“Certo non eravamo abituati ad una simile pressione mediatica, ma non è stata la prima volta che sperimentiamo il senso di un lutto particolarmente condiviso e partecipato, come per esempio è avvenuto in occasione della tragica morte per incidente di un componente della Polizia Municipale che ha lasciato tre figli. Non è insomma una novità per noi vedere la nostra chiesa gremita di persone che esprimono un grande dolore, al punto che abbiamo anche dovuto estendere gli amplificatori a tutta la basilica…Tuttavia stavolta si è trattato di una storia locale che si è espansa a livello nazionale e non solo, un’esperienza che definirei esorbitante e che a questi livelli non ci era mai capitata”.
Padre Giulio Pagnoni, abate di Santa Giustina a Padova, si riferisce ai recenti funerali della povera Giulia Cecchettin, che ha visto un investimento eccezionale da parte di RAI1, impegnata in modalità monopolio nella ripresa – che poi ha venduto a tutte le altre televisioni – con un dispiegamento massiccio di forze: 6 automezzi, 14 tecnici, 5 giornaliste tra cui la direttrice del TG1, 2 soli fotografi ammessi (per la RAI e per la Diocesi) all’interno della Basilica, anche se le richieste di accreditamento dei giornalisti e dei fotografi giunte all’Ufficio Stampa della Diocesi erano state ben 180:
La richiesta di celebrare a S. Giustina i funerali della povera ragazza era giunta dal parroco di Vigonovo che riteneva insufficiente la chiesa della sua parrocchia; i monaci vi hanno consentito perché il Prato della Valle si presta molto bene ad accogliere grandi numeri di persone, come succede a Ferragosto e a Capodanno quando si contano migliaia di spettatori per i tradizionali fuochi d’artificio. Il Prato della Valle inoltre confina con una caserma dell’esercito, e questo costituisce una garanzia anche dal punto di vista della sicurezza e della protezione rispetto ad eventuali minacce terroristiche. Nell’ultima settimana il Questore di Padova ha effettuato personalmente ben tre sopralluoghi:
“Il congedo terreno di Giulia è un appello a tutti i i vivi”
“Il nostro ‘sì’ è partito dunque da una richiesta di accoglienza e va letto in una prospettiva spirituale che deve prevalere anche nelle giornate in cui c’è stato uno sconvolgimento notevole della nostra vita di monaci, col pericolo di un’esposizione mediatica che non è nelle nostre corde e cui non siamo abituati, a differenza dei frati di S. Antonio che invece posseggono un’attitudine missionaria e predicatoria.
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