LOVERE – 50 anni dalla morte di Montagna, Giovanni Brasi, comandante della 53^ brigata Garibaldi: “Scomodo, a volte irritante”. La battaglia di Fonteno, la sua ironia, lo spirito di gruppo, il coraggio, Giorgio Paglia, Pietro e…

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Grazia Milesi

Il 24 marzo 1974, a Lovere, si concludeva la vita di Giovanni Brasi, di professione fotografo, ma comandante partigiano per tutta la vita. Alla fine la malattia aveva avuto il sopravvento e per il vecchio Montagna era venuto il tempo in cui poter riposare, con il fazzoletto rosso al collo a testimoniare per sempre le sue idee e il suo coraggio. 

Per molti era stato, da vivo, un figura scomoda, a volte irritante. Anche da morto continuava a suscitare reazioni, spingendo qualcuno – rimasto anonimo – a mettere a soqquadro la sua casa, rovesciando sul pavimento fotografie, sottraendo oggetti, identificati solo in parte, alla ricerca di non si sa cosa. Benché malfermo di salute, non aveva smesso di interrogarsi, riflettere sulla storia, scontrarsi con gli altri, anche con i compagni di una volta, ma negli ultimi anni della sua vita aveva saputo trovare una nuova tensione ideale, un nuovo gusto del confronto e della discussione, a contatto con i giovani del Movimento Studentesco, che, rivolgendosi a lui quasi come a un maestro, avevano saputo ridestare speranze ed entusiasmi nel suo cuore vecchio ma mai stanco.

Gli studenti, muovendosi nelle scuole e nelle fabbriche, impegnati nello sforzo forse troppo ingenuo di cambiare il mondo, ritenevano indispensabile avvicinarsi alla Resistenza per riprenderne la lotta e darle il giusto compimento. Lo avevano cercato e adottato, trovando in lui un interlocutore che volentieri rispondeva alle domande rivoltegli – gli studenti, organizzati da Natale Verdina e sotto la guida del professor Franco Catalano, docente di Storia Contemporanea all’università Statale di Milano, svolgevano ricerche di gruppo per conoscere non solo la Resistenza in generale, ma soprattutto quella meno nota, combattuta nelle valli e nei paesi della bergamasca.

Parlando con loro, il vecchio comandante confessava di stare scrivendo anche lui, nel tentativo di raccogliere in un libro le sue memorie (di esso tuttavia non c’è più traccia; restano alcuni fogli manoscritti, altri dattiloscritti, un indice incompleto): qualche ragazza, più volenterosa che esperta di dattilografia, batteva a macchina i fogli che le venivano a volte affidati, non numerati, riempiti dalla inconfondibile grafia appuntita e nervosa, elegante nonostante la sua illeggibilità.

Era come contagiato dalla vitalità dei ragazzi che, frequentando casa sua e imparando a conoscerlo, restavano colpiti dalla chiarezza delle sue idee, dalla quantità dei ricordi, dalla gentilezza galante con cui trattava le ragazze. 

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