Un’afa incombente, ma appena entrati nel grande complesso della Casa della Serenità di Lovere l’aria condizionata rinfresca le idee e i ricordi. Antonia Bianchi (Antonietta) sta per compiere e fine mese cento anni. Mi accompagnano al piano superiore. C’è un tavolo dove si gioca a scopa d’assi. Ma in… tre. Antonietta ha appena raccolto il settebello, senza particolare esultanza, poi fa il conto di ori, carte e primiera anche ai suoi compagni di gioco e il conteggio dà la vittoria alla signora accanto. Non ci sono commenti né contestazioni. Il tempo qui sembra essersi fermato.
C’è un’intervista da fare. Va be’. Antonietta, con mia sorpresa, si alza e si avvia con passo veloce per il corridoio che fatico a starle dietro. Scelgono la camera, lei si siede sul letto “no, si sieda lei sulla poltroncina, io sto bene qui. Da dove cominciamo?”.
Tutto mi aspettavo tranne una signora con una tale grinta e velocità di pensiero. Già, da dove comincio? Dalla banalità del tempo che fugge e che però ha un suo conteggio che può essere impietoso ma non quando si supera il secolo di vita con tanta vitalità? Lei compie 100 anni… Non mi lascia finire. “100 anni sì, li compio alla fine del mese, son nata nel ’23”. E allora saltiamo i decenni, mi racconta uno dei suoi primi bei ricordi di bambina?
“Da piccolina uno dei ricordi che mi vengono in mente spesso è questo: eravamo all’asilo, c’era anche mia sorella Giuseppina di due anni più grande, eravamo lì dopo pranzo in una stanza. La suora ci ha detto di alzarci in piedi. Io mi sono alzata, ma avevo fatto la pipì addosso. Siamo andate fuori ma la suora si è accorta che ero bagnata, si è avvicinata, mi ha tolto le mutandine, me le ha messe sulla testa. Poi ci siamo messi in cerchio, mia sorella mi dava la mano, io dovevo stare bella dritta per non far cadere la mutandina che avevo in testa. Pensi che mi ricordo ancora dopo tanti anni. L’asilo era a Lovere dove è ancora oggi, in cima alla salita dove c’era il cinema…”.
Avevo chiesto un bel ricordo, ma evidentemente restano in memoria anche quelli brutti.
Le scuole dove le ha fatte?
“Dalle suore, era una scuola privata, allora si andava alla scuola privata. Io ho fatto solo le elementari, poi ho dovuto aiutare i miei, la quinta l’ho fatta da un’altra parte. Poi come dicevo ho dovuto aiutare i miei in negozio, avevano un’attività. Avevamo una casa grande, bella grande, in piazza, a Lovere, non la piazza del porto, quella sopra. Lì c’era la trattoria dell’Orologio. Ecco, era là che abitavo con i miei. La mia mamma lavorava nella trattoria, faceva da mangiare, era brava a cucinare, l’aiutava una zia e anche un’altra donna. Dopo, la sera, finito di mangiare, lì si cantava, si faceva baldoria, ci si divertiva, si giocava a carte, si viveva così.
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