Gianmario Poiatti*
Ho partecipato il 27 settembre a Bergamo alla 4ª giornata territoriale della sicurezza organizzata da CGIL-CISL e UIL.
Nelle parole e nei volti dei dirigenti sindacali, dei Rappresentanti dei lavoratori per la Sicurezza (RLS) la rabbia per la crescita degli infortuni sul lavoro, soprattutto gravi e mortali, anche nella nostra provincia, dall’altro una sorta di delusione per non riuscire a contrastare efficacemente il fenomeno.
Anche nella stragrande maggioranza del mondo delle imprese la preoccupazione è forte eppure ogni giorno ci sono notizie di lavoratori che perdono la vita o l’hanno segnata a causa di postumi gravi.
Dentro i freddi dati dell’Inail ci sono tragedie, drammi per le famiglie, cambiamenti violenti dell’esistenza.
Non rassegnarsi, analizzare il problema senza pregiudizi e senza ideologismi è il primo impegno.
Solo un attento approfondimento può consentire di trovare soluzioni razionali e provare a minimizzare fortemente l’impatto della catena senza fine degli infortuni.
In proposito è utile, accanto ad una iniziativa nazionale (in corso tra governo e parti sociali) una riflessione territoriale che coinvolga i principali attori del mondo della produzione e gli specialisti.
Inizierei con l’affermare che il quadro normativo italiano è buono, soprattutto dopo l’ingresso nel panorama giuridico del D.Lgs 626/94 che ha recepito l’impianto europeo in materia e sino al D.Lgs 81/2008 il cosiddetto “Testo Unico” che affronta la gran parte dei rischi anche se, a distanza di oltre 10 anni dalla sua approvazione, andrebbero approvate le parti in sospeso e apportate correzioni innanzitutto nella filiera degli appalti.
Il trend infortunistico, se prendiamo i dati del 1970, è in discesa sia in termini assoluti che come indice infortunistico (rapporto tra infortuni e ore lavorate). Ma negli ultimi due anni il calo è cessato e gli infortuni sono in netta ripresa (vedi tabella a lato)…
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