“Più bella della poesia è stata la mia vita” (inserto staccabile con poesie e aneddoti inediti)
La bocciatura in italiano, la casa sui Navigli: “Senza riscaldamento”, poeta senza penna
Un rapporto durato anni quello tra il nostro giornale e Alda Merini. Un rapporto di amicizia particolare. Telefonate a qualsiasi ora del giorno o della notte. Poesie dettate. Incontri. Sorrisi. Pianti. Aneddoti. Un rapporto che continua ora con il fratello Ezio, depositario e custode del mondo di Alda. E ora che sono passati 15 anni tondi dalla sua morte, era il primo novembre 2009, abbiamo pensato di fare un regalo ai nostri lettori, un inserto staccabile dove trovare quel mondo poetico che solo Alda sapeva trasmettere. Poesie, alcune inedite, aneddoti, storie, ricordi, foto. Ecco, per voi. Se vi va, in edicola insieme ad Araberara ‘Più bella della poesia è stata la mia vita’.
‘La pistola che ho puntato alla tempia si chiama Poesia’. Quindici anni dopo. O forse solo una manciata di vento, di poesia, di sussurri, di stupore, di meraviglia. Fuori dal tempo. Dentro l’emozione. Alda Merini ha fatto armi e bagagli (quindi parole & poesia) e si è trasferita in cielo il 1° novembre di 15 anni fa, il giorno dei Santi, non un giorno qualsiasi, lei che era nata in un altro giorno particolare, il 21 marzo, quando la primavera sboccia e sembra pronta a buttare addosso strofe di poesia al mondo.
In questi giorni mucchi di parole fuoriescono da tutte le parti, cosi come le sue poesie, gente che si ricorda di lei, che la racconta, che la immagina, che la pensa. O che ne so. Lei che non amava molto i giornalisti (‘raccontano su di me un sacco di fesserie’), lei che quando era piccola in una nebbiosa serata invernale aprì la porta a un uomo con il cappello in mano, era Salvatore Quasimodo, che voleva conoscere questa ragazzina poetessa che incantava, lei lo guardò e senza pensarci su troppo gli buttò addosso quello che sentiva: “Tu sei grande, ma io diventerò più grande di te”.
Già, Alda era una tempesta, come le sue poesie, i suoi aforismi ‘vedo poco per il troppo pianto’. Chi ha lo stesso sguardo ma vede ancora anche attraverso le frasi di Alda è Ezio Merini, che ha gli stessi occhi di Alda.
Ezio è il fratello di Alda, classe 1943, 12 anni di meno, Ezio che a Clusone è di casa, era di casa fino a poco tempo fa, lui che ci è finito per caso un giorno del 1995 e si è innamorato di quel centro storico che sembra inghiottire la valle e arriva in cielo.
Ezio che è cresciuto nelle case di ringhiera dei Navigli, con Alda, lui che era il suo confidente, lui che si incazzava, lui che sorrideva e lui che alla fine allargava le braccia: “Perché lei era così, altro non ci potevo fare, la lasciavo fare”.
Bocciata in… italiano
Alda nasce il 21 marzo del 1931 in viale Papiniano, papà Nemo era un funzionario assicurativo e mamma Emilia casalinga: tutti e due nati nel 1901. “Papà era l’intellettuale di famiglia, aveva studiato alla scuola tecnica Cesare Correnti, Alda era una bambina intelligente, dotata di una memoria incredibile, ma i suoi studi si fermarono alle prime tre classi della scuola di avviamento al lavoro ‘Laura Mantegazza’, perché venne bocciata all’esame di iscrizione al liceo classico Manzoni, non raggiungere la sufficienza nella prova d’italiano, un po’ come Einstein in matematica e Verdi che a 18 anni venne respinto all’esame di ammissione al Conservatorio. Alda cadde in una violenta depressione e pensò di entrare in convento, e non fu facile farle cambiare idea. Nel frattempo studia pianoforte e musica, altra sua grande passione, era anche un brutto periodo, siamo nel 1943, c’era la guerra e Milano fu bombardata tre volte, Pippo (l’aereo che lanciava bombe incendiarie) distrusse la nostra casa: io stesso nacqui in cantina, la nostra famiglia fu costretta a sfollare prima a san Salvatore Monferrato e poi a Cerano in attesa che finisse la guerra. Al ritorno a Milano papà trova in Via Ripa Ticinese un ex deposito di stracci con due stanzoni, senza bagno e senza riscaldamento e li ci accampammo in attesa di qualche cosa di meglio, ma non ci saremmo più mossi”.
I Navigli
I Navigli diventano e restano la casa e il guscio ma anche le ali di Alda: “La nostra casa erano i Navigli, erano e sono la nostra casa anche se non ci abitiamo più. Ricordo che Alda mi teneva sulle ginocchia da piccolo, ricordo la casa di Riva Ticinese, ricordo quegli anni con addosso la voglia di vivere che prendeva il sopravvento su tutto”.
E come è nata la poesia di Alda? “Ha sempre scritto, ce l’aveva dentro, A 10 anni vinse il premio Piccola Poetessa d’Italia, ricordo che vinse 1000 lire dalla regina Maria Jose”.
Ezio è una miniera di aneddoti e quando li racconta è come se fosse ancora lì: “Una sera eravamo a casa, era buio, autunno, bussano alla porta, mio padre va ad aprire, vede un uomo sull’uscio e gli dice in milanese ‘lu chi l’è?’. Era Salvatore Quasimodo, premio Nobel, voleva conoscere chi scriveva quei versi che aveva trovato in giro, le poesie di Alda”.
E Alda? “Alda era una ragazzina ma aveva già il carattere che l’ha accompagnata tutta la vita, sicura di sé, ricordo quella frase, gli disse: ‘tu sei grande, ma io sarò più grande di te’. Lei era così, è sempre stata così, diretta, sfrontata, sicura”.
“Il Gobbo”
Ezio gira e rigira nel cuore i ricordi della sua Alda, si ferma, ricomincia: “La poesia che preferisco di Alda è il Gobbo”. Ezio si tocca i capelli, sorride e la recita tutta d’un fato: “Dalla solita sponda del mattino, / io mi guadagno palmo a palmo il giorno: / il giorno delle acque così grigie,/ dall’espressione assente. / Il giorno io lo guadagno con fatica / tra le due sponde che non si risolvono, / insoluta io stessa per la vita…/ e nessuno m’aiuta. / Ma viene a volte un gobbo / sfaccendato, / un simbolo presago d’allegrezza / che ha il dono di una strana profezia. / E perché vada incontro alla promessa / lui mi traghetta sulle proprie spalle”.
Ezio ricomincia: “Alda era così, spiazzava coi versi, con la vita, ho letto tante cose di lei e ho capito che pochi la conoscevano veramente. Del resto non faceva niente per farsi conoscere, lei era com’era e basta, pensa che aveva un’insufficienza in lettere a scuola”.
Un tema “enorme”
Un po’ come Einstein che era stato bocciato in matematica. Ezio sorride: “Già, ti racconto un aneddoto. Io studiavo al Carlo Cattaneo, avevo una bravissima insegnante di lettere, Anna Rizzi, era anche vice preside, una persona che amava l’italiano e che ha contribuito a farlo conoscere e apprezzare in tutta Italia. Bene, era la mia insegnante e un giorno ci dice di scrivere un compito dal titolo ‘ciò che vi è capitato’. Era il 1955, io torno a casa e chiedo ad Alda di aiutarmi, solitamente allora compiti di questo tipo erano lunghi dalle 10 alle 12 pagine…