LA STORIA – Un prete chiamato Redento. E’ morto a 87 anni don Redento Tignonsini

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E’ morto sul campo lunedì 16 novembre don Redento Tignonsini. L’avevamo intervistato nel 2017 e per far capire chi era avevamo raccontato la lunga storia di questo prete degli ultimi che era stato coerente tutta la vita e anche in tarda età aveva voluto restare parroco alla Sacca di Esine, “perché un prete lo è per sempre, non va mai a… riposo”. Adesso è arrivato il tempo del suo riposo. Un’infezione al pancreas lo ha stroncato. Il suo ministero è sempre stato coinvolgente, “accoglieva tutti” nella sua casa e nel suo oratorio come aveva accolto tutti nella sua comunità di Bessimo. Era stato curato a Breno e Gorzone, insegnante a Schilpario, missionario in Kenia, fondatore della Comunità di Bessimo per tossicodipendenti, da 20 anni parroco della Sacca di Esine.

Riproponiamo la lunga intervista che gli avevamo fatto perché la memoria di questo prete “vero” non vada perduta in questi tempi in cui della Chiesa si parla per comportamenti di alcuni prelati non propriamente evangelici.

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di Piero Bonicelli

Come i maschi d’antan, Don Redento Tignonsini conta gli anni da gennaio, “ne ho 84”, che poi, a richiesta precisa, scopro che li compirà il 19 ottobre, ma come dicevano i nostri vecchi, per i maschi l’anno “si conta quando comincia” (per le femmine, ovviamente, non vale). E’ qui nella grande sala dell’oratorio della Sacca (frazione di Esine) dove vanno a vengono bambini e signore che sfacchinano al bar e passano a salutarlo, e tutti gli danno un bacio sul barbone incolto, arrivi e partenze, il salone è un porto di mare (di gente). Sta sorbendosi un caffè, don Redento.

Partiamo rivangando i ricordi sbiaditi di quell’anno passato insieme a insegnare in anni ruggenti nella stessa scuola, su a Schilpario (lì ha insegnato per 4 anni), quando lui era vicario parrocchiale a Gorzone, a supporto del parroco anziano. Insegnava lettere, che per un prete non era usuale: “Era stata istituita in Italia da poco la nuova scuola media, cercavano insegnanti…”. Già, eravamo tutti studenti universitari, tempi ruspanti. “Ho frequentato sociologia a Trento e psicologia a Milano ma non mi sono laureato, l’ho fatto per conoscenza personale. Ho il Baccellierato in Sacra Teologia e basta”. 

Sono passati troppi anni dal tempo dei ricordi comuni e adesso siamo anche noi anziani. Ma dai, via menare e scaricare anche le malinconie. Per capire queste prete che nei “canoni” sembra non esserci mai stato, al punto, lo vedremo, che un confratello lo accusò di “essere in peccato mortale” (salvo scusarsi anni dopo), che un po’ scherzando, si definisce “prete fuorilegge”, prete che ha già vissuto almeno tre vite e che, parole sue, “vuol morire sul campo”, bisogna cominciare dal principio.

 

Nato in terra di confine

Don Redento è pimpante, l’età è roba da lasciare all’anagrafe. E l’anagrafe recita che è nato a Gratacasolo. “Veramente sono nato a Pian d’Artogne”. E deve spiegare l’arcano. Andando a spulciare sulla storia dei Comuni, si scopre che Artogne fu aggregato a Pian Camuno il 10 gennaio 1929 e la fusione prese appunto il nome di “Pian d’Artogne”, sulla scia delle fusioni imposte dal Fascismo dal 1927 in avanti. A differenza di molti altri Comuni che, subito, a fine guerra, si divisero, la separazione tra Artogne e Pian Camuno è registrata solo il 4 dicembre 1956.

Don Redento Tignonsini racconta di quella terra di frontiera dove è nato (“ma nella parte che adesso è casa mia, è sotto Pian Camuno”), divisa in due Province e quattro Comuni (Pisogne, Artogne, Pian Camuno e Costa Volpino), confini labili che predispongono a un’appartenenza al mondo conosciuto e da esplorare. E da lì ripartiamo.

 

Fiöi, l’è ché ‘l Signur”

Famiglia numerosa quella di mamma Maria e papà Geremia, dodici tra maschi e femmine (cinque, che saranno tutte suore), come i dodici apostoli, Redento sarà il nono in ordine di nascite, anno 1933. “Eravamo una famiglia di contadini, avevamo 8 mucche e fin da piccolo ero stato incaricato io di seguirle… certo, ero io che mungevo. La nostra era una casa che accoglieva tutti. Papà diceva, quando qualche povero bussava alla porta, e allora ce n’erano in giro tanti, ‘Fiöi, l’è ché ‘l Signur’, e gli davamo da mangiare e da bere. Mio padre aveva riservato un ‘piò’ di terra a coltivazione delle patate da regalare ai poveri…”.  Un “piò” bresciano corrisponde a 3.255 metri quadri e, probabilmente con una rotazione di piantagione (le patate non vanno due volte di seguito piantate sullo stesso terreno), dà la misura della generosità della famiglia Tignonsini. “Quelle patate noi non le toccavamo, era destinate alle famiglie povere del paese”.

 

Il fratello morto e il perdono

Tuo padre che orientamento politico aveva? “Non era certo fascista, anche perché i fascisti gli avevano ucciso un figlio. Si chiamava Pietro. E’ andata così. Lui e mio cugino Battista lavoravano nella Todt. Chi lavorava in quelle imprese tedesche era esentato dal servizio militare. Un giorno si presenta in casa uno del paese (che avevamo anche aiutato in passato) e chiede a mio padre di dargli 20 mila lire, altrimenti, gli dice ‘ti faccio licenziare tuo figlio e lo faccio mandare al fronte’. Era ammanicato coi tedeschi. Mio padre gli risponde: ‘anche se li avessi non te li darei’. Papà lavorava alla Bresciana, la compagnia elettrica. Quello fa licenziare davvero sia mio fratello Pietro che mio cugino Battista. Aspettando di essere mandati in guerra, i due una mattina partono in treno, alla cinque, per andare a Brescia e poi a Ghedi per cercare di essere assunti in un’altra Todt. Ma alla stazione di Brescia ad aspettarli c’è quel tale, con dei tedeschi. Vengono presi e riportati al paese. Speravano di avere qualche giorno per darsi alla macchia, magari coi partigiani, invece non gli hanno dato il tempo e sono stati spediti al fronte, in Toscana. E lì sono morti tutte e due, lo stesso giorno, a poche centinaia di metri di distanza l’uno dall’altro. Si erano giurati a vicenda di restare sempre insieme e sono morti insieme.

La domenica al paese fanno l’ufficio funebre, non c’erano le bare, c’era il catafalco e la chiesa piena, noi eravamo tutti sui banchi di destra. A un certo punto entra in chiesa quel tale. La chiesa si è come gelata, la gente si è voltata a guardarlo. Allora mio padre è uscito dal banco, gli è andato incontro e l’ha abbracciato. Capisci, con un papà così come faccio a non perdonare? Il papà e la mamma dicevano: ‘Noi abbiamo scelto di vivere da cristiani’. Per farti capire: una domenica mio fratello Geremia (allora usava che uno dei figli prendesse il nome del padre: Geremia è morto sei anni fa) è arrivato in chiesa tardi, si era già alla predica. A mezzogiorno stavamo tutti a tavola. Mio padre prima di cominciare a mangiare dice: ‘Fiöi, scultém mé. Té Geremia, se te òlet sgrafà zo amò polenta ché… rìa piö ‘n ritardo a Mèsa’”.

 

La fabbrica dei preti

La tua vocazione allora è venuta naturale, in un clima famigliare così. Mia mamma pregava che almeno uno dei suoi figli diventasse prete. Perché ricordati che… la fabbrica dei preti sono le mamme”. Ma non bastavano le figlie che si erano fatte tutte suore? A proposito di che ordine sono? Sono ancora vive? “Due sono morte. Angela è a Firenze. Fa parte delle Ancelle Stabilite nella Carità, così come Agostina, che ha 95 anni, è a Salò, mentre Flaminia è a Pordenone e fa parte della Ancelle della Carità, che è una congregazione diversa”.

Raccontami di te e di quando hai deciso di farti prete. “Da piccolo mia mamma mi portava a Messa tutte le mattine, alle 5. Inginocchiata mi teneva in piedi davanti a lei e la mia testa arrivava all’altezza della sua bocca. Alla consacrazione sentivo che sussurrava: ‘che bèl, ol nòs preòst al tóca ‘l Signùr’. E così mi è cresciuta la voglia di toccarlo anch’io. Un giorno il parroco incontra mia mamma e guardandomi le dice: ‘Fan dét ü prét, Maria’. E lei: ‘…L’è crapù assé’. Il parroco, capito la frecciata, ha risposto solo: ‘Grazie’. Poi è successo che un mio compaesano è andato a Rodengo dai frati. Mia madre dice: ‘Domenico l’è ‘ndàt frà’. Le ho risposto: ‘Mé öle ‘ndà prét’. Ero proprio ü crapù, se fissavo una cosa era quella”….

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