Come se ogni anno un paese intero sparisse nel nulla. Cancellato. Finito. Una media di 4000 suicidi all’anno in Italia. Numeri impressionanti e silenziosi. Senza voce. Qualcuno la voce prova ad alzarla ma è un grido nel vuoto: “I suicidi non fanno e non devono fare notizia” racconta Giordano Tomasoni di Castione, la sua storia l’abbiamo raccontata, perché lui dopo il tentativo di suicidio che lo ha costretto su una sedia a rotelle è… rinato, si è rimesso in gioco e in discussione, ha cominciato a correre in handbike e a vincere e a portare la sua testimonianza ovunque, cercando di smuovere questo assordante silenzio che avvolge chi soffre di depressione.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità ogni anno nel mondo si tolgono la vita 880.000 persone, vale a dire un suicidio circa ogni 40 secondi e un tentativo di suicidio ogni 3. In Europa sono 56.200 e l’Italia, con circa 4000 morti l’anno, registra 7,3 casi ogni 100.000 abitanti. Nel Lazio sono circa 700 i suicidi ogni anno e solo a Roma se ne contano 200/250. Si tratta in maggioranza di uomini (il rapporto è di 1 a 3 rispetto alle donne), fra i 45 e i 50 anni ma, in molti casi, si verificano anche tra gli adolescenti e gli anziani. Il fenomeno è in aumento negli ultimi anni soprattutto nella fascia tra i 24 e i 65 anni ed è la seconda causa di morte tra i giovani.
La parola suicidio viene usata spesso a sproposito e non utilizzata quando invece dovrebbe essere urlata a gran voce.
Nelle scorse settimane Giordano Tomasoni ha preso carta e penna e scritto una lettera aperta all’alpinista Simone Moro che aveva usato la parola ‘suicidio’ per l’alpinista Daniele Nardi che è morto sul Nanga Parbat in una scalata invernale difficilissima, talmente difficile che Moro ha parlato di ‘salita suicida’. E Tomasoni ha deciso di replicare con una lettera che la dice lunga sul suicidio: “Caro Simone Moro, Chi ti scrive è un suicida! Un suicida a tutti gli effetti, la cui fortuna è quella di poter raccontare ancora di ‘sogni’ alle proprie figlie, quello che purtroppo non potrà più fare Daniele Nardi al proprio bambino.
Non voglio parlare di vette, alpinismo, fortuna, fatalità o incoscienza, ma di sogni.
Sogni sì! quelli che un suicida non ha più, quelli che un suicida non ricorda nemmeno che colore abbiano.
La morte da suicidio si sta diffondendo in un silenzio mediatico rotto soltanto dalla popolarità del malcapitato, nessun accenno ad eventuali forme di prevenzione o quant’altro… depressione punto è stop.
Il contrario di depressione è ‘vitalità’ e Daniele ne aveva e ne aveva da vendere, mentre qualcuno come me, a malapena trova la forza per scavalcare la barriera di un ponte.
Svuotato dalla disperazione trascina un’anima stanca sotto le coperte sperando che la notte porti con sé un’alba nuova alla propria anima, nuova come l’impresa che Daniele aveva dentro, sentiva e credeva possibile realizzare.
Vivere con la voglia di suicidarsi o avere il desiderio di fare qualcosa che nessuno ha mai provato prima, sono due cose completamente diverse.
Ho profondo rispetto per il dolore e la parola ‘suicidio’ è capace ancora di sconvolgermi, malgrado il tempo trascorso.
La spontaneità con cui ho scritto queste righe vorrei fossero accompagnate dallo straordinario potere del significato di vivere avendo una meta da raggiungere, magari un sogno, quella speranza che un suicida mai sentirà nascere dentro di sé, anzi.
Credo nella bellezza dei sogni, nel potere terapeutico di un viaggio, questo è l’augurio che faccio a chi sente tramontare la speranza, che possa sentir crescere dentro di sé la voglia di partire, magari per un viaggio, trascinato dall’entusiasmo di un bambino.
Perché alla fine un viaggio non finisce mai: lo immagini prima, lo vivi durante e che lo ricordi o meno, sai per certo che ti ha tenuto vivo, vivo come il cuore che batte, come gli occhi che guardano la cima, come il vento che taglia la pelle.
E indimenticabile… come l’ultimo battito!”.
Già, che in fondo è così, e forse sono proprio i sogni che fanno superare tutto, o quasi: “E il silenzio non aiuta di certo – continua Tomasoni – i suicidi continuano nel silenzio di tutti, anche nelle scorse settimane è successo qui nella nostra zona, ma nessuno ha detto niente, nessuno dice niente”.
Si suicidano di più uomini che donne, nel 2015 si sono suicidati 3105 maschi e 883 femmine. Rispetto al 1985 le cifre sono inferiori per entrambi i sessi, ma la diminuzione nelle donne è più marcata. Si è registrato infatti un quarto in meno di suicidi femminili dal 1985 a oggi. 34 anni fa si erano tolti la vita 902 maschi tra i 35 e 54 anni, 1307 tra i 55 e i 74 anni e 542 uomini over 75, contro 382 ragazze tra i 35 e i 54 anni, 596 tra i 55 e i 74 anni e 239 donne con più di 75 anni. Aggiungendo le fasce più giovani si raggiunge un totale di 4759 suicidi fra maschi e femmine, contro i 3988 complessivi del 2015. In realtà anche se l’andamento è positivo, a livello mondiale si riscontra un calo complessivo dei suicidi ben più marcato di quello che si registra in Italia. Il gap di genere nel numero di suicidi si osserva in tutte le fasce di età, fra gli uomini ci sono lievi riduzioni del numero di suicidi sia fra i più giovani che fra i meno giovani, con addirittura l’eccezione dei 35-54 anni che si tolgono la vita oggi più di trent’anni fa.
Ma se zoomiamo all’ultimo decennio i trend cambiano: il numero di suicidi fra la popolazione adulta, dai 35 ai 74 anni, è cresciuto, e quello fra i giovani è stabile. Solo nel 2015 si sono suicidati 7 ragazzini con meno di 15 anni, 161 ragazzi di età compresa fra i 15 e i 24 anni, 271 tra i 25 e i 34 anni, 1063 tra i 35 e i 54 anni, 934 tra i 55 e 74 anni e 669 uomini con più di 75 anni.
Fra le donne la riduzione nel numero di suicidi è più marcata, tranne che per la fascia di età delle 35-54 enni, dove si registra addirittura una crescita di donne che si sono tolte la vita negli ultimi dieci anni: dai 265 suicidi del 2005 ai 320 del 2015…
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