione di affinità universali, vedrai. Mi ero chiesto se anche intorno al lago Sebino, affascinata dall’ammaliante Montisola, si fosse installata una comunità shintoista, zen, “Zhou” (luminosa)… Da lì a Zu, basta un niente. Ne immaginavo già l’essenzialità e la raffinatezza, come sanno crearla “gli occhi a mandorla” in tutte le loro arti. Da quella dell’ikebana, ai prodigiosi origami da un foglio di carta, al sumi-e miracolo di semplicità del disegno a inchiostro, alla letteratura fatta di sfumature leggere e tagli netti, alle arti marziali fatte di gesti incompiuti e rituali. Un’armonia alla quale concorrono l’accostamento sapiente di colori, sapori, suoni, profumi e materiali. L’essenzialità e nitidezza dei particolari e l’armonia dell’insieme. Questo lo pensavo prima, senza sapere esattamente cosa fosse il Ristorante Zù. Ma veniamo alla realtà. No, non è un ristorante giapponese. Sebbene le mie sensazioni non fossero del tutto fuori strada… E allora perché questo nome esotico che potrebbe essere un elegante ideogramma a inchiostro? È semplice: perché alle sue spalle il torrente dal nome Zù, che nasce su per Fonteno, al termine della sua corsa lungo la valle omonima, si consegna con un ultimo elegante tuffo al lago d’Iseo, in località Riva di Solto. In quel punto è come se il torrente compisse un rituale seppuku, sacrificando la sua vita alla maestà del kami Lach d’Izé. E non importa che l’ipotesi che “Iseo / Izé” derivi dal nome di Iside sia palesemente fantasiosa. È bella e ciò ci basta. Il locale è proprio lì, all’ombra sonora, – se così posso dire, – di quella fresca cascata dello Zu. Si affaccia e si specchia nel lago Sebino, – in una delle sue prospettive più affascinanti – con la sua grande sala-terrazza. Se nel conto finale mettessero, prima della voce “coperto”, la voce “panorama”, non sarebbe fuori luogo. Ma non è un suggerimento, neh! Va bene così com’è, Angelo Bonfitto e mamma Marzia! Io credo che mai nulla sia per caso e spesso fatti importanti o meno della vita, ce ne danno conferma. Vedi un po’: ho prenotato di venerdì a pranzo perché volevo egoisticamente essere quasi solo a gustare il luogo e il cibo. E così è stato. Ho un tavolo d’angolo affacciato su due lati della grande vetrata che guarda Lovere, da una parte; Marone di fronte; Montisola a destra: un diorama perfetto della bellezza. La leggera foschia aggiunge meraviglia allo spettacolo. I Menù degustazione di Zu sono stuzzicanti e la presentazione dell’ottimo Erik, responsabile di sala e Sommelier, li rende quasi irresistibili. Ma non sono i miei preferiti i menù a tappe prestabilite, anche se Zù ne lascia libera e personalizzata la definizione delle tappe. Ma io sono ribelle anche con me stesso, figuriamoci coi Menù. Mi affido piuttosto a Erik, dandogli poche linee guida: leggerezza, territorio, stagionalità e, ovviamente, ispirazione dello chef. Sperando che stamattina non abbia bisticciato con la fidanzata Sofia o con mamma Marzia, presenza simpatica e vigile! “Erik, vorrei gustare piatti di territorio, – quindi lago, non mare; vino bianco che abbia il gusto delle colline e, possibilmente, abbia fatto poca strada. Tutto deve sentire di primavera…Fai tu”. Sorride fino alle orecchie. “Allora per il vino propongo io qualche abbinamento ai piatti che sceglierà lo Chef?”, è più una proposta ferma, che una domanda. “Naturalmente! Insomma, Erik: sono nelle vostre mani… Non esagerare ma portami quello che ti pare più unico, singolare, della vostra cucina”. “Allora lasciamo fare allo chef, dice. Io penso al vino”. Sparisce. Quando uno è certo del proprio mestiere, è felice che un cliente si metta nelle sue mani. E il cliente è altrettanto felice perché può dedicarsi alla beatitudine che il luogo ispira e alla dolce attesa che non sarà lunga. Con ottima intuizione, quelli che a volte si chiamano stuzzichini di inizio, qui si chiamano “il benvenuto della casa”. Aperitivo è qualcosa che deve “aprire”. Aprire al desiderio, non chiudere la partita. Sono come i preliminari, come i preludi. Non devono suonare come la marcia di Radetzky. Odio essere ingozzato di, sia pur buoni, antipasti. Anticipano solo la chiusura precoce. Erik ricompare dopo poco con una bottiglia che mi mostra e mi illustra, prima di versarmene un bicchiere. “Fischetti – Muscamento – Etna Bianco”, racconta l’etichetta. “Da uve Carricante e Catarratto raccolte a mano in un antico vigneto coltivato ad alberello sul versante nord dell’Etna a oltre 600 mt. Ricco di aromi floreali e fruttati, in bocca colpisce con la sua sapidità e freschezza tipiche dei terreni vulcanici”. Ecco il sommelier! È tutto giusto quello che dice, ne sono certo. Io lo assaggio, forse con rituali non proprio perfetti. Non possedendo il linguaggio dell’enologo, riassumo così: “È lui, è perfetto”. Poi viene a deporre sulla tavola una tazzina con un fondo di olio color verde cicoria, che emana un intenso profumo di olive spremute e di erbe aromatiche, su cui versa un “brodino” freddo di pomodoro. Il tutto da gustare con una piccola combinazione di verdure e altro che non vi saprò specificare. Perché sicuramente l’aperitivo mi ha aperto le papille gustative, ma non i pori della memoria. Se ho detto che volevo sentire la primavera, lo chef mi ha ascoltato perfettamente, o molto più probabilmente è quello che aveva già in mente, data la stagione e le temperature. Bravissimo, Angelo. Cominciano anche ad apparire i fiori della primavera. Non nel vaso, nei piatti dello Chef: le primule, le margherite e altri. Colori e sapori di primavera. Saranno una costante piacevole di tutto il percorso. Mentre finisco di gustare il mio aperitivo osservo il lago. Un gabbiano compare da sinistra e plana fino a sfiorare l’acqua, poi con un’ampia virata scompare alla mia vista sotto la terrazza. Mi sporgo per vedere che fine ha fatto. Ora vedo anche una paperella, un germano?, che sta regando verso riva tuffando ogni tanto il collo in acqua. Sporgendo un po’ di più lo sguardo per seguirlo, mi cade l’occhio su una strana struttura, ormai rudere, sotto costa, semi-sommerso nel lago. È fatta a volte semicircolari messe perpendicolarmente all’acqua in cui sono sommerse a metà. Penso a qualche vecchio manufatto industriale ormai cadente. Ma perché è immerso in acqua? Il livello dell’acqua non può essere salito tanto negli ultimi decenni. Erik coglie la mia curiosità e mi rivela un segreto… “Doveva essere una struttura militare risalente all’ultimo conflitto mondiale…”. Sussurra come se mi rivelasse un segreto militare. “Pare fosse una base di test dei famosi maiali”, i Siluri a Lenta (o Lunga) Corsa, SLC. Micidiali mezzi militari della marina italiana, utilizzati durante la seconda parte della guerra in operazioni kamikaze (arieccoci col Giappone!). Quindi la struttura era semi sommersa per poterne sperimentare le varie manovre in acqua e simulare operazioni vere. Ma arriva un piatto importante. Stavolta lo presenta Angelo: fettuccine verdi (di alghe di lago), con uova di aringa, erbe, fiori, rafano e altro misterioso… La visita dello chef che parla del suo piatto è sempre un momento di godimento. Come farsi illustrare “la ragazza con l’orecchino” da Vermeer! Gli occhi di Angelo hanno un po’ di fuoco della Puglia d’origine, il sorriso dice di orgoglio e soddisfazione per la sua creatura…“L’uovo delle fettuccine è sostituito dalle uova di sarago di lago. Le fettine di grasso sono sottili strisce di lardo di Siluro del lago”. Siluro del lago? Lo vedi che tutto è legato da un filo misterioso? Eh già! Come ci sia arrivato il micidiale siluro nel lago d’Iseo, non si sa, ma ora abita nelle sue acque e nella catena alimentare è il più forte, a parte i pescatori che gli danno la caccia. Come il fedele pescatore che serve usualmente il ristorante di Angelo! Ma intanto con Angelo abbiamo fatto un rapido giro del mondo parlando delle sue ispirazioni e dei miei gusti per la cucina giapponese e quella sudamericana. Poi si scusa perché forse le fettuccine si saranno raffreddate. Ma erano ancora squisite. Sostenute dal nuovo assaggio proposto da Erik, con una bottiglia di bianco a chilometri pochi. Abbinamento perfetto. Rimango ancora solo a gustare piatto e bicchiere, ruminando sul fatto dei… siluri! È il Silurus Glanis, il più grande pesce d’acqua dolce presente nelle acque dolci europee. Pensavo fosse solo nel Po o in grandi laghi. Le sue carni sono sode, con poche spine e di un colore che varia dal bianco al rossastro… Oggi ho scoperto i siluri. Un duplice segreto militar-culinario, custodito e utilizzato da Zù. Dei filetti di sarago fritti con panatura croccante di panko, non vi parlo, se no finisce che vi arriva il conto. E poi voglio lasciarvi la gioia di gustarli con vista lago e Rosé di Franciacorta. Che vi porterà fino alla panna-cotta con fettine di mele aromatizzate. Salute!