L’IMPRESA – Dario, 21 anni, il primo a scalare la ‘direttissima’ parete nord della Presolana in inverno

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Una coperta di stelle e un pavimento di nubi. Tra cielo e terra. Così i sogni sono ancora più colorati. Dario Eynard ha 21 anni, studia ingegneria ambientale al Politecnico di Milano ed è la prima persona ad avere scalato in solitaria la parete nord della Presolana in inverno. 21 dicembre, solstizio d’inverno, il giorno più corto dell’anno, Dario parte con il suo sacco da 25 kg, torna due giorni dopo, a tenerlo d’occhio un amico, Francesco, di stanza al bivacco del rifugio Albani. Dario ora è a casa, a Bergamo, studiando e pensando alla prossima impresa, come è nata la passione per la montagna? “Da mio padre, da piccolo mi portava a camminare, abbiamo una casa in Alta Val Brembana, andavo a camminare con lui, salivamo piccole vette, ho cominciato ad appassionarmi, poi a 16 anni mi sono iscritto a un corso di arrampicata sportiva”. E da lì Dario non si è più fermato: “A 17 anni ho frequentato un corso di alpinismo base al Cai di Nembro, ho imparato le nozioni base per affrontare le prime vie e poi ho cominciato a scalare seriamente”. Lassù, solo, tra le rocce, non hai mai paura? “Le paure si affrontano, ricordo la prima volta che sono salito su un parete, era una parete sportiva alta non più di 10 metri, nel corso che avevo fatto a 16 anni, quando sono arrivato in cima, mi sembrava di essere in un posto altissimo, ho stretto forte la corda, da lì ho cominciato ad affrontare e controllare le mie paure”. Quante arrampicate hai fatto sinora? “Conto circa 120 vie”. E quando scali? “Tra un esame e l’altro, nel tempo libero”. E ora la solitaria invernale della Presolana: “Il percorso delle solitarie l’ho iniziato nell’ultimo anno, ad agosto quando ho fatto l’ultima prima della Presolana invernale, quando sono arrivato in cima non ero eccessivamente stanco e così da settembre ho deciso che avrei fatto la direttissima in solitaria a dicembre. Arrampicare in solitaria è diverso che andare con gli altri, ci sono più rischi, c’è un livello di accettazione differente, sei solo, ma sapevo di essere in grado di gestire la cosa, e poi stare da soli ha anche aspetti positivi, l’intimità e il fascino della montagna”. Ci hai messo due giorni, dove hai dormito? “A metà parete, ero bene equipaggiato, c’erano meno dieci gradi, quindi non un freddo eccessivo, ero al caldo, ho piazzato tutto in sicurezza e mi sono addormentato, ho dormito 8 ore di fila, mi sono svegliato una sola volta a metà notte”. Dario è rimasto così, nei sogni, a ridosso del Paradiso, tra cielo e terra, da solo, poi ha ripreso la scalata. Ti ispiri a qualche alpinista? “Mi piace tutto l’alpinismo bergamasco, ho tanta stima per tutti ma seguo il mio percorso”. Quando sei arrivato in cima cos’hai provato? “Quando ho terminato l’arrampicata ho sentito un po’ di vuoto dentro, era da tempo che desideravo riuscire a fare questa scalata, da settembre era un chiodo fisso e quando realizzi qualcosa a cui tenevi tanto ti senti un po’ di vuoto dentro, una sensazione strana. Mi piace darmi un obiettivo un traguardo davanti, avere qualcosa da conquistare”. Come ti vedi tra 10 anni? “Non lo so ancora, mi piace sia l’ingegneria che la montagna, vedrò se è possibile conciliare le due cose”. Dario ha un fratello che condivide la stessa passione della montagna, come hanno vissuto la tua impresa i tuoi genitori? “Erano preoccupati, avevo un amico che mi sorvegliava dal rifugio Albani e questo era motivo di conforto per me, perché poteva informare i miei genitori e tenerli aggiornati per far sapere che stavo bene”. 

 

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