LA MEMORIA – Un prete chiamato Martino, che si definì “giullare di Dio”

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Don Martino Campagnoni è morto la Vigilia di Natale. Era nato a Volpino di Costa Volpino il 4 gennaio 1927. Era stato ordinato sacerdote il 19 maggio 1951 da Mons. Adriano Bernareggi. Aveva conseguito il Dottorato in Sacra Teologia e la Laurea in Filosofia alla Cattolica di Milano. Fino al 1961 era stato vicedirettore del Patronato S. Vincenzo di Bergamo, per poi arrivare a Clusone a dirigere la sede di Clusone.

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Piero Bonicelli

 “Mia madre mi è mancata quando avevo quattro anni, mio padre quando ne avevo nove”.  Era cominciata in salita la vita di Don Martino vissuta nella “sua” Clusone, senza dimenticare quel paese là sopra la cava di gesso, Volpino, dove comunque le radici erano restate vive e da lontano seguiva le vicende del suo paese natale.

Don Martino è stato uno dei personaggi clusonesi che ha raccontato i… personaggi clusonesi. Aveva un passo da montanaro, lént e seguént, lo incontravi fino a qualche anno fa che sembrava girare a vuoto, si fermava a chiacchierare volentieri, nei dintorni del “suo” Patronato S. Vincenzo, la grande struttura che ebbe come mandato della vita da Don Bepo Vavassori, il grande prete bergamasco che dovrebbero fare santo, “ma non ci sono abbastanza soldi per farlo”, confessò una volta Don Martino, per via che i processi di canonizzazione sono lunghi e costosi “e Don Bepo non avrebbe voluto sprecare soldi, piuttosto bisogna impiegarli per chi ne ha bisogno”.  Adesso sembra ci si possa arrivare a beatificare il “don Bosco” della bergamasca.

“Sono nato nel 1927. Mio padre mi aveva comprato tre caprette e con quelle da ragazzo andavo per i boschi di Volpino. È il latte di capra che mi ha tenuto in piedi da ragazzo”.  Allora la cava di volpinite (che non è materiale di furbizia) era ancora in attività.

Il padre muore di silicosi a soli 38 anni, ma non per quella cava di materiale bianco, ma per aver lavorato alla costruzione della diga del Moncenisio.

Martino ha una sorella, Liliana e un fratello, Battista. Liliana è morta nel ’91 e il fratello nell’aprile del 2006. Sfiorata la favola di una Haidy al maschile con le sue caprette, Martino torna con i piedi per terra: lo chiama il parroco del suo paese che lo manda all’orfanotrofio “Luigi Palazzolo” (il fondatore delle Suore delle Poverelle), di Lallio.

La fuga fallita dall’orfanotrofio

Il ragazzo tenta di scappare, piange quando per strada la gente addita la lunga fila con la divisa della solitudine addosso, “ecco gli orfanelli”.  Lui fa il fagotto, lo butta di là del muro, scavalca ma ha la sfortuna di cascare dritto tra le mani del contadino confinante che lo riconsegna alle suore. Sembra la canzone di Lucio Dalla (“Strade su strade” quando racconta del ragazzo che scappa dal collegio ma lo riprendono).

A Lallio frequenta la terza e la quarta elementare, per la quinta viene spostato all’orfanotrofio di Torre Boldone.

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