LA STORIA – Eugenio, elicotterista di Lizzola “Sono morto due volte”

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Viaggio di andata (e ritorno) dall’aldilà Eugenio, a 5 anni dichiarato morto dai medici, funerale pronto ma si sveglia all’improvviso. A 28 anni arresto cardiaco e viaggio…nell’aldilà: “Vedevo il mio corpo sdraiato, picchiavo sopra con la mano come un legno vuoto, ero un’entità che non riesco a descrivere, stavo benissimo” “Dove volevo essere ero, non c’era più il concetto di spazio e tempo. Ho visto casa mia dove mancavo da un mese e i mobili nuovi. Poi quella voce: Fiöl, l’è mia gnamó ol tò momént, turna ndré” “Stavo benissimo, una sensazione di leggerezza infinita, non ho più paura di morire” Un certificato di morte che ormai ha qualcosa come 55 anni e un viaggio… nell’aldilà che porta con sé da una… vita, che in fondo vita e morte vanno a braccetto da sempre, o perlomeno da quando ci si affaccia sul mondo per la prima volta. Eugenio Piffari, 60 anni, in pensione da poco, un lavoro che lo ha portato in giro per l’Italia come elicotterista nel mondo del soccorso. E due storie che si è portato dentro per anni: “E ora le racconto, perché prima, sino a pochi mesi fa, lavoravo e non volevo che mi prendessero magari per matto”. Eugenio sorride discreto, non è certo un tipo chiassoso o che ama i riflettori, ma ci sono storie che prima o poi vanno raccontate. Come la sua. Due morti in una vita possono bastare, anche se sicuramente ce ne sarà una terza… ma questo è un altro discorso. La prima, quella quando Eugenio aveva 5 anni è sicuramente più ad effetto ma è la seconda, quella che fa pensare, riflettere, cercare… MORTO A 5 ANNI Cominciamo dalla prima: “Era l’estate del 1961, avevo 5 anni, abitavo a Lizzola e quel giorno stavo giocando con mio fratello al ruscello dove le donne si recavano a lavare i panni”. Tra quelle donne c’era anche la nonna di Eugenio: “Eravamo con lei – racconta – quando dalla strada che sale dai paesi sottostanti arriva un’Ape, era un fruttivendolo che saliva sin lassù a vendere la frutta, allora il fruttivendolo a Lizzola lo si vedeva raramente, veniva una volta ogni tanto, e così la mia nonna Angelina ne ha approfittato per comprare due pesche, una per me e una per mio fratello, le abbiamo mangiate subito, forse l’acqua troppo fredda, (anche se è estate a Lizzola l’acqua è sempre fredda), siamo entrati a piedi nudi nel torrente e mi sono sentito male. Ricordo solo che qualche minuto prima la nonna si era messa a risciacquare i panni, che noi abbiamo tolto le scarpe e ci siamo messi a sguazzare nell’acqua, poi non ricordo più nulla”. Eugenio non da più segni di vita. La nonna lo porta in casa ma non si risveglia più. Chiamano il medico, il dottor Codara, che aveva l’ambulatorio a Bondione, arriva, visita Eugenio, non c’è battito, non c’è nulla, non riesce a rianimarlo. Niente da fare. Certifica la morte. E la mette nero su bianco con il certificato ufficiale. “Che ho conservato con me in tutti questi anni, quasi una scaramanzia”. La nonna, la mamma e il fratellino si disperano, viene avvisato il papà che lavora in Svizzera. Il piccolo Eugenio viene sistemato su un lettino nel salotto, il lettino rivolto verso la porta della camera, attorno fiori e candele. Il funerale viene spostato perché si aspetta il ritorno del papà dalla Svizzera: “E per fortuna perché altrimenti non so che fine avrei fatto”. Ma Eugenio si sveglia all’improvviso: “Mi ricordo che mi sono tirato su, ho visto attorno a me una copertina piena di fiori e candele accese, so che ho guardato la nonna e le ho detto che avevo fame. E ho notato che vicino al lettino c’era una zia, si chiamava Teresa, che veniva rarissimamente da noi ma al momento non capivo. So solo che mia nonna è stata velocissima nel far sparire tutto, copertina, fiori, candele e poi mi hanno detto che la zia era passata di li per caso, intanto era arrivato anche mio padre e anche lui inventò una scusa per quel suo improvviso arrivo”. Ma Eugenio si ricorda il volto disperato del padre Bettino: “Era seduto piangente vicino al letto e mia madre aveva un viso sconvolto. Ma loro non hanno mai voluto parlare di quei giorni, ogni volta che mi avvicinavo al discorso cambiavano argomento, mia madre si era spaventata talmente tanto che diceva sempre che quando era morta di farle comunque una puntura per accertarsi che non si sarebbe più svegliata”. Ma Eugenio quel certificato di morte, con la firma del medico, se l’è conservato. LA SECONDA MORTE Eugenio cresce, diventa un elicotterista, ha 27 anni, fine gennaio 1982, l’altra… morte, quella che lascia il segno ancora oggi, che lascerà il segno per sempre: “Un viaggio di andata e ritorno che mi porto addosso e dentro, che non dimenticherò mai”. Eugenio lavorava per l’Elilombardia a Clusone: “Ero appena rientrato da un turno in Sicilia, a Gela, con l’elicottero, ero andato a trovare la mia fidanzata ad Ardesio e poi sono rientrato a dormire a Clusone, dove avevamo la base, a La Spessa, nell’hangar adibito a foresteria, mi sono messo a letto, c’erano delle stanzette per i piloti, perché bisognava partire presto e bisognava essere pronti. A un certo punto, in piena notte, mi sveglio e sto malissimo. Non capisco il perché, comincio a pensare di aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male ma sto sempre peggio, provo ad allungare la mano per prendere una coperta nel letto vicino e mi accorgo di non avere le forze per farlo, ero lucido ma il corpo non lo sentivo più. Poi sono… sparito”… SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 13 GENNAIO

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