LEFFE – Silvano, i suoi quattro fratelli, il richiamo della Missione, la sua Leffe, il suo (ex) lavoro da elettricista e il biglietto di sola andata per il Perù

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Silvano Castelli è il quarto di cinque figli. Papà Felice è “andato avanti” nel maggio di quest’anno. Mamma Rosa ha versato altre lacrime quando ha dovuto salutare un’altra volta il figlio “Missionario”, che il 13 ottobre scorso è ripartito per il Perù. Accompagno Silvano all’aeroporto di Malpensa, insieme alla sorella Giovanna che con Alessia, Michele e Annamaria compongono un quintetto da “Dream team”. Raccontaci un po’ Silvano la storia dell’Operazione Mato Grosso: “Padre Ugo de Censi era responsabile degli oratori della Lombardia negli anni 60. I ragazzi più “vivaci” avevano bisogno di esperienze forti, era il tempo della contestazione giovanile; così nacque l’idea di fare vivere loro un’esperienza di volontariato. Si doveva passare dalle parole ai fatti, perché a protestare erano tutti capaci, ma quando bisognava tirarsi indietro le maniche non tutti sembravano in grado di essere pronti. Nei primi anni ’70, a Leffe, si formò un bel gruppo che aiutò nella realizzazione di alcuni rifugi in Val Formazza. Da lì iniziò una tradizione che continua ancora oggi con il gruppo “Amici delle Ande” in aiuto delle popolazioni più povere del Perù”. Alcuni partirono e non tornarono più, come è per Abele Capponi, classe 1952”. 

In realtà, quei ragazzi fecero un po’ avanti ed indietro, un po’ come è toccato a Silvano. Come è nata la tua “vocazione”? “Io lavoravo come elettricista per una ditta di Leffe. Mi piaceva lavorare e stare in compagnia, un po’ come per tutti i ragazzi. La mia famiglia mi ha sempre dato un indirizzo cattolico, seppure io non fossi uno che si metteva in prima fila in Chiesa; ma sono sempre andato a messa”. 

In effetti, Silvano, non era uno che recitava il rosario ogni giorno; lavorava, amava stare in compagnia ma alla messa domenicale non rinunciava mai. E poi, che è successo? “Direi che non è successo niente di particolare. Nel 2000 feci un incidente, “rischiai la pelle” e dopo molti mesi di riabilitazione tornai al lavoro, con qualche difficoltà. Soprattutto iniziai a domandarmi che senso avesse vivere senza investire i miei talenti, come sentivo leggere nel vangelo domenicale…

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