Lo sguardo perso, impaurito, un racconto al limite del credibile. Alessia Pifferi racconta in aula la piccola Diana, morta di stenti ed è un racconto drammatico: “Quando sono tornata a casa ho trovato mia figlia nel lettino, sono andata subito da lei, l’ho accarezzata e ho visto che non si muoveva. E ho capito che c’era qualcosa che non andava, non giocava come le altre volte. Ho tentato di rianimarla, le ho fatto il massaggio cardiaco, l’ho presa in braccio, le ho dato qualche pacchetta sulla schiena, l’ho portata in bagno e ho provato a bagnarle i piedini, le manine, il viso e la testa. Poi l’ho rimessa nel lettino, le ho spruzzato acqua in bocca ma non si riprendeva. Sono corsa a chiamare una vicina di casa. Mi sono messa a piangere, ero nel panico, ho chiamato il 118, ho chiesto al signor D’Ambrosio di venire ma lui non è venuto. Io mi preoccupavo per mia figlia, pensavo che il biberon che le avevo lasciato bastasse”. Una testimonianza che va avanti, entra nei particolari: “Conosce le conseguenze del digiuno, dell’assenza di acqua e cibo in un bambino di tenera età?”, le chiede più volte il pm Francesco De Tommasi, che segue l’inchiesta con la collega Rosaria Stagnaro. ”Le chiedo di non sgridarmi, per favore. Pensavo che quello che avevo lasciato bastasse”. Pifferi è accusata di omicidio volontario pluriaggravato. Le indagini hanno ricostruito che nel luglio di un anno fa la donna lasciò per sei giorni in casa la piccola di 18 mesi da sola per andare dal suo compagno, che viveva in provincia di Bergamo.
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