Giorgio Fornoni intervista il discusso fondatore della Comunità di Bose: il priore racconta e si racconta in esclusiva ad Araberara.
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Il fondatore della Comunità di Bose, allontanato dalla sua “creatura”, si racconta a Giorgio Fornoni e ad Araberara. E parla a ruota libera del mondo cristiano, ma non solo. Anche di Bergoglio che stima tantissimo, al contrario di molti altri esponenti della Chiesa
Perché la montagna da sempre è un luogo di Dio per tutte le religioni? L’altro luogo per l’incontro, per incontrare Dio è il deserto.
“Perché è sempre stato un luogo che ha attratto gli uomini al di là di ogni spiritualità formata in seguito. La montagna è un luogo arduo, la montagna è lo spazio che fa confinare con il cielo e di conseguenza ci si trova in una dimensione straordinaria. Di per sé diventa una dimensione sacra…Il deserto invece è la solitudine perché nel deserto c’è davvero soltanto Dio e non solo non c’è la vita umana ma non c’è nessun tipo di vita o quasi. Per cui in questi luoghi estremi, l’uomo sente di poter più facilmente ascoltare sé stesso in profondità, trovare Dio in profondità, il che significa poter comunicare con Dio nella la sua ricerca”.
Perché Dio ha scelto gli ebrei come popolo eletto.
“Questo è un grande mistero, ma quello che ci dice la Bibbia è che l’ha scelto perché era un popolo di stranieri, di profughi e il nome stesso ‘apirru’ indicava dei poveracci che continuavano a girare senza trovar terra. Quindi potremmo dire gli scarti dell’umanità di quel tempo. E tutto il Dio dell’antico testamento, soprattutto il Dio dell’Esodo, è il Dio che sceglie gli scarti, il più povero, il più misero, gli schiavi per liberarli tanto è vero che il Dio degli Ebrei veniva sentito come il Dio dei poveri e degli schiavi non il Dio delle grandi case regnanti”.
Però S. Paolo negli Atti degli Apostoli li ha pizzicati…
“Certamente”.
Lei ha da sempre contatti con il mondo Cristiano ortodosso; qual è il fascino del mondo monacale ortodosso e cosa ha rappresentato per Lei?
“Il monachesimo ortodosso innanzitutto ha conservato una teologia spirituale, che il monachesimo occidentale ha un po’ perso. Il monachesimo Occidentale ha un grande peccato che è quello di aver lasciato che i monaci diventassero preti e una volta che un Monaco diventa prete, fa la pastorale, si prende cura di parrocchie, non fa più il Monaco e allora noi abbiamo avuto in Occidente soprattutto…i monaci come uomini di culto come uomini pastori ma non abbiamo più avuto come gli ortodossi che sono monaci essenzialmente laici, essenzialmente vivono la vita di preghiera, essenzialmente vivono una vita a contatto con la natura e in maniera molto profonda e non hanno assolutamente pretese nella chiesa o sulla chiesa. È significativo che un Monaco ortodosso sia in comunione con la chiesa ma abbia anche una certa distanza, una certa libertà e la chiesa non si intromette nella vita dei monaci mentre in Occidente no, noi siamo abituati che la chiesa si intromette dappertutto. I monaci sono più liberi e si dedicano più alla contemplazione. Qualche volta addirittura vivono situazioni come fossero repubbliche a sé, il che non è bello perché finiscono per fare una fuga dalla chiesa non solo la fuga dalla mondanità, però certamente hanno conservato la spiritualità dei padri della chiesa e veramente per loro la liturgia è la liturgia della chiesa…e poi hanno una cosa differente da noi. I nostri monaci prevale le istituzioni mi permetta di dire che arrivano ad essere in quattro in un monastero, ma bastano quattro che l’abate si mette la mitria porta il pastorale, fa tanta scena che non ha senso per quattro persone, non rappresenta nulla. In Occidente, giustamente diceva un grande Monaco Gribomon ‘la vita monastica è come i treni, passano in orario anche se sono vuoti. In Oriente il monachesimo è una carovana’. Quando c’è un uomo carismatico la raduna, si trovano e il monachesimo va avanti poi c’è un momento di decadenza, si disperdono ma allora il monachesimo va avanti poi c’è un momento di decadenza, si disperdono e allora il monachesimo non esiste quasi più. C’è più verità. Meno scena e meno istituzione. Da noi veramente è pietoso che per conservare le istituzioni oggi si dica che sono vite monastiche, vite che di monachesimo hanno più niente. Conservano santuari, fanno i parroci, fanno la parrocchia,. non è monachesimo, non è monachesimo e in Italia la maggior parte dei monaci è così. Per avere un monachesimo bisogna andare in Francia o in Italia c’è Pralia, c’è qualche monastero, c’è Subiaco ma gli altri sovente o sono santuari o sono parrocchie”.
Sono stato a Subiaco e sono stato in Francia a Fontgombault. Secondo lei che differenza c’è tra i monaci benedettini nostri e di Fontgombault che hanno ancora gregoriano antico e quelli attuali.
“Ma nessuna differenza. Io devo dire che riconosco, sono amico, li frequento, c’è anche tanta opposizione contro di loro, tanta critica secondo me ingiusta, mantengono la liturgia di un tempo. L’importante che accettino la comunione con la chiesa e il Vaticano secondo, poi coi loro riti in latino, in gregoriano, mi sembra che conservino un tesoro per la chiesa ed è anche molto bello”.
Io avevo incontrato l’abate che a vent’anni era entrato nel monastero ed ha ottant’anni…e quando è diventato abate verso i trent’anni ha fatto l’abate per cinquant’anni…
“Lo conosco…ma se le capita una volta vada a vedere Barrou e vedrà il più bel monastero del mondo. Sempre in Francia, più giù, vicino ad Avignone. Settanta monaci straordinari, un abate bravissimo, però del vecchio rito… ma veramente una nuova costruzione e hanno fatto una nuova fondazione. Eccezionale. E fanno del vino buonissimo oltretutto”
Oggi dove stanno l’attualità e la forza del monachesimo? Come mai cresce il numero degli eremiti?
“In un mondo in cui prevale ideologicamente l’individualismo e il narcisismo… conosco troppi che diventano eremita per fare gli affari loro…Credo a una vocazione eremitica dopo che uno ha fatto trenta o quarant’anni di vita comune. Uno che vuol fare subito vita eremitica, senza avere la disciplina, le armi, senza aver fatto una vita regolare a lungo tempo, almeno la mia esperienza è: dicono di fare una vita regolare ma non la fanno. Chi li fa alzare davvero al mattino alle quattro per la preghiera se sono soli senza un controllo, chi dice loro un regime di vita sobrio e di povertà, chi dice che la loro vita è accoglienza ma non diventa alla fin fine un disordine. No, oggi siccome nessuno vuol più fare il prete perché fare il prete è diventato impossibile e molti soprattutto tra i preti chiedono al Vescovo di diventare eremiti e il vescovo lo concede piuttosto che perderli. Questa è la verità…ma non si ha il coraggio di dirlo”.
Un Monaco che ho incontrato in Abkazia, ha vissuto 18 anni in una buca coperta da un cartone catramato… Come si possono rileggere oggi i tre voti monastici: povertà, castità, obbedienza…
“Ma non possiamo più essere poveri noi, nel nostro mondo: diventa a volte ridicolo che in nome della povertà, uno dice, rinuncio al burro il mattino a colazione, quando la povertà è fame, quando la povertà è freddo. Sono tutte cose che non ci possiamo permettere. Povertà è condivisione, è condividere tutto radicalmente quel che si ha: questa è la vera povertà cristiana. Il celibato è quello di sempre. Certamente va vissuto oggi con senso maggiore di quella che è anche la miseria del celibato. Dobbiamo smetterla di innalzarlo come la perla, fare tanti inni al celibato quando poi conosciamo la fragilità delle persone che lo vivono, la debolezza, e c’è tanta miseria in chi vive il celibato, tanta solitudine, tante contraddizioni, quindi viviamolo, è un dono del Signore ma senza orgoglio e senza arroganza. L’ubbidienza oggi deve stare all’interno di una corresponsabilità. Non si può più assolutamente pensare che qualcuno chieda a un altro una obbedienza cieca come si diceva prima come un suddito. L’obbedienza oggi deve essere frutto sempre di un discernimento tra l’autorità e la comunità e il Monaco. In tre, l’autorità, la comunità e il Monaco che fanno chiarezza e devono trovare la via da seguire”….
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