Don Antonio Caglioni è tornato. Per sempre. Forse. Compie 78 anni (“Li compio la settimana prossima”). Il 6 aprile. “Sto cercando di orientarmi. In fondo io a Sovere ci sono stato poco. Ho fatto le elementari e la prima media a Lovere. Poi sono entrato in seminario a Clusone e praticamente da allora sono sempre stato via”.
Quel “via” va oltre i confini della bergamasca, varca gli oceani. Ha la Bibbia sul tavolo, sta preparando l’omelia del Venerdì Santo ma la Bibbia è aperta sul Cantico dei Cantici e lui mi spiega che ha trovato nel Vangelo di S. Giovanni un riferimento al libro della Bibbia. È il giorno del grande silenzio.
Lo rompiamo con i ricordi, molti condivisi.
“Sono stato ordinato prete nel 1971”. Già, ti eri preso un anno sabbatico. “Sì, io e Sergio Gualberti che adesso è arcivescovo emerito di Santa Cruz. Ma si vede che la Bolivia era predestinata. Ho una foto tre giorni prima dell’ordinazione. Eravamo su al Passo di Crocedomini, c’era un gruppo di giovani. Ci siamo aggregati alla compagnia. Chiacchierando a una ragazza che si chiamava Ambrosina, regalai un orologio come pegno, con l’impegno che ci saremmo ritrovati missionari in Bolivia, ma nemmeno ci avevo pensato prima”.
Lei è poi venuta in Bolivia? “Più vista”. Quindi hai perso l’orologio. Ride. “La foto me l’ha mandata don Carlo Caffi che era con me quel giorno”.
Torniamo a dopo l’ordinazione. “Sono stato a Corsico, a Buccinasco, ero uno di quelli che vennero chiamati preti-operai. I primi cinque sei anni da prete li ho passati lì. Poi il gruppo che eravamo nella parrocchia si è disfatto e ognuno è andato per conto suo. E allora io mi sono detto, va be’, allora vado in Bolivia. La diocesi di Bergamo aveva preso in carico la missione in Bolivia dal ’62. Fatto sta che sono andato dal Vescovo e gli ho detto, voglio andare in Bolivia. Il Vescovo era Clemente Gaddi che era molto felice di mandarmi in Bolivia. Non vedeva l’ora di liberarsi di me (ride) e mi ha detto, io ti do tutta la libertà di andare in Bolivia, fai un bel giro, vedi i nostri missionari, ti do carta bianca. Se trovi dove fermarti me lo farai sapere, spero”. Spero? Non era nemmeno sicuro. Comunque ti ha dato carta bianca.
Il tesserino di Araberara
Siamo nel settembre del 1976. Ma sapevi parlare la lingua? “No, niente. Sono arrivato a La Paz, c’era don Passio Ferrari. Dopo una settimana o due sono andato a Cochabamba dove c’era don Antonio Berta a la Ciudad del nino. Poi sono andato a Santa Cruz dove sono stato ospite dei salesiani. Avevo sempre con me il ‘celebret’ per dimostrare che ero prete.
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