“Ho scritto un libro che fosse per me terapia…per chi lo leggerà sarà un viaggio nell’oscurità, anche se questa volta in fondo al tunnel c’è un po’ di luce”.
Così spiega la sua decisione di raccontare per scritto la sua brutta avventura Enrico Cortìs, 72 anni, padre e origini maltesi e madre italiana . La sua famiglia si stabilisce a Bergamo quando lui ha sette anni, ed Enrico, che si forma alla Bocconi, si indirizza dapprima verso l’economia aziendale ma poi rivolge il proprio interesse al mondo dei computer; ancora oggi, forte della sua esperienza manageriale di software-house, fornisce supporto alle aziende in qualità di consulente. “Sono convinto di aver contratto il contagio durante un pranzo di lavoro in un ristorante bresciano i cui tavoli erano troppo vicini – racconta – ma dapprima eravamo tutti convinti che avessi preso una forte influenza, con febbre alta e dissenteria ma respirazione regolare, che attribuivo alla vaccinazione anti-pneumococco che come tanti altri miei concittadini dei dintorni del lago avevamo fatto per contrastare la meningite. Al numero verde di ATS mi dicevano perciò di stare tranquillo e di curarmi a casa”.
Siamo all’inizio di marzo dell’anno scorso. Dopo una settimana però Enrico non si regge più in piedi e crolla a terra. Sua moglie Sveta chiama l’autoambulanza, le dicono che lo porteranno all’ospedale di Lovere. Ma quando vi giunge non c’è più posto e perciò viene dirottato su Iseo: “Due giorni in Pronto Soccorso, su una barella, e poi in un letto con il Cipap. In rianimazione non c’è posto, per cui mi sistemano in una sala operatorio e mi intubano. Ovviamente sono in coma farmaceutico, dal quale dovrei svegliarmi dopo due giorni e con l’aiuto di appositi farmaci. Che però a Iseo sono esauriti: di qui la decisione dei medici di mandarmi al Fatebenefratelli di Milano”….
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