Quando si parla di ospedali, noi che facciamo i giornalisti, ne parliamo soprattutto per i disservizi o eventuali ritardi, sollecitati da lettere, segnalazioni, proteste. Questa volta invece lo faccio in prima persona per ringraziare. Perché dopotutto il compito di noi giornalisti è quello di toccare con mano e verificare. E questa volta ho toccato davvero con mano, o forse meglio dire, con un… ginocchio, visto che mi hanno fatto la protesi, come nei piccoli ospedali di periferia le cose funzionano. Lì sei ancora una persona, non un numero. Riescono perfino a trovare la cortesia di ascoltarti, di avere la pazienza di condividere le ansie, le paure, di rassicurarti. E non lo dico per me, ma per quello che ho sentito e visto per tutti i pazienti, soprattutto anziani. Questo miracolo credo possa esserci proprio e solo nei piccoli nosocomi. Ho sentito storie di chi era stato ricoverato nei grandi ospedali dove davvero sei un numero, non hanno tempo per te, sei un “caso” da rispedire a casa il più presto possibile, nella logica economica della convenienza di reparto. Qui ho assistito a scene di umanità che non fanno notizia. Ho fatto 26 giorni di ospedale. Professionalità e assistenza e non solo parole di circostanza. Grazie davvero alla dottoressa Veronica Nava e al reparto di Ortopedia, alle due dottoresse del reparto di lungodegenza e al personale e a Carmen e la sua fisioterapia. La malattia è un avvertimento che ci è dato per ricordarci ciò che è essenziale. Grazie.
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