LA STORIA – Adeodato, “il figlio della Rossa”. A 6 anni strappato alla nonna nel sonno. Il Padre Padrone e le bastonate Il figlio che si è suicidato, l’altro figlio disabile e il nipote che si è schiantato in moto

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Adeodato entra in redazione una mattina di novembre con passo lento portandosi sulle spalle la sua storia di dolori. “Vorrei scrivere un libro, il titolo dovrebbe essere ‘Il figlio della Rossa’, perché mia madre era rossa di capelli. Lo vorrei scrivere per lasciarlo a mio figlio e mio nipote, per fargli sapere cosa ha passato il padre e il nonno”. Raccontiamola questa storia che sembra una infinita via crucis, che richiama una vicenda che fu romanzo di Gavino Ledda e poi un film dei Fratelli Taviani, “Padre padrone”.

Adeodato Savoldelli raccoglie i pensieri e i ricordi. E l’inizio è sconvolgente: “A sei anni mi hanno tolto dal letto e portato via. Ero a Parre, dalla nonna Amalia”. Nonna materna, la mamma Giacomina Milesi, ma da tutti conosciuta come Anita, faceva, come il padre, la pastora, “era sempre in giro, partiva a settembre e tornava a casa a giugno. Mia madre non voleva abbandonarmi, mio padre invece guardava solo le sue pecore. A sei mesi quindi mi hanno affidato alla nonna”. La mamma era di Parre, il papà, Daniele, di Songavazzo. Si era conosciuti sul Monte Vaccaro, “la mamma aveva le mucche, papà le pecore. Mia mamma ha cominciato da piccola ad aiutare, in famiglia erano in dieci…”.

A sei mesi, quindi, è dalla nonna Amalia a Parre e ci resta fino a tredici anni. Ci resta per modo di dire. Ha frequentato l’asilo a Parre? “No, ci sono andato tre giorni, poi sono stato a casa, avevo dato una pedata negli stinchi alla suora perché non mi lasciava uscire. La nonna me le ha date e mi ha detto di chiedere scusa, io non ho voluto chiedere scusa perché la suora non mi lasciava andare a casa…”. E arriviamo a quel giorno, lei è in prima elementare. Ha sei anni.

“Rapito” a 6 anni

“Era il 10 o il 12 gennaio. Ero su nel letto che dormivo. Mi sveglio la mattina e dico, ‘nonna è ora che mi alzi?’. Mi guardo intorno… non sono più nel letto, sono in mezzo a un gregge. Mio padre ha mandato uno di Pavia a prendermi, faceva il camionista, aveva una 850, è venuto su di notte. Questo camionista poi in seguito una notte ha investito il gregge e ha ucciso quattro pecore, allora una pecora valeva 10 mila lire, abbiamo preso da un macellaio 20 mila lire, la metà, ma non potevamo farci niente…”.

Torniamo a quella notte in cui lei va a dormire nel letto in casa della nonna e si sveglia la mattina in mezzo a un gregge. “Mi sono spaventato, avevo sei anni. Allora mia madre mi ha preso in braccio, non sapevo se piangere o ridere perché rivedevo mia madre dopo sei mesi, a quell’età ci si emoziona”.

Giù nel lodigiano a custodire il gregge, a sei anni. Non è più andato a scuola?

“No. Però a giugno, quando siamo tornati su con le pecore, eravamo in Valmora, mio padre e mia madre sono stati su con le pecore, io sono tornato a casa con la nonna. La maestra, Maria Pacì, la chiamavano così, ha saputo che ero tornato, si era arrabbiata con mio padre e allora mi ha fatto ripetizioni fino a settembre e così non ho perso l’anno. Era il 1961. A settembre loro sono andati di nuovo giù nella bassa e io sono rimasto lì con la nonna, fino alla seconda media. Però tutti gli anni a giugno, quando tornavano, mi portavano in alpeggio fino a metà di agosto, quando tornavo a Parre dalla nonna perché dovevo fare i compiti di scuola”.

La bastonata in testa

Il papà lo picchiava. Adeodato mi mostra la cicatrice che ha ancora in testa. “Avevo otto anni. Eravamo al Passo del Vivione. Io mi ero fissato che volevo comprare un orologio, non sapevo mai l’ora, mi alzavo alle cinque, mi svegliava insultandomi, ‘lèa sȍ copagana!’ (significa pressappoco “mangia farina a ufo” n.d.r.) avevo fame e non sapevo quando era ora di mangiare. Lui aveva il suo orologio a cipolla, ‘te lo dico io quando è ora’, diceva. Fatto sta che vado, con il mio cagnolino, a raccogliere stelle alpine al Passo del Gatto.

Il sabato e la domenica passavano in moto dei turisti, perlopiù tedeschi. Io non sapevo cos’era una brioche, loro la davano al cane, io gli davo un calcio perché un pezzo volevo mangiarlo anch’io. Fatto sta che vendevo un mazzetto di 10 stelle alpine e tre lavande a 100 lire e a fine estate avevo messo da parte 3 o 4 mila lire. Mio padre mi ha sorpreso mentre le contavo, ‘sono miei quei soldi’ e giù palade e mia madre che gridava, ‘vuoi ucciderlo?’. Andava sangue dappertutto. Fatto sta che i miei soldi li ho persi.

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