Ci sono amori e amori, romantici, o, basta andare in cronaca, a volte patologici, possessivi. Fuori metafora, ci sono molti amanti della montagna, molti meno amanti dei montanari.
La natura è impietosa, da sempre i cicli storici registrano l’avanzata o la ritirata del bosco: meno popolazione e il bosco si divora i prati abbandonati; aumentano gli abitanti e si riappropriano del territorio e il bosco arretra. Il bosco non è per definizione il paradiso terrestre, lì prolificano non solo la vegetazione ma anche gli animali, adesso soprattutto cinghiali, ma da qualche tempo anche lupi, cervi, volpi, faine, orsi e animali selvatici che rendono il bosco quello dei racconti di paura che ci propinavano i nostri vecchi (più le nonne che i nonni) per tenerci “lontani dai pericoli”.
Ci sono due atteggiamenti riguardo alla montagna: uno è di quelli che camminano con la testa rivolta all’indietro (al passato, ai loro ricordi) e l’altro di quelli che pensano a come ci vivranno i loro figli e nipoti.
Che, se tutto sarà com’è, se ne andranno altrove. Chiedetegli il perché. In città, ma soprattutto oltre i confini italiani, cercano e spesso trovano quello che qui non hanno, opportunità non solo di lavoro ma di gratificazione, conoscenza, servizi e svago, magari illudendosi anche solo che i sogni non glieli spengano all’alba, come succede da noi.
La montagna non è quella originaria creata da Dio o chi per lui. È cambiata per natura, è stata cambiata dall’uomo per sbarcare il lunario. Basta ricordare che molte delle nostre montagne sono una gruviera, “traforate” da gallerie, scavate per tirar fuori minerale, per cavare la pietra, il marmo, la sabbia, per bypassare i valichi. I paesi si sono allargati, le lottizzazioni, anche spericolate e invasive, hanno occupato i prati (spesso i migliori).
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